LA MISTICA DELLA MARMELLATA

Presentazione di Maria Elena Cialente.

 

L’interessante scritto che segue è una mia recensione all'attività letteraria di Mariaester Graziano, una scrittrice aquilana di grande talento. Laureata in Scienze dell’educazione e in Scienze psicologiche applicate, ha al suo attivo diversi lavori, tra cui i romanzi Camminando sull’acqua (Arkhé, 2016), In nome del rosa (Arkhé, 2017), La mistica della marmellata (Tabula fati, 2019) ed Ex O.P. (Tabula fati, 2020). Alcuni dei suoi racconti sono presenti in collettanee ed ha ottenuto vari premi e riconoscimenti. Dotata di una straordinaria capacità espressiva e di quella facoltà che, leopardianamente, definiremmo “doppia vista”, Mariaester è una narratrice di squisita eleganza e compostezza, una esploratrice dell’universo della marginalità che mette a nudo l’anima del personaggio lasciando che sia esso stesso a scarnificare la propria coscienza attraverso un lungo monologo interiore. La recensione che segue si occupa in particolare del suo romanzo più vicino al nostro territorio, colto nello squarcio e nel naufragio del post-terremoto.

 

                        

                            LA MISTICA DELLA MARMELLATA

                           recensione di Maria Elena Cialente

Alice nel paese delle meraviglie, altri libri, specchi, una vetrina che, tra tante cianfrusaglie, cerca di mettere in atto > (p. 5). E’ in questo delirio di oggetti, quasi spazio metafisico, che la protagonista della Mistica della marmellata della talentuosa scrittrice aquilana Mariaester Graziano inizia il suo lungo, tortuoso, salvifico colloquio con se stessa. Il romanzo è, infatti, strutturato come un lunghissimo monologo interiore. Succede poco all’esterno della coscienza. La voce narrante, che coincide con la protagonista, si mette in viaggio attraverso la propria dimensione intima (metaforizzato dagli spostamenti sul trenino), i propri ricordi, le proprie contraddizioni, la malattia. Si racconta e ci racconta anche quella che è la nostra società, passando attraverso la passione smodata per la tecnologia e i social, i giochi per bambini (dove mette in evidenza il meccanismo che la cultura dominante ha escogitato per affermare le differenze di genere, p. 136), le aberrazioni di un sistema che impone la bellezza a tutti i costi e i paludanti costumi dietro cui celarsi, quasi l’autenticità fosse un vizio da evitare accuratamente. Lo specchio, amato da bambina, capace di farla giocare con la propria immagine riflessa, ora non la riflette più: i vetri sono andati in frantumi, la coscienza si è lacerata. La malattia è passata su di lei dilaniandola, sottraendola a se stessa, spingendola a rompere in maniera compulsiva le superfici riflettenti divenute acerrime nemiche di chi non sa più ritrovarsi in quell’alterità inquietante che esse rimandano. E tutti quei vetri infranti, quelle superfici lucide spezzate diventano lo schermo su cui passa il film che narra l’assurdità del mondo a noi contemporaneo, della nostra perdita di ogni coordinata esistenziale. Non resta che misurare il tempo, quasi con attenzione maniacale, disporsi come spettatori delle vita altrui, ascoltare l’ossessione del buio che ha finito per risucchiare la protagonista, acuito dal disastro del sisma, dal naufragio di persone e cose costrette ad allontanarsi dai luoghi consueti, a reinventarsi in una dimensione inaspettata. Non resta che intraprendere un nostos che la porterà e ci porterà a casa, non solo e semplicemente una terra da abitare, ma una dimensione interiore di certezza.   La Mistica della marmellata non è solo un romanzo sul terremoto dell’Aquila: è un libro sui terremoti dell’anima. E la Graziano, docente e psicoterapeuta, ci insegna a prenderci cura di noi, delle nostre ferite, ad addomesticare i mostri che ci portiamo dentro, a trarre consolazione dalla dolcezza dei ricordi, dalla meravigliosa grandezza del creato e dal sentirsi parte di quel tessuto di umanità in cui ciascuno di noi trova il proprio senso. Proprio come i grandi scrittori ci insegnano a fare.

 Scriveva Anna Maria Ortese a proposito di Elsa Morante che >. “Donna di pena”, come le due summenzionate grandi autrici, anche la Graziano fonda la sua scrittura su una sorta di pedagogia del dolore: la narrativa, soprattutto quando declinata al femminile, nasce spesso da un vuoto, da una mancanza. E’ figlia delle lamentazioni delle prefiche o dello stesso planctus medievale, e il suo scopo è insegnare ad amare, includere, prendersi cura, ritrovarsi. Leggere la Graziano è rassicurante, anche quando la sua scrittura si addipana attraverso i percorsi dolorosi del nostro stare al mondo. E’ come stendere la mano e sentire che c’è qualcuno accanto. Questo perché la nostra Autrice ha delle doti narrative straordinarie: la sua scrittura procede su percorsi di grande delicatezza immaginativa e raffinatezza stilistico-espressiva, a tratti di autentica liricità, senza disdegnare l’umorismo, quello che necessariamente uno scrittore di abile tecnica di penetrazione nei meandri della mente umana mette in atto come antidoto allo scadimento nel melenso, e anche come strumento catartico. L’ironia di Mariaester ci strappa un sorriso, anche se amaro, ci fa sorvolare il dolore e posarci sulle cose con leggerezza, secondo la magistrale lezione calviniana. Così i ricordi della protagonista approdano al porto dell’infanzia, che ha un nitore tutto suo,  non scalfito dal bisturi del tempo e della disillusione: la memoria struggente dei nonni, degli odori buoni di cucina, dei colori rassicuranti dei quaderni e degli astucci. Si cresce e si diventa balbuzienti: dinanzi ad un trauma si può addirittura restare muti. A questo punto è la parola dello scrittore che ci soccorre, dando voce al vuoto, ai vetri infranti e in frantumi.  Il manichino è la creatura silenziosa che accoglie la confessione della protagonista e la salva. La salva lasciando che ella stessa trovi la strada della guarigione, che torni alle sue radici confortata, riappacificata con le moltitudini di cui la sua coscienza si compone, che tra i pezzi di vetro e specchio in cui si è frantumato il suo intero universo interiore, riesca a ricomporre in unità se stessa, come in un puzzle. Ma si tratta di un’unità capace di abbracciare la complessità della nostra coscienza, pacificata con le lacerazioni e le escoriazioni che inevitabilmente la vita ci procura. E la narrazione ci soccorre in questo processo di guarigione: >(p. 226).

 La mistica della marmellata è un libro di straordinaria profondità di pensiero, che fa meditare ma che soprattutto fa bene al cuore.  Insegna come entrare nelle vita degli altri in punta dei piedi, con grande rispetto, perché ognuno ha il proprio carico di dolore. E ci ricorda che ognuno ha ricevuto anche il dono dello sguardo magico, quello che ci consente di stare al mondo scoprendolo ogni volta nella sua incredibile e misteriosa bellezza.



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