ARRIVEDERCI ZIO RAFFAELE, UOMO BUONO E DI POCHE PAROLE

- di Giuseppe Lalli -

 

Nel ricordare Raffaele Massimi, “il dottore veterinario” o semplicemente “il dottore”, come veniva chiamato da chi lo conosceva - ed erano molti - nei paesi del circondario dell’Aquila, portato via dal Covid-19 a pochi giorni di distanza dalla scomparsa di Mimina Carrozzi, consorte e fedele ombra di una vita, non posso assumere il tono distaccato di chi celebra la memoria di una persona conosciuta e stimata.

  Raffaele Massimi era un mio parente stretto, persona la cui immagine mi ha accompagnato fin dalla prima infanzia. Nato ad Assergi il 14 aprile 1929, era il figlio primogenito di Giuseppe Massimi (“zì Peppe”) e Olimpia Giacobbe (“zia Olimpia”), sorella minore di mia nonna Gioconda. Gli era stato messo il nome di uno zio, fratello maggiore di suo padre, morto giovanissimo giusto un secolo fa in America a causa della “spagnola” (piccola ironia della sorte), la terribile pandemia che ad Assergi aveva mietuto anche la sua fidanzata.

  Nella casa patriarcale dei Giacobbe, antica e a suo modo accogliente, piena di memorie avìte, dove io sono vissuto fino all’età di dieci anni insieme alla nonna e alla bisnonna, donna dolce e saggia, zio Raffaele era una presenza familiare.

  Ricordo che nelle sere d’inverno, passate vicino al grande focolare, tutti attorno a semicerchio, ad un’ora fissa entrava lui, poco più che trentenne, con una fascia di lana attorno alla fronte a mo’ di passamontagna, la borsa dell’acqua calda, come si usava una volta, e i libri sotto il braccio. Scambiato un saluto con noi e dopo essersi un po’ rinfrancato al calore della fiamma, si dirigeva in una stanza del piano di sopra e lì, fino a tarda notte e poi riprendendo la mattina seguente, si metteva a studiare chino ore e ore su libri che a me parevano grossi mattoni di carta, con pagine tutte sottolineate a matita. Quando fui più grande seppi che a quel tempo, già da qualche anno laureato in Veterinaria all’università di Perugia (dopo aver  frequentato all’Aquila con profitto il liceo classico nel prestigioso collegio dei Gesuiti, lui figlio di piccoli agricoltori e modesti negozianti), si preparava per concorsi assai impegnativi, prima di vedersi assegnata una condotta di medico veterinario nel comune dell’Aquila. Era il tempo in cui l’allevamento di bestiame era ancora abbastanza diffuso nelle nostre campagne. 

  Zio Raffaele, che questo mondo aveva respirato fin da bambino in famiglia, entrava discreto e cordiale nelle stalle dei nostri villaggi, com’era nel suo carattere. Del resto i veterinari sono abituati al silenzio, quello dei loro pazienti, gli animali, di cui hanno imparato a comprendere la lingua.

  Mestiere particolare e per tanti aspetti romantico quello del veterinario di campagna. La sua figura, come e forse ancor più del vecchio medico di famiglia, è figura familiare e rassicurante. Abnegazione professionale, scrupolo, sensibilità alle emozioni semplici di tutti i giorni come la nascita di un vitellino : valori senza tempo della nostra civiltà contadina di cui sentiamo la nostalgia.

  Quante storie di vita vissuta avrebbe potuto raccontare zio Raffaele: storie vere, fatte di odori acri e di visi rugosi di gente per la quale la nascita di un puledro era considerata quasi alla stregua di un “lieto evento” e la morte di una mucca una piccola disgrazia di famiglia. Di quanta calda umanità avrà fatto esperienza. Quanta bellezza avrà assaporato negli sguardi dolci delle bestiole che ha curato, forse più riconoscenti dei loro padroni.

  Il Paradiso è pieno di animali, ce lo ha ricordato Papa Francesco. Loro capiscono, solo che in terra non potevano parlare. Adesso stanno tutti in fila a dirgli: grazie Raffaele !

  Grazie anche da me, e arrivederci, zio Raffaele, uomo buono di poche parole.

 

Mi associo ai tuoi pensieri su Raffaele e Mimina. Furono nostri ospiti qui in America per cinque giorni. Sufficenti per conoscere due persone umane, affetuose, e rare. Condoglianze a tutti i loro parenti
Eugenia Vitocco e famiglia.

 



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