Gli Artigiani Ambulanti: Quelli di Altri Tempi o Ere - di Eugenia Vitocco

Gli Artigiani Ambulanti: Quelli di Altri Tempi o Ere

- di  Eugenia Vitocco, USA -



Ancora una volta, sentendomi abile a scrivere e la mia mente me lo concede, stando a quello che ci raccontavano i nostri nonni e genitori; nelle loro ere passate, non era cosi` duro il vivere come si pensa, adesso. Le popolazioni in quei tempi vivevano piu` unite tra di loro, c'era piu` comunicazione, e cio` lo testimoniano le case che costruivano, l'una attaccata all'altra dove dal mattino alla sera si ascoltavano tra di loro; e se ridevano e se piangevano con immenso senso di umanita`. C'era convivenza, c'era altruismo, protezione, e fratellanza. Si mangiava e si faceva mangiare e si soccorrevano i bisognosi tutti quelli che ammalati e poveri nati, non potevano farcela da soli.

Essendo mia nonna una vedova con due bambini, nel diciannovessimo secolo noi le chiedemmo <> Ci rispose <>. Eravano una grande familglia, c'era umanita` in Assergi e altrove. Ci si aiutava non per vanto (o vantarsi) non per religione era una rivelazione di un innato dovere, di buoni sentimenti, di buona gente, un po` come tutti fratelli e sorelle. Vivevano di poco ed avevano un grande senso di ospitalita` anche per i forestieri. Cosi` sara` stata la vita in tutte le terre nelle ere passate. Ai miei tempi nel ventesimo secolo, li in Assergi quando noi ci alzavamo al mattino, c'era sempre un nuovo avvenimento che ci aspettava. Un qualche artigiano ambulante che veniva dal Lazio e propriamente dalla Ciociaria: gli ombrellai, i sediari, gli stagnini (questi aquilani), i sarti, gli arrotini, i setacciari, e tanti ciarlatani che ci facevano discorsi contro medici e prodotti farmaceudici, considerandoli veleni contro l'umanita`. Esaltavano erbe e prodotti naturali da usare per curare le malattie delle ere. Migravano tutti da un paese all'altro a piedi o a cavallo e quella era la loro maniera di vivere per sostentare le loro famiglie, che attendevano il loro ritorno nelle loro case. Mi e` rimasto impresso l'ombrellaio: noi bambini lo circondavamo per vedere come riaccomodava le ombrelle rotte. Metteva una pezza su pezza, le cuciva e poi` eliminava la parte vecchia strappata, rinforzava i ferretti e li riallacciava, riallucidava il bastone e poi la riconsegnava al padrone; usabile ancora per lungo tempo. I sediari che ci facevano sedie e ce le rimpagliavano, gli stagnini che ci ristagnavano le caldaie e cucchiai e forchette. Questi generalmente sostavano li` tra l'Arco della porta e il posto della Porta, e a me non piacevano troppo perche` per sciogliere lo stagno usavano un fornellino con carbon fossile ed affummicavano tutto il paese, e quel fumo ci faceva vomitare.

Gli arrotini ci riaffilavano i coltelli le forbici ed attrezzi agricoli. Tutti migratori ambulanti, gente felice, ridevano, cantavano, e facevano ridere ed esplicavano la loro arte, il loro mestieri con onesta` e rispetto e sempre ci promettavano di tornare ancora. Ripartivano contenti con un gruzzoletto di moneta per alimentare le loro famiglie. C'erano tante storielle su questi artigiani ambulanti, ed alcune non tanto piacevoli da raccontare, ma una la racconto la storia di uno di loro che non e` piu` tornato a casa, perche` attraversando i monti della Maiella fu assalito da un branco di lupi affamati e di lui furono ritrovati soltante i piedi dentro alle scarpe.

Una storia dolorosa che rattristava sentendola raccontare. Essi erano anche ciociari, facevano ciocie, con cappelli usati ed altri tessuti e non mi astengo dal riportarlo; ritornarono in uso durante la guerra e ce le facevano da soli. Al tempo di Natale arrivavano gli Zampognari con le loro cornamuse (e ciarammelle) e riempivano con quelle melodiche musiche i nostri cuori. Venivano a cavallo e noi li ringraziavamo con doni ed anche moneta, come doni del Santo Natale. Di questi ricordo il vestimento. Pantaloni corti fino al ginocchio, sorretti da elastica e calze di lana e cappucci neri con coda. Persone che usavano familiarlmente le zampogne, e ne consacravano l'origine glorificando i motivi e i loro antentati che per primi suonandole glorificarano la nascita di Gesu` Cristo. Erano piccole carovane. Continuarono a tornare fino all’anteguerra e poi non si son visti piu`. Ce n'era rimasto uno a L'Aquila. Soggiornava in Piazza dele Duomo e con organetto cantava sempre la stessa canzone <>. Forse quel vecchietto e stato l'ultimo a menzionarli; nella sua mente ne aveva previsto e ne prediceva la scomparsa. Quella grande guerra ha spazzato tutto; le meravigliose ricorrenze e usanze secolari come anche gli zambognari e i loro strumenti musicali che risalivano all'Impero Romano or che addirittura gli Scoccesi e gli Irlandesi e i Romani ne avevano rubato il brevetto per farne uno strumento musicale e di rilassamento per i loro eserciti nelle ore di riposo. Venivano anche i cantastorie, carovane di zingari con quei carretti a capanna dove dormivano, non troppo bene accolti da noi e non fidati. L’identificavano ladri e ruba bambini. Li mantenevano a largo con scarsa accoglienza, dimostrandogli di essere ospiti non gradi.


Questi ricordi continuano ancora ad essere vivi nella mia mente; forse perche` lasciando te Assergi  in quel momento che ti dissi Addio, si fozzilizzarono nella mia mente ed ora si son risvegliati (risciolti) e sento il dovere di trasmetterli con piacere tramite questi miei scritti e per dimostrare che anche in altre ere in poco e con poco si vivevano giorni meravigliosi e pieni di gioia` e specialmente con il ritorno annuale degli artigiani ambulanti che con le loro arti rompevano quel ritmo di vita un po` stagnante dei nostri paese d'Abruzzo. E con questo scritto ho soddisfatto anche le assidue domande dei miei nipoti e nipote, entusiasti di conoscere la mia vita vissuta in parte li` in Assergi e in Abruzzo.

 



 



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