QUEL ROSARIO DI PETROCCHI: “LA VICINANZA”

La vicinanza per dire all’altro, al fratello “non sei solo, ci sono anche io”. La vicinanza non sempre fatta di discorsi e di parole, ma anche di silenzi, di sguardi, di gesti. Son tutte forme di comunicazione, anche non verbali, che nella giornata in cui si celebrava il patrono dei giornalisti, San Francesco di Sales, non potevano essere sottaciute dall’arcivescovo metropolita Giuseppe Petrocchi. Il giornalista che deve usare sempre le scarpe per trovare notizie, come ha ricordato anche il Papa nel suo messaggio in vista della 55esima giornata mondiale delle comunicazioni del prossimo 16 maggio: “Comunicare incontrando le persone come e dove sono”. E questo anche in tempo di pandemia, affinando forme alternative purché si salvaguardi la verità dei fatti, affatto condizionata da pregiudizi. <Il giornalista deve avvicinare l’altro così come è, e l’altro deve trovare casa dentro di noi>. Lo ha ricordato, qualche giorno fa, il cardinale davanti al presidente dell’ordine dei giornalisti d’Abruzzo Stefano Pallotta e ai media aquilani, sgranando il rosario dei ricordi personali.
Quelli di un parroco che da poco aveva lasciato la guida della comunità religiosa di un piccolo paese di montagna in provincia di Ascoli Piceno dopo anni in cui si erano intrecciati rapporti familiari con la popolazione. Proprio come si telefona a un parente prossimo appena succede una disgrazia, una sera il futuro vescovo riceve una telefonata: “Va subito, mia madre è sola in ospedale al capezzale di mio fratello ricoverato d’urgenza in pericolo di vita in rianimazione”. Tutt’uno la corsa di Petrocchi in ospedale, la vicinanza con questa anziana signora sola su una panca, fuori dal reparto, in attesa di notizie del figlio che stava lottando con la morte. Seduti accanto, senza una parola ma solo partecipazione e un gesto. Don Giuseppe tirò fuori dalla tasca il rosario e lo recitò insieme alla donna. All’ultima preghiera, la buona notizia: il medico comunica la salvezza del figlio. Erano arrivati altri parenti, intanto. Petrocchi semplicemente abbraccia forte la mamma, uno sguardo, un sorriso, una carezza della donna: era il suo speciale grazie. Gesti che valevano più di mille parole, contraccambiati dal dono del sacerdote della corona prima di andar via. Anni dopo, appena monsignor Petrocchi fu nominato vescovo con la casa invasa già di messaggi, di doni anche importanti, si presenta sul suo uscio la sorella di quel giovane che gli consegnò un pacchettino per conto della mamma. Dentro c’era la corona del rosario, la stessa con cui avevano pregato insieme quella sera e poi le parole della figlia: “mia madre ti manda a dire che pregherà per te fino all’ultimo respiro”. <E’ il regalo più importante che ho ricevuto e che custodisco come sacro> e con questa chiosa il cardinale spiega la vicinanza.  
Federica Farda

 



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