Il mondo visto da un anziano attraverso le finestre di un MAP

Proprio in questi giorni, rovistando nei cassetti del magazzino, ho ritrovato una medaglia d’oltralpe di fine XVIII.  Liberté, una delle parole ivi incise, emerge in maniera molto chiara per sottintendere il profondo valore che i fautori della Rivoluzione Francese riponevano in essa quale principio imprescindibile su cui fondare uno Stato moderno. Adesso, più che mai, con la diffusione di questa pandemia, e con le conseguenti limitazioni imposte in virtù della stessa, le generazioni di un’Italia che fortunatamente hanno ampiamente beneficiato della condizione di esseri sufficientemente liberi hanno davvero sperimentato la portata che racchiude questa parola: libertà. Ad essa possiamo abbinarci anche il termine solitudine. Entrambi i sostantivi sono perfettamente riconducibili allo stato di ristrettezze che si trovano a vivere gli anziani.  Pandemia e ricostruzione mietono vittime sociali, e gli anziani sono la categoria più esposta. Non c’è una voce che si alzi in maniera davvero forte da far emergere la questione della salute “sociale” di questi indifesi, anello debole della società. Esclusi da tutto e da tutti, anche da quel po’ di conforto che potrebbe essere elargito dalle autorità civili e religiose, e chi per loro, per doveri istituzionali o per missione pastorale. Il niente. Il nulla. La pandemia in atto non ha fatto altro che porre in evidenza un’emergenza che non è stata mai davvero presa in considerazione da uno Stato tra i cui compiti rientra, senza ombra di dubbio, quello del benessere dei cittadini. Conosco molto bene mio padre, ne ho misurato la forza del carattere, l’umiltà, la perseveranza e soprattutto l’amore verso la sua famiglia e i pazienti che ha assistito per quasi una vita. Da più di un anno è solo nel MAP in cui è racchiuso tutto il suo mondo.  Adagiato sul divano mi ripete continuamente della sua casa. Vorrebbe vederla almeno in ricostruzione. Caro papà, non solo l’indolenza delle persone, ma anche la pandemia ci ha messo lo zampino! Provo a leggere attraverso i suoi occhi, quelli umidi di un novantenne inascoltato e molto sfiduciato: “Oggi piove, il mio sguardo si posa sulle lacrime di pioggia che scendono sui vetri delle finestre. Sono lacrime che non mi portano su nuove cime da conquistare. Oltre i vetri di quelle finestre non c’è un presepe da allestire. Non c’è più nemmeno la mia vecchia “capanna” in cui andare. Forse là fuori posso perdermi negli abissi di un cielo in cui sconfinare, e non perdermi in una terra in cui restano solo i confini fatti di alberi che non ho mai sognato di piantare!”
di Fulgenzio Ciccozzi

 



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