GIANNI GIACOBBE, OGGI SPOSO: LA SUA PIÙ GRANDE AVVENTURA

I fanciulli Gianni Giacobbe e Luca Faccia

               a dorso dell’asina Giorgetta superarono il fiume

               dal ponte delle Pernagnova provenendo da chissà

               quale avventura. Io li salutai dalla riva, lontano

              e intento ad altre faccende.

                                       

               «Eh Gianni Gianni…se non cambi coccia!...»

               Il padre Arcangelo, un poco sconsolato

               ma in cuor suo contento, in un’estate già remota.

 

- di Fernando Acitelli -

Oggi Gianni è diventato ancora più responsabile e ha varcato la soglia d’una chiesa non più da invitato ma da sposo e si può dire che questa è sicuramente la più grande azione che egli abbia composto nella sua vita, oltre a quella, ovviamente, di custodire i propri genitori. A dire il vero, di lodevoli atti ne ha compiuti tanti ma adesso l’azione non è più individuale, insomma non si tratta d’un dribbling, ma d’una manovra ragionata, avvolgente come sentimenti, propositiva verso la vita. Se devo pensare ad un Gianni sposato un poco faccio fatica ma il tempo è un grande scultore e così noi tutti siamo da lui modificati – certamente anche in meglio – e quanto detto in interminabili notti estive in un’aia o al chiaro di luna davanti alla sua casa è adesso ricordo favorevole, tesoro per la memoria, angoscia per quei giorni fuggiti lestamente. La nostra amicizia nacque che lui era un fanciullo con il viso vispo, d’una ingenuità buona, e sempre con il sorriso in primo piano. Un poco ci legava anche il cognome: quello di mia nonna Maria era per l’appunto Giacobbe, lo stesso del padre Arcangelo mentre la madre di Gianni, Maria, era stata da bambina la grande amica di mia madre assieme a Lellina, quest’ultima figlia di Giuseppina Napoleone e Franco Corrieri. Le univa anche il luogo: la Piazzetta del Forno. Luogo mitico, fantastico per le avventure delle bambine dall’alba al tramonto. Uscite da casa erano sempre insieme e dunque il “vicinato” le avvolgeva e consentiva loro di svolgere tutte quelle azioni che competono alle bambine. La madre di Gianni, quando mi recavo nella sua casa, era solita ripetermi: «Con mamma tua, da bambine, non abbiamo mai litigato…» e lo diceva con sincerità e c’era la conferma successivamente da parte di mia madre, riferendole io quella frase.

Del padre Arcangelo – colui che della stirpe dei Giacobbe ha superato i 100 anni, raggiungendo l’incredibile vetta dei 101 – si devono ricordare i modi gentili, il parlare schietto, il suo apparire sempre sorridente: neppure una sola volta lo vidi contrariato. Egli era la riflessione allo stato puro, il motteggiare lieve ma che sottolineava come comportarsi nelle varie situazioni. A questo suo “filosofeggiare” che poteva sembrare come una distanza dalle cose pratiche faceva da contraltare la voce di sua moglie Maria che da lontano commentava quanto appena ascoltato ma che, con il suo carattere, soleva scendere più nel pratico delle questioni riportando il “filosofo” alla natura essenziale dei fatti. Ma si trattava d’una combinazione eccellente, l’uno compensava l’altra come stati d’animo e modi di procedere.

Caro Gianni, hai fatto bene ad inoltrarti verso l’Altare, hai adesso il tuo nido sicuro con Maria Teresa e le giornate d’ora in avanti saranno scandite da orari regolari, da sonno e veglia, e il ritmo delle stagioni si avvertirà in maniera esemplare. Deve esistere anche un ordine nell’inarrestabile fluire dei giorni e se tu hai partecipato a tanti matrimoni portando sempre il sorriso e la gioia di vivere, adesso tu, da invitato e dunque “comparsa”, sei diventato attore principale, e tutto questo è accaduto oggi e la cerimonia è avvenuta in quell’altro tuo luogo, ovvero L’Aquila, l’altra tua metà dell’anima, e così nella città del tuo liceo classico, dello spensierato passeggio sotto i portici, del caffè al bar “Eden” o al bar “Commercio” con l’amico di studi o quello delle “battaglie politiche”. A proposito del tuo liceo con l’entrata sotto i portici e tra via Patini e Piazza Palazzo, ricordo che in un dicembre clamoroso che venni ad Assergi, m’accolse a L’Aquila un freddo con ambizioni polari e, sceso dal pullman, non sapevo dove trovare riparo in attesa di prendere la corriera per Assergi. Nel mentre passeggiavo sotto i portici, avendo chiesto ad un assergese molto bravo che lavorava alla Azienda Turistica di poter lasciare per un poco i bagagli lì, m’ero risolto alla passeggiata sotto i portici nell’ingenuo tentativo di scaldarmi un poco. Ero, in fondo, un velleitario perché in quell’occasione il gelo ricordava egregiamente atmosfere della Russia dello Zar e in particolare mi distesi per bene con la mente in uno scenario dei “Fratelli Karamazov” nel mentre si recavano con il loro padre nel monastero per poter parlare con lo starec Zosima. (Lo starec è un mistico cristiano ortodosso ma significa anche vecchio). Dunque queste erano le sensazioni e fu una fortuna che t’incontrai sotto i portici, subito dopo il Convitto Nazionale, e tu, vedendomi oltremodo infreddolito, mi portasti prima al bar Eden per un cappuccino caldo e poi nel tuo liceo; e lì, appena superata la soglia, avvertii tepore, possibilità di quiete interiore. Ricordo ancora benissimo come mi poggiai su un favoloso termosifone di ghisa (pitturato avana) e rimasi ad esso attaccato; e mentre tu mi parlavi di tante cose, io non pensavo minimamente di poter abbandonare quel luogo. Dunque rimanemmo al caldo, a parlare, e tutta quell’aggressione che avevo sentito a proposito del gelo, lì dentro era scomparsa. In poche parole non volevo più uscire e sognai (addirittura) di dormire in quel luogo in attesa che il gelo concedesse una tregua.

Ora questo mio ricordo, che ripropone il tema dei vent’anni e della spensieratezza, serve anche per penetrare un poco l’animo di Gianni, il suo altruismo ed il desiderio di sollevare sempre l’amico che gli sta accanto, renderlo contento, farlo finire sulle sue stesse coordinate emotive ed esistenziali. Ma i ricordi a proposito di Gianni sono moltissimi e si può dire che essi attraversano almeno quattro decenni. Lo rivedo in Piazza nei giorni di festa in un Ferragosto d’affetti ricongiunti, di sorrisi larghi e camicie ben stirate; di donne serene che conversavano con amiche d’infanzia e che erano tornate ad Assergi dall’Australia, dal Canada, dal Venezuela. Questo il clima che si respirava dinanzi alla chiesa tra foto che partivano senza preavviso e per questo ancora più belle. Inoltre, nella scenografia, s’ammiravano donne e donnine ad affannarsi con il passo perché si sentivano in ritardo per la messa. Salutavano tutti di volo perché contava solamente giungere al più presto tra i banchi e nel silenzio della chiesa. E si coglievano anche, giù in fondo, oltre la Congrega, dalle parti di quel Belvedere da incanto, alcuni componenti della banda che sembravano sciatti, non ancora perfettamente in stile, ed alcuni di essi si mostravano per il momento soltanto in camicia mentre si vedevano altri a provare in solitaria il proprio strumento. Per i nobilissimi vecchi la festa era come un ripristino di energie (una sublime illusione!) ed anch’essi s’aspettavano molto dalla messa e, subito dopo, dalla processione. Per non parlare dello spettacolo degli spari dalle Cartiche.

 

Bene, in tutto questo scenario vociante e multicolore s’ergeva Gianni e lui che aveva già imbastito dei discorsi con degli amici o conoscenti ad esempio sul modo di portare avanti una certa procedura che poteva riguardare il territorio di Assergi oppure spiegare delle modalità circa il futuro dell’azienda turistica o del Parco che stava proprio allora diventando una realtà. Ed io, sopraggiungendo, m’inserivo nel gruppo che era già in una fase avanzata della discussione. Tacevo perché era giusto farlo. Ma che parole sentivo! Giuridiche a più non posso! E Gianni a citare regolamenti, procedure, delibere, opzioni, e così la Legge lo riguardava in maniera forte e pareva un giovane avvocato veramente da Un giorno in pretura. In quei momenti c’era tutto il Gianni delle riunioni senza fine, degli incontri politici, della esposizione dei fatti magari di paesi come Fossa, S. Demetrio: d’entrambi questi paesi egli conosceva il sindaco e un giorno mi portò con sé proprio a casa del sindaco di S. Demetrio. Ma, tornando alla piazza di Assergi, durante quelle conversazioni egli non scendeva mai di tono; in verità s’infervorava, cercava le parole giuridicamente più forti per chiarire meglio la situazione oggetto del dibattito. Quando poi le campane rintoccavano e i musicanti iniziavano la loro raffica di note, ecco che il discorso s’interrompeva e il gruppo un po’ allentava l’attenzione. Vi erano ancora istanti di serietà in Gianni, poi, come pulviscolo, le parole si dissolvevano e vigeva il rigore della festa. S’era quasi tentati a varcare la sacra soglia.

A L’Aquila, poi, era un continuo saluto e dunque un fermarsi e colloquiare su certi problemi che s’erano risolti soltanto in parte (questo io almeno sentivo dal colloquio breve ma comunque profondo). Passeggiare per L’Aquila con Gianni significava interrompere di continuo quel lieto procedere ma questo lo riferisco soltanto come evento di cronaca e non già per esprimere un giudizio. E ripreso il cammino, ecco che entravo pure io in quell’esistenza che avevamo appena lasciato: Gianni mi raccontava tutto e così con poche frasi era subito composto il ritratto di quel suo amico. E se questi accadimenti erano continui, si capirà come diventassi un conoscitore di persone e fatti della città ma anche dei paesi tutt’attorno. Poi, come in un’improvvisa nausea per la concretezza, tutto mutava e allora Gianni cambiava registro semantico e apriva nuovi scenari: «Stasera ce ne andiamo alla festa!...» E poi, durante l’aperitivo in un bar a Piazza del Duomo o sotto i portici, eccolo concentrarsi sull’abbigliamento, suo e mio:«Oggi sei perfetto, capelli corti e con ciuffo sulla fronte, Lacoste al bacio, scarpe tattiche, musica in sottofondo…» - questo diceva e i cin-cin scintillavano in quel bar in cui s’ammiravano sorrisi autentici ma anche forzati.

Dunque, accanto al Gianni “politico” scorreva, parallelo, il ragazzo pieno di progetti e s’intravedeva anche in lui un residuo di “eterno fanciullo spensierato”, quello della fraterna amicizia, del divertimento a oltranza, del sorriso mai sopito. Egli poteva recuperare una serata appena con un incontro: «Ciao Già, non ti sei visto più… Ma com’è?» - chiedeva una ragazza sul “far della sera” oppure in una tarda mattinata in cui a L’Aquila vecchi notabili analizzavano la situazione politica stando seduti al Caffè e avvocati a zonzo e con il sigaro tra le labbra spiegavano gli esiti clamorosi d’una sentenza. Tutt’intorno si respirava un idealismo hegeliano soprattutto nei cortili di abitazioni antiche con il pozzo nel centro come distinzione in un atrio con colonne. Si sarebbe rimasti per ore davanti a quello spettacolo che rappresentava tutto il tempo dissolto: faccende di notari, avvocati, nobiltà minore in una città con un respiro ancora borbonico. Ma per queste immagini dovevo essere da solo perché la libertà degli altri andava rispettata ed era giusto che quelle sensazioni rimanessero soltanto mie. Come pure il tempo speso ad osservare quel silenzio d’ombre.

Tutta L’Aquila conosceva Gianni e ancora oggi penso che tutte le persone che ho con lui incontrato e conosciuto gli avrebbero di certo dato fiducia nell’ipotesi d’una sua candidatura in una avventura politica. Ma a lui mancava quel sano cinismo, cioè la vera armatura politica che sa mettere da parte le idealità e che può creare un sublime fanfarone o un demagogo. La verità era che Gianni teneva sempre l’occhio puntato a casa, cioè ai sentimenti, ed era questo il suo valore o il suo limite, a seconda della prospettiva che si sceglieva.

Ho conosciuto tanti Gianni a seconda delle diverse stagioni della vita: il fanciullo paffuto, gioioso e sorridente mai stanco di stare con gli amici, tifoso del Milan e calciatore diviso tra il “campo” della Piazza ed il terreno di gioco della Co.Ge.Far; lo stesso fanciullo che, tutto soddisfatto, faceva ritorno a casa all’imbrunire; poi il ragazzo estroverso e aperto a tutte le novità che il mondo proponeva: la lunga chioma, il transito a Perugia più per emanciparsi e conoscere il mondo ed uscire dal guscio protettivo che per dedicarsi alle lezioni universitarie; quindi tutto preso dal demone della politica e così giornate e giornate spese rincorrendo persone che probabilmente avevano altre mire, forse più scaltre e con una vaga idea di sé. E poi la mansarda a L’Aquila, e quel via vai da bohemien dove il tempo pareva sospeso e la felicità sembrava sempre ad un passo. Caro Gianni, lo possiamo dire: ci siamo divertiti e molto spesso, d’estate, le tue notti sono state anche le mie e di questo ancora ti ringrazio. Né mi lasciasti una volta ingentilitomi scrittore e mi seguisti anche a Recanati. Ricordi il concerto con Luca Carboni? Che paura sul palco con tutta quella gente sotto di me!... E perché?  La cena successiva a quella esibizione assieme a Luca Carboni, la sua donna e gli organizzatori? Né posso dimenticarmi quando di notte ad Assergi non vedevamo proprio la via d’andare a dormire e allora la tua casa assomigliava ad un rifugio sicuro: lì non transitavano le macchine ed il cielo stellato consentiva la riflessione, sbracati noi sulle poltrone di fuori a vegliare sulle nostre speranze, dopo una solenne carbonara alle due di notte. E non è tutto questo un gioioso filmato?  Sapevi essere nobile e popolare e se ti interessava la politica non hai mai dimenticato gli amici e le notti felici sono state tante e dunque è giusto che dopo tutti questi clamori avvenga la quiete e la serenità. Nel mese di maggio del 1926, se non ricordo male, era nata tua madre e allora quale circostanza migliore per ricordarla che il tuo matrimonio?

Il sorriso sincero di tua madre e quell’odore di caldo buono quando entravo lì da te: «Assettate Nando…» - diceva Maria sorridendo. «Ma che dice quissu?» riferendosi a te. E cosa potevo risponderle se non: «Ha l’occhio lungo, Maria, non ti preoccupare. E poi è buono come te e Arcangelo…» Ecco, queste sono le immagini più belle che ti dono ma in questo giorno ho pensato anche a tua sorella Antonietta e poi a Peppe con i rispettivi coniugi e nipoti. Che dire ancora? Che mancavi soltanto tu all’appello.
 

E quando già pensavo che saremmo potuti finire ravvicinati sul modello del film La strana coppia, con Jack Lemmon e Walter Matthau, tu cosa fai? Ti sposi?!... Incredibile la vita! Eppure è bella anche per questo! E così tutte quelle notturne conversazioni, spesso venate di grandi progetti e ricamate dal tuo spirito bohemien, ecco, tutto è evaporato. Quella bella sequenza di parole è ormai archiviata e le mura della Strada Dritta o le pareti della tua macchina rimangono gli unici testimoni auricolari.



Condividi

    



Commenta L'Articolo