Sfilano le salme sui carri militari Avrebbero diritto a una bandiera

Sfilano i morti su carri militari. Per i caduti di questo marzo, non c’è spazio nei cimiteri. Sono vittime di un’arma invisibile che la natura ha scagliato contro un suo figlio e che avviene attraverso un altro elemento generato dalla natura stessa. Natura madre e matrigna.

E davanti ad occhi increduli, affogati nelle lacrime che non possono fluire, scorrono le immagini e non ci si dà pace.

Le salme senza volto che sfilano davanti a noi, in fretta e furia le si vuole, le si deve allontanare. Non ci sono più spazi per loro. Avrebbero diritto a una bandiera. Forse.

Sono caduti in questa guerra dei mondi di cui non conosciamo nulla, di cui non potremo mai capacitarci anche quando arriverà una tregua al momento ancora lontana e senza avvisaglie.

Non avere una salma su cui piangere è una delle tragedie umane più antiche. E’ una delle crudeltà che la morte riserva ai vivi e che abbiamo visto tante volte quando quella morte avveniva per mano dell’uomo su altri uomini nelle guerre che si combattono vicino a casa anche ora che da noi si muore di virus.

Mentre si consuma la nostra tragedia ci sono altre donne, uomini, bambini (momentaneamente usciti di scena) che si trascinano verso un altrove di speranza e che muoiono senza nome, senza volto sotto una coperta d’acqua azzurra.

Le morti sono una ferita per i vivi

Sono gran parte anziani, colti nella parte finale della loro vita e di questo erano già consapevoli, certo, ed è proprio per questo che attendere quel momento vicino alle persone care è il desiderio più grande, superiore a qualsiasi altro. Ecco, sono morti soli, lontani, privati di questo ultimo desiderio.

Ci sono i giovani, sani che hanno pensato a una tossetta stagionale causata dagli sbalzi di temperatura o dagli eccessi sportivi che fanno sudare. Poi le forze sono venute meno e la morte ha voluto anche loro nel pieno della vita, col loro corpo ha sepolto la speranza di vedere i figli crescere, studiare, avere un posto in una società tanto insidiosa e difficile da vivere, ma anche stimolante.

Ci sono persone, né anziane né giovani, dell’età senza connotati e senza illusioni che avevano malattie pregresse … sono rimaste in casa seguendo le raccomandazioni dei medici “non si esponga, il suo sistema immunitario è fragile”. In casa, in casa ma bisogna pur mangiare e al supermercato non si poteva non andare e poi ti vuoi privare della partita a briscola al centro civico? Temevano quell’invasore. Avevano già dovuto lottare contro malattie gravi che avevano messo a rischio la loro vita. Poi un giorno: la difficoltà di alzarsi, i brividi da febbre alta… la tosse.

Le storie dei singoli, le speranze di ciascuno di loro, via divorate da quei respiri che non battevano più nel ritmo naturale e spontaneo di sempre.

Sfilano salme sui carri militari

Storie singole ora tutte accomunate da uno stesso destino.

Di fronte all’inspiegabile, a quell’ineluttabile che ha invaso le nostre vite riemerge questa parola antica, destino, che ritorna quando si ha di fronte l’ineluttabile, quando la fatalità degli eventi è tale che la nostra ragione, il nostro sforzo di capire, l’abitudine di governare la vita non ci accompagna verso la luce della conoscenza.

Un destino, un fato scritto e sancito verso il quale nulla può la nostra volontà?

Ecco, in questo 2020 vacilla la convinzione che per i moderni è stata la molla della propria stessa vita: essere artefici del proprio destino secondo la convinzione che gran parte di quello che siamo è il frutto, il “raccolto” di quello che abbiamo voluto essere. S’insinua l’interrogativo perché tutto questo? E con esso il dubbio di una risposta che non arriva, che ancora non c’è.

Sfilano salme sui carri militari

Si approntano ospedali da campo perché mancano spazi. Mancano attrezzature, mancano persone, manca l’arcobaleno dopo la tempesta. La guerra dei mondi è scoppiata da un mese, da trenta giorni crescono i morti, si moltiplicano i malati, c’è anche chi guarisce ma si mostrano increduli i medici stessi, messi di fronte a una sofferenza che li coinvolge in una stretta mortale.

Fuori nel mondo si allarga la macchia. Anche là i numeri crescono in modo esponenziale. Il contagio universale.

L’umanità contemporanea, tecnologica, proiettata verso un di più di tutto, convinta che la corsa una volta che ha preso ritmo non si arresterà mai diventando moto perpetuo, è ora alle prese con un pensiero cupo, primordiale, elementare, proprio di chi non ha conosciuto e visto il progresso nel suo svilupparsi: la caducità di sé. E non poter avere una salma su cui piangere è la più antica delle tragedie umane. Tragedia antica di oggi.

dal personal blog www.antonellalenti.it



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