CI STEA ‘NA ‘OTE - LA LEGGENDA DELLA NASCITA DEGLI ABRUZZESI
Posted by Antonio Giampaoli | 2021-05-19 | Commenti: 3 | Letto 989613 volte
- di Camillo Berardi -
Versi di Mario Lolli
Musica di Camillo Berardi
Esecuzione della Corale Gran Sasso diretta dal M° Carlo Mantini
“CI STEA ‘NA ‘OTE” -L’AMMALIANTE LEGGENDA DELLA NASCITA DEGLI ABRUZZESI
Tra le opere più affascinati scritte dal poeta aquilano Mario Lolli, figura il racconto in versi “Ci stea ‘na ‘ote”, una fiaba ammaliante che narra in maniera originale la nascita degli Abruzzesi “Forti e gentili”.
L’Abruzzo, con oltre il 30% del territorio inserito nel comprensorio dei parchi, rappresenta la regione più verde d'Europa, superbamente dominata dalle vette più alte dell'Appennino.
Questi scenari straordinari, dai fascini infiniti - dove la natura ha creato stupefacenti prodigi non privi di mistero - sono stati testimoni silenziosi di civiltà antichissime che affondano le radici nella preistoria, nei miti e nelle leggende, trasmesse da tempo immemore di padre in figlio, oralmente e a memoria.
Ignazio Silone ha scritto che "Il destino degli uomini della regione che da circa otto secoli viene chiamata Abruzzo è stato deciso principalmente dalle montagne", ma anche l'origine della fiera stirpe abruzzese, "Forte e gentile", è legata ai monti; non a caso la Majella e stata chiamata "Magna Mater" da Ovidio, Macrobio e Lucrezio, e "Montagna materna" dal popolo abruzzese.
Il rapporto ancestrale tra l'uomo e l'ambiente continua, silenzioso e inarrestabile, sulle superbe montagne abruzzesi dove "i taciturni dalle spalle quadre", nostalgici delle proprie radici remote, tornano a riscoprire l'originario tempio della vita.
Nella località di Bocca di Valle - nei pressi di Guardiagrele (CH), alle falde della Majella, il mito atavico della "Montagna Madre" rivive, superbamente, nella gigantesca epigrafe scolpita sulla nuda roccia, all'esterno del suggestivo Sacrario che accoglie - in una grotta -le spoglie dell'eroe abruzzese Andrea Bafile, (Medaglia d'Oro 'al Valor Militare), caduto sul Basso Piave nella prima guerra mondiale; la mastodontica iscrizione rupestre, su parole dettate da Raffaele Paolucci, recita testualmente:
"Figli d'Abruzzo morti combattendo per l'Italia e sepolti lontano tra le Alpi e il mare, la Maiella madre vi guarda e benedice in eterno". Mai, come questo luogo, il nome di Madre è appropriato e commovente. La montagna che nei secoli ha idealmente custodito le vigorose virtù delle genti d'Abruzzo, accoglie nel suo grembo materno un figlio eroico della sua terra, e rappresenta, ad imperituro ricordo, l'altare dell'eroismo abruzzese.
L'inesausta sete di conoscere le nostre radici, e l'ansia, mai sopita, di riscoprire i caratteri originali della nostra cultura, in ogni tempo hanno cercato di ricostruire e ricomporre la genesi delle nostre origini, attingendo alla storia, scavando nella memoria e nei segreti del passato, catturando sinanco nel fantastico e nell'immaginario. Attraverso queste leggende ammalianti, scopriamo moltissimi elementi che ci svelano universi sconosciuti - o poco noti - che ci appartengono, dai quali si e dipanata l'avventura umana.
E' noto, del resto, che i popoli di tutto il mondo non intendono fermarsi ai meri avvenimenti della loro storia di ieri o di oggi, ma vogliono risalire molto indietro nel tempo, e ritrovare, attraverso le loro tradizioni e credenze, la propria identità e le proprie origini.
Il maestoso Gran Sasso, aspro e selvaggio, con le sue vette vertiginose - definito "Re degli Appennini" - e la Majella - denominata "Gran Madre" e "Montagna materna" - con forme gentili, sinuose e morbide, rappresentano i luoghi più incantati e più incantevoli dell'Appennino, e vantano una storia millenaria, antichissima, avvolta da miti e leggende che ancora oggi esercitano un fascino particolare. Questi attraenti “giganti di roccia” sono custodi gelosi e silenziosi della nostra storia millenaria e delle nostre origini con radici culturali profonde, fondate anche su fiabe e leggende popolari situate al confine del mondo conosciuto e al di fuori del tempo. Tali racconti, desueti e non convenzionali, ancorati, a volte, alla primitiva visione della natura, contribuiscono alla ricostruzione delle nostre ataviche culture, rifacendosi alle primordiali personificazioni dei monti, agli ancestrali processi antropomorfici, a miti cosmici e a reminiscenze primitive in cui e racchiusa l'essenza autentica del popolo abruzzese
Le montagne, stagliate verso l'infinito e permeate di arcana magia, hanno sempre ispirato l'immaginario, sia individuale che collettivo, sia colto che popolare, con ampi margini di fantasia, ma sappiamo che le leggende che ne derivano, sottendono sempre un fondo di verità.
La fiaba "Ci stea 'na 'ote", scritta dal poeta aquilano Mario Lolli, è ambientata nel nostro pianeta, paragonata ad un "gomitolo" (gammotta) - vagante nell'universo insieme alle stelle e ad altri corpi celesti - ricoperto da aridi oceani di rocce e da sconfinate distese di ghiacci, agli albori delle primordiali e rare forme di vita, prima della comparsa dell'uomo sulla Terra.
In questo scenario selvaggio e desolato, l'impervio Gran Sasso e la maestosa Majella - più bella delle altre montagne - assumono sentimenti umani e con la loro storia d'amore, accolta festosamente dal primigenio rigoglio della natura trionfante e variopinta, diventano i protagonisti, responsabili dell'origine della fiera stirpe abruzzese, "forte e gentile".
La fiaba, desueta e al di fuori dei clìches convenzionali, rappresenta suggestivamente la "La leggenda degli abruzzesi" e come ogni favola incomincia con “Ci stea 'na 'ote” (C’era una volta):
“CI STEA ‘NA ‘OTE”
Versi di Mario LOLLI
Musica di Camillo BERARDI
‘Nu tempu lontanu de seculi arrete, Un tempo lontano, tanti secoli addietro, mmischiata aji soli e alle stelle comete, mischiata ai soli e alle stelle comete, 'ntuvina 'nu pocu che ss'era prodotta? indovina un po' che cosa si era formata? 'na cosa curiosa: 'na specie 'e gammotta. una cosa curiosa, una specie di gomitolo. Sopr'essa ci steano, a fattela breve, Sopra questo c'erano, a dirtela brevemente, fiumane e montagne coperte de neve; fiumane e montagne coperte di neve; pe' fa' la parija a 'ssi chiari de luna, per far la pariglia a questi chiari di luna, de bestie e de piante sortanto chigguna; di bestie e di piante soltanto qualcuna; 'na freca de sassi, petroliu e metanu, moltissimi sassi, petrolio e metano, ma manco la puzza de quacche cristianu. ma neanche l'odore di qualche cristiano. Durante 'sta lagna, 'ntramezz'a 'st'ammassu, Durante quella lagna, in mezzo a quell' ammasso, 'nu monte de quiji, chiamatu GRANSASSU, un monte di quelli, chiamato GRANSASSO, che ss'era scocciatu de vive 'n zurdina, che si era scocciato di vivere in sordina, decise 'nu jornu de fa 'na manfrina. decise un giorno di fare una bravata. Senténnose dentro 'nu stranu calore, Sentendosi dentro uno strano calore, 'na voja de fa' justappundu all'amore, una voglia di fare proprio all'amore, jettò tutt'attornu 'nu sguardu assassinu gettò tutt'intorno uno sguardo assassino e vedde, ma pròpetu loco vicinu, e vide, ma proprio lì vicino, vistita de neve, coperta de ggelu, vestita di neve, coperta di gelo, ma pîna de sole e d'azzurru de celu, ma piena di sole e d'azzurro del cielo, 'na bbella montagna dell'atre cchiù bella una bella montagna delle altre più bella che d'era chiamata de nome MAJELLA. che era chiamata di nome MAJELLA. Ji fece 'na corte cuscinta spietata Le fece una corte così spietata che quella pe' forza remase 'ncantata. che quella per forza rimase incantata. Siccome era femmona e quinni ciuciuetta Siccome era femmina e quindi civetta se fece, perciò, retira' la cauzetta; si fece, perciò, ritirare la calzetta; pe' pocu, però, pecchè già se vetea per poco, però, perché già si vedeva che, gira e revota, pur'essa ci stea. che, gira e rigira, anche lei ci stava. S'amôrno cuscinta co' tutte le forze Si amarono così con tutte le forze che, pe' ju calore, la neve se sciorze; che, per il calore, la neve si sciolse; la terra finì d'esse soda e gnorante, la terra finì di essere soda e ignorante, spuntôrno coll'erba 'nu saccu de piante spuntarono con l'erba tantissime piante de tanti colori pe' fa' da cornice di tanti colori per fare cornice la cchiù naturale a 'ssa coppia filice. la più naturale a quella coppia felice. Appena passati 'nu pocu de mesi Appena passati pochi mesi nascèttero ji fiji chiamati ABBRUZZESI: nacquero i figli chiamati ABRUZZESI: cuscì ficurôrno aju Statu Civile. così figurarono alla Stato Civile. La razza ch'escette fu forte ggintile. La razza che uscì fu forte e gentile.
oooooOooooo
Lo saccio che tu, che sci' curtu de mente, Lo so che tu che sei corto di mente, vurristi sape' come mai quella ggente vorresti sapere come mai quella gente - pozz'esse mo' accisa la curiosità - - possa essere ora uccisa la curiosità - tenesse nnascuci 'sse ddu qualità. avesse nascoste queste due qualità. La cosa me pare ch'è pròpetu vecchia; la cosa mi sembra che è proprio vecchia; comunque pe' ti la ripeto, ma attecchia. comunque per te la ripeto, ma ascolta. Comenzo: la forza ji venne affibbiata Comincio: la forza gli venne affibbiata pecchè abbonicundi 'ssa gente era nata perché, in conclusione, quella gente era nata da ddu' gginitori chiuttostu rubusti da due genitori piuttosto robusti (parlenno moternu dirrìa da ddu' fusti); (parlando modernamente direi da due fusti); risponno e concluto pe' lla ggintilezza: rispondo e concludo per la gentilezza: ji venne trasmessa pe' via dell'ardezza. gli venne trasmessa per via dell'altezza.
La melodia del componimento composto da Camillo Berardi, si snoda in un variegato alveo di modulazioni armoniche continuamente mutevoli, originando sonorità sempre nuove e diverse, dense di pathos. Camillo Berardi
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