NONNO IN GUERRA - DI ANGELO DE ANGELIS

NONNO IN GUERRA. Il fronte italiano

- di Angelo De Angelis -

 


I primi di settembre di due anni fa incontrai per caso un anziano collega di nome Elio, dal carattere solare ed allegro e con lui andai a fare l’aperitivo nella sua baracca di campagna. Su una parete, incorniciato, c’era il foglio matricolare del padre con riportate le campagne militari, a cavallo della seconda guerra mondiale.
Gli raccontai della mia intenzione di richiedere quello stesso documento intestato a mio nonno Eliseo, i cui racconti di guerra mi hanno da sempre affascinato … qualche giorno dopo Elio mi telefonò, ci incontrammo, e con grande sorpresa mi consegnò la copia del “mio” foglio matricolare. Col suo carattere schietto e affabile aveva ottenuto quell’ambito oggetto del desiderio, accorciando, anzi quasi annullando, i tempi biblici per la ricerca all’archivio di stato  che avrei dovuto sopportare.
Il documento cronologico della vita militare di nonno Eliseo è stato la base per riordinare i tanti racconti che ascoltavo estasiato nei momenti del suo riposo dal lavoro dei campi. Le ambientazioni erano sempre le stesse: d’estate il tempo ed luogo preferito erano le fresche serate e la pietra ai margini della piazza di Santa Maria, d’inverno  la cucina, davanti al caminetto dove il fuoco riscaldava l’acqua della “cottora” , il volto ed il cuore di noi che sedevamo innanzi. In autunno c’era la “vasca”, il cantinone dove si trasformava l’uva in mosto ed il mosto in vino. Una delle fasi di quella magica metamorfosi, la torchiatura, richiedeva molto tempo e poco lavoro: e l’attesa si riempiva dei suoi splendidi  racconti di vita.
Accade un giorno, siamo nelle fasi iniziali della guerra di trincea, che nonno Eliseo, col 21° Cavalleggeri di Padova, è inviato “in territorio dichiarato in stato di guerra presso il Reggimento mobilitato”. Iniziano a prendere corpo le funzioni di “collegamento e ricognizione”, che saranno poi svolte per l’intera durata del conflitto.
Nonno percorre a cavallo una strada carrareccia di campagna “come quella che va a Pretaraglia”, che è una contrada dove stanno terreni che ha coltivato per il resto della vita. Sente arrivare dalle sue spalle una camionetta che, strombazzando rumorosamente con il clacson a trombetta che allora usava, passa a forte velocità di fianco a cavallo e cavaliere. La povera bestia, non avvezza ai cavalli di ferro del mezzo meccanico, si spaventa a morte, imbizzarrisce, si impenna e scaraventa a terra mio nonno, che prima del botto riesce a intravedere, oltre che l’autista, un elegante ufficiale tutto in tiro dentro la sua divisa e, al suo fianco, “’nu caporalittu co’ ji baffi”, un piccolo caporale con i baffi. Il disonore di essere stato disarcionato si trasforma subito in rabbia per lo scorretto comportamento della vetturetta; torna al comando e relazionato l’accaduto, sporge formale denuncia nei confronti degli occupanti del mezzo. Passa solo qualche minuto ed arrivano due carabinieri che, con un mandato in mano, arrestano nonno Eliseo al quale è stato comminata, con provvedimento d’urgenza, la punizione di una settimana “di rigore”.
Il racconto di nonno, all’apparenza illogico e fantasioso, ha avuto riscontro nei libri e resoconti di guerra che sempre ho avuto piacere a leggere: il Re Vittorio Emanuele III soleva visitare spesso le truppe al fronte e, per non essere individuato dagli osservatori nemici, vestiva la divisa con gli umili gradi di caporale: “ju caporalittu co’ ji baffi” altri non era che il Re in persona, offeso nell’onore dal comportamento di un semplice cavalleggero in perlustrazione, che aveva osato sporgere rapporto nei suoi confronti!
Il reggimento di nonno stava di stanza a Verona, dunque lontano dal fronte e di Verona parlava quasi si trattasse di una vacanza. Pensate agli occhi curiosi di un ragazzo di campagna il cui orizzonte, fino ad allora, non era mai andato oltre il circolo di monti intorno alla conca dell’Aquila. Pensate anche alla città elegante e ricca che era ed è ancora Verona ed alla bella gente che lavorava, si divertiva e riempiva le strade della città come se la guerra non esistesse. Sembrava proprio una vacanza, ma l’illusione fu rotta a metà novembre del 1915, quando una delle prime squadriglie aeree austriache sorvolò la città a bassa quota lanciando delle bombe che caddero nella piazza del mercato delle erbe, uccidendo e ferendo decine di persone. Così il livello di allarme si alzò notevolmente e le operazioni di pattugliamento del territorio fino a ridosso del fronte occuparono tutte le ore del giorno. Ci si era accorti che gli austriaci erano al corrente di tutti i movimenti nelle retrovie.
Nonno così inizia a perlustrare meticolosamente la zona collinare a nord di Verona soffermandosi soprattutto nei punti dove si domina la valle e le principali strade di comunicazione verso il fronte. E’ accompagnato dal suo squadrone: si vedono contadini al lavoro, tagliaboschi intenti a procacciare  legna da utilizzare l’inverno imminente, pastori che sorvegliano le pecore al pascolo. Nessuno nota nulla di strano, sono scene familiari per chi come lui è nato contadino… “un pastore che sorveglia le pecore al pascolo”… che strano il tipo che hanno appena superato e che li ha salutati con un cenno della mano. Amici pastori nonno ne ha tanti e di pecore ne ha anche nella stalla della sua famiglia… ma che strano quel tipo, all’occhio vigile di nonno quel tipo non piace… Con circospezione si avvicina all’ufficiale che guida lo squadrone sussurrandogli all’orecchio “è quiju che ‘nci spia”. “Ma che dici, soldato, è solo un pecoraio” è la risposta e nonno, di contro, ripete alterandosi “E’ QUIJU CHE ‘NCI SPIA!”. Il tenente alza le spalle insofferente e, per non sentire più quel petulante cavalleggero, va a scambiare quattro chiacchiere col pastore e all’improvviso lo perquisisce. Vengono fuori documenti e appunti che nulla hanno a che fare con la vita di un pastore; detto con le parole di nonno: “ji trovoru addossu ‘na freca de carti e ju portòru via”. Non si è mai pronunciato, nonno, sulla fine che fece quel finto pastore, ben sapendo che lo spionaggio, in tempo di guerra, costava la fucilazione alle spalle.
Passò così il primo anno di guerra ed il 4 aprile del 1916 fu aggregato all’ 8° reggimento lancieri di Montebello. Ho già raccontato nella storia “Hic Sunt Leones” come nonno passò un lungo periodo di convalescenza a causa di una” ferita di pace” subita a Santi di Preturo per una pietra piovutagli in fronte dal campanile della chiesa mentre suonava le campane. Tornato al fronte, ad ottobre, passò al 15° reggimento Lodi e con i nuovi compagni partì per l’Albania… E quella è un’altra storia!
Nonno narrava queste cose davanti al caminetto della cucina, fumando con gusto un sigaro che gli avevo appena regalato. Era tanto tempo che non andavo a trovarlo e la sua scorta di toscani era finita da un pezzo. Prima di accenderlo mi squadrò dalla testa ai piedi, osservò le spalle che si stavano allargando regalandomi la postura da uomo. Avevo 15 anni. Spezzò il sigaro, ne accese una metà e, assicuratosi dell’assenza di mia madre, mi porse l’altra metà dicendomi “tò, fuma tu pure!”. Avevo già fatto l’esperienza del sigaro: l’avevo fumato insieme agli amici del liceo a piazza Duomo; Antonello, che aveva più fretta degli altri di sembrare grande, ne aveva dispensati a piene mani ai suoi compagni di classe… e io sputai a raffica per tre giorni di seguito prima di riuscire a estirpare dalla bocca l’acre sapore del tabacco. Ma l’invito di nonno era fatto col cuore, non potevo ignorarlo e così presi il sigaro e con mano sicura accesi “ ‘nu prosperu” che mai mancava vicino  al caminetto ed alle “fornacelle”; cominciai con naturalezza a fumare quel mio secondo sigaro toscano. L’espressione di nonno Eliseo ancora oggi mi fa pensare al racconto evangelico della trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor: il volto gli si illuminò, gli occhi emisero raggi di luce e con voce commossa che sembrava calasse dal cielo esclamò “TE SCI FATTU ‘N’OME!”, sei diventato un uomo. Una volta i nativi americani ed i Celti celebravano il rito di iniziazione abbandonando il ragazzo aspirante uomo nella foresta e la sua sopravvivenza per una notte intera sanciva il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Il Cristianesimo cattolico ha fissato nel rito della Cresima il passaggio dalla fanciullezza all’età responsabile. Per i ragazzi della mia età l’iniziazione era il conseguimento della patente di guida che regalava il senso di indipendenza e di libertà legato alla disponibilità dell’auto. Nonno, che imparò a fumare il sigaro quando, a diciannove anni, andò militare allontanandosi per la prima volta dal villaggio, identificò il rito di iniziazione con la capacità di fumare il sigaro: fu così che ai suoi occhi, a quindici anni, diventai uomo.



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