Sonia Ciuffetelli: impegno, ricerca e culto della parola di una talentuosa autrice aquilana

- a cura di Maria Elena Cialente -

 

Sonia Ciuffetelli, prolifica e versatile autrice aquilana, è una delle figure più talentuose e interessanti del nostro territorio, ma non solo: la raffinatezza delle sue liriche, la ricchezza e la complessità dei temi affrontati, la verve comunicativa e il piglio sperimentale dei suoi versi, così come l’eleganza e la ricercatezza della prosa, la collocano a pieno titolo sul piano più ampio della letteratura italiana a noi contemporanea, come ben dimostrano i numerosi riconoscimenti e il successo di critica e di pubblico riscosso dalle sue pubblicazioni.

Laureatasi in Lettere all'Università degli Studi di Roma La Sapienza, esordisce come narratrice con la raccolta di racconti Ordinaria nevrosi dell'anima, edito da Tracce nel 2003.

La silloge La farfalla sul pube ottiene un riconoscimento al concorso letterario Nuove scrittrici del 2002, classificandosi al terzo posto: la giuria del premio è presieduta da Maria Luisa Spaziani e da Annamaria Giancarli.

Nel 2004 la lirica Schiava ottiene il terzo posto al concorso internazionale Storie di donne poesie di donne e nello stesso anno l’autrice frequenta la Scuola nazionale di drammaturgia diretta da Dacia Maraini.

Successivamente la sua raccolta di racconti dal titolo Lampi d'ingenuo conquista il primo posto al Premio Nazionale Logos per inediti e viene pubblicata nel 2008 dall'editore Giulio Perrone.

Nel 2010 Sonia Ciuffetelli pubblica la raccolta di poesie Petali di voce, sempre per l’editore Giulio Perrone.

 Numerosi suoi racconti e poesie sono pubblicate in antologie. La sua poesia dal titolo Come il moto della Luna è stata inserita in Rosso da camera,­ antologia poetica curata da Letizia Leone, con poesie di Dacia Maraini, Tomaso Binga, Jolanda Insana, Serena Maffia, Cetta Petrollo, Gabriella Sica, Patrizia Valduga (Giulio Perrone Editore, 2012).

 Il 2012 è anche l’anno in cui il suo monologo teatrale Cercasi tozzo di pane viene messo in scena dal teatro Ygramul di Roma.

 Nel 2016 viene pubblicato il saggio storico-biografico Non ho vergogna a dirlo, Portofranco editore. Del 2017 è il suo romanzo Un velo sulla memoria, Augh edizioni e nell’anno successivo vede la luce la silloge La farfalla sul pube per Arcipelago Itaca. Le ultime pubblicazioni sono la raccolta di racconti Scatto senza posa, Scatole parlanti 2020, e la recentissima silloge La colonizzazione invisibile, edito da Arcipelago itaca.

Sonia Ciuffetelli è docente di italiano e storia nei licei statali. Specializzata in didattica della scrittura, organizza ed insegna scrittura creativa. Presidente dell’associazione culturale Le Muse Ritrovate, ha curato in qualità di direttore artistico il festival Weekend d’autore a L’Aquila, evento che conferma l’impegno dell’autrice a favore della promozione della cultura e in particolare per le lettere nel nostro contesto cittadino.

1.    Riesci a passare con estrema facilità dalla poesia alla narrativa, dal teatro alla saggistica. Comincerei da una domanda che può sembrare scontata ma che invece non lo è affatto: che cosa significa per te la scrittura?

La scrittura è l’altra parte di me, è il luogo al di là del confine. La scrittura esplora le zone in cui non arriva lo sguardo semplice o superficiale; per me è anche il coraggio della verità e della denuncia.

 

2.    Hai iniziato a scrivere con assiduità dal 2002, anno in cui hai avuto il primo riconoscimento ufficiale al premio Nuove scrittrici indetto dalla casa editrice Tracce. In giuria, tra gli altri, la nota poetessa Maria Luisa

Spaziani e l’aquilana Anna Maria Giancarli. In concorso, alcune poesie tratte dalla raccolta La farfalla sul pube, all’epoca inedita. Perché, nonostante il riconoscimento, hai voluto attendere tanto tempo prima della pubblicazione?

Mancava ancora qualcosa, avvertivo un senso di incompiutezza, consideravo La farfalla sul pube una bozza, anzi un bozzolo non ancora pronto per trasformarsi. Ci sono voluti tanti anni per realizzare il processo e per liberare quelle poesie dallo stato iniziale. Fare poesia è una delle operazioni più complesse sul piano della tessitura linguistica e a livello di equilibrio retorico. Quel premio per me è stato importante perché il consenso della giuria mi ha come suggerito che stavo andando bene, che quella era la mia strada, ma sapevo che dovevo ancora lavorare per percorrerla e per costruire una poetica.

 

3.    La poesia posta a mo’ di introduzione della raccolta La farfalla sul pube, intitolata Manifesto perché vuole essere un manifesto di poetica, inizia con “Cantami o diva”, rivelando l’intenzione che vai poi subito dopo a smentire,  di porti dentro una tradizione letteraria che rivisiti,  con cui giochi, mescolando luoghi e espressioni auliche a scelte lessicali umili, intrise spesso di un’ironia corrosiva. Ecco, vorrei chiederti com’è il tuo legame con la tradizione e quanta forza gioca nella tua composizione la spinta verso la ricerca di nuove soluzioni espressive.

Senza la consapevolezza storico-letteraria, senza tradizione noi saremmo privati di un tesoro umanistico sviluppato in millenni di storia. Saremmo vicini al senso primitivo dei primordi, come mutilati dalla ricchezza culturale che altri popoli e altre civiltà hanno tramandato fino a raggiungerci. La tradizione permette un confronto, noi oggi possiamo misurare le capacità e l’inventiva, riconoscere limiti e risorse, dunque io sono in costante relazione con i classici. Ma la spinta verso la contemporaneità è fortissima, mi piace vivere il presente letterario, voglio conoscere tutto pur sapendo che è impossibile, sono avida di letture di autori viventi e di classici della contemporaneità, mi piace entrare nella scrittura dei poeti e degli scrittori che rappresentano la realtà in cui vivono, il mondo in cui si muovono perché soltanto un contemporaneo può offrire al lettore lo sguardo immerso nella società, nella politica, nelle emozioni condivise, che caratterizzano un’epoca.

4.    Sempre nella poesia in limine scrivi (p.14): E il poetare, bella sposa a cosa serve? Non serve, Luchino, pure quel che non serve esiste: a non fare la serva e non serbare rancore/ a non servire ed asservire/ persino a non asserire ma ad evocare/a vocare e a non vociare ma a sussurrare/a canticchiare, a manifestare quello che la piena baldanza non ti fa capire .

Si tratta di un manifesto di poetica in cui sottolinei più volte che la poesia è strumento di libertà e di conoscenza, una conoscenza che nasce però dalla consapevolezza degli umani limiti “a non fare la serva, e non serbare rancore/a non servire ed asservire (…) a manifestare quello che la piena baldanza non ti fa capire”. Quanto conta per te il tema della libertà (una lirica premiata come Schiava lo ripropone) e la spinta alla libertà espressiva?

 

È fondamentale per me. Le convenzioni ci stringono dentro i perimetri, massificano. Fare massa aiuta a semplificare e a riconoscersi in parametri e linguaggi condivisi, costruisce una sorta di uguaglianza apparente. C’è chi ama vivere così, essere conformi crea una centralità confortevole, aiuta a ri-conoscersi in superficie.

Eppure la scrittura, se ha delle cose da dire o da evocare, ha bisogno di uscire dalla zona di confort, trovare uno sguardo che si liberi dalla patina dorata della convenzione. Chi scrive ha bisogno di sentirsi libero, di essere realmente libero e di scovare i perché, di capire come ci muoviamo nel mondo e come il mondo ci permette di farlo. I miei libri a tratti sono scomodi, forti…ma non uso effetti speciali, non credo ce ne sia bisogno.
 

5.    A proposito di temi, la tua raccolta ne è carica  e ogni poesia richiede riflessione, dopo l’emergere dell’emozione. Potresti indicarci i contenuti che occupano uno spazio maggiore nella tua produzione poetica?

Petali di voce evoca i paesaggi interiori dell’immediato post sisma. È un libro scritto di getto, uscito nel maggio del 2010, a un anno dal tragico evento. La farfalla sul pube nella prima sezione tratta di poesie di argomento amoroso: l’amore come perdita o come valore aggiunto, l’amore lacerato e quello sbocciato. Poi il libro si trasforma al suo interno, talvolta i versi diventano giochi linguistici e ironici, altre volte, come nella sezione “Lavori in corso “diventano denuncia, ricerca di certe mancanze, speranza di ricostruzione e di rinnovata bellezza.

6.    La farfalla ritorna nella lirica “L’invisibile” a p. 24 “Mi poso sulle tue labbra notturne/divento stilla /ripiena d’ali e tempo” (immagine bellissima). Io ho avuto la sensazione che la poetessa/farfalla voglia dare la parola a chi non sa esprimersi, a chi non sa riannodare i fili della memoria. C’è in te questa spinta?

Sì, c’è anche questo. Dare la parola significa permettere di esprimersi totalmente, estendendo la voce e il senso al massimo grado e consentire di trovare il modo per farlo.

7.    La terza sezione sempre all’interno de La farfalla sul pube è ispirata al terremoto che ha colpito la nostra città e con cui facciamo ancora i conti a causa della ricostruzione ancora in corso, non a caso la intitoli Lavori in corso. Com’è forte e densa di significato l’espressione a p. 59 “Noi dentro centri-fugati” che sottolinea la confusione (il soggetto che è centro di se stesso, è stato messo in fuga da se stesso) e la messa in fuga dal centro della città: credi possa essere valida questa mia interpretazione alla luce anche di quanto continui a “cantare” nel prosieguo della sezione?

Sì, c’è il senso della confusione come tu dici e anche quello dell’impotenza. La fuga dal centro dei cittadini costretti a lasciare velocemente il nucleo cittadino terremotato, fuga dal luogo del disastro per mettersi in salvo e fuga dal centro di se stessi; la costrizione ad uscire fuori da sé e reinventare un lavoro, una casa per adattarsi a una zona come luogo fisico e come luogo interiore diverso da quello al quale eravamo abituati e che avevamo conquistato o scelto. E il gioco di parole estende i significati e quel centrifugati diventa propriamente il senso di essere addensati, costipati, impastati rapidamente dalla necessità di agire e riadattarsi: fuga, rientro, trasloco, ricostruzione, dislocazione di tutti gli uffici, dislocazione di amici, parenti, una vita diversa, un equilibrio da ritrovare.

8.    Il tema del terremoto ti aveva già ispirato l’intera silloge Petali di voce. Credo che tu sia stata bravissima nel cogliere e nel rendere a parole l’atmosfera del centro ancora semidiruto o in ricostruzione, sottolineando la presenza di polveri e odori forti. Ci vuoi parlare meglio del tuo rapporto con questa difficile esperienza che torna anche nel racconto Scatto senza posa dell’omonima raccolta?

Dal sisma in poi e per lungo tempo si è aperto un vuoto e ho dovuto lavorare sodo per colmarlo.  I problemi della ricostruzione hanno impedito alla mia vita di andare avanti nella direzione che aveva imboccato e ho dovuto rinunciare ai miei progetti e agli impegni presi. La fatica maggiore è stata quella di gestire il disastro senza farlo pesare alle persone che si relazionavano con me e che provenivano da altre regioni, da altre zone e per forza di cose non riuscivano a cogliere l’entità delle difficoltà oggettive, il senso di perdita, gli ingenti impegni finalizzati a trovare una strada per rimettere in piedi la casa in un momento in cui tanti di noi vivevano lo stesso problema e sembrava non esserci più senso della solidarietà. Intorno a me c’era un cimitero di palazzi abbandonati, luci spente e fuori, a qualche chilometro, tutto continuava come se non fosse successo niente, è così che vanno le cose e lo sapevo ma in quel momento e per un po’ di tempo ho fatto fatica a reintegrarmi.

9.    Nel titolo della raccolta alludi a una poesia (la farfalla) che si posa sull’intimità e sul mistero del mondo. Che cos’è per te la poesia e quanto c’è, secondo te, ancora di intimo in un mondo in cui i social, la televisione, penetrano nel privato rendendo tutto pubblico?

La poesia sa posarsi sui misteri, ha questo potere, sì e sa scovare il senso dei comportamenti delle persone, degli elementi della natura per fare solo due esempi. La poesia sa vedere oltre e sa arrivare allo strato nascosto dalla superficie. Lo fa quando parla delle persone, dei concetti, delle cose. È strettamente correlata alla spiritualità laica, a quel livello di conoscenza che accende i nostri dubbi e ci conduce alla consapevolezza che possono esistere diverse risposte alla stessa domanda. La realtà percepita in superficie non è la stessa realtà che quel fenomeno nasconde. 

Questo tipo di intimità non ha nulla in comune con il nostro esporci ai social e con l’essere inclusi nel grande villaggio dei media. È vero che i social penetrano nel privato se noi lasciamo che questo accada. La sfida ora è non lasciarsi assorbire dalla rete e quindi costruire una consapevolezza, sapere cosa facciamo quando esprimiamo delle preferenze, quando scarichiamo una app, quando digitiamo qualsiasi cosa che riguarda noi stessi.

10.                   I social entrano prepotentemente proprio nella tua ultima silloge La colonizzazione invisibile di cui farai presto la prima presentazione: ce ne vuoi parlare?

Nel libro LA COLONIZZAZIONE INVISIBILE edito da Arcipelago itaca io do la parola a un utente- persona (e non a un utente-cliente) che snoda via via la sua riflessione sulle gioie e sui limiti del progresso.

 È un libro che guarda il web dal punto di vista di chi ha vissuto due mondi, quello prima di Internet e quello presente; tra versi e narrazioni-lampo i testi toccano più argomenti, tutti saldamente correlati, che tessono i fili di una trama sottesa. Sono pagine che si occupano di quanto impatto ha Internet sulla democrazia e sulla privacy, accennano alle nuove paure che ci caratterizzano, al concetto di sviluppo e progresso. Vi regalo alcuni versi:

Io e te, una nuova amica

Un cielo ammantato di pixel e nessuna nuvola

sotto la luce arcuata della notte silente.

Immaginare il corpo sbucare dalle parole compatte

del monitore illuminato, solcato da caratteri mobili

immaginarti uscire fuori leggera, una libellula ambrata

fuggita dalla resistenza di una comunicazione monca,

atterrata dalle assenze di voci

latitanza dei colori naturali.

Succhiando il tempo era sfuggito al controllo

quel che ieri non avevamo capito oggi è passato.

Incontrarsi tra queste distanze non è casuale,

a sorprenderci ogni volta è il nostro idioma

infitto tra la mia pelle chiara e i tuoi pori africani.

Un cortocircuito ci elettrizza fino alla scarica che ci distacca.

Nei nostri occhi la panna assorbita nella bolla di pixel, la

condivisione.

Una di noi due si assorda di elementi cliccati e salvati l’altra ogni

volta dimentica.

Nessun amuleto ci protegge e insieme sogniamo un giorno di

vederci

raccontarci naso contro naso le nostre arti,

toccarci per riconoscerci

come due amiche di sangue e carne,

tutto quello che abbiamo creduto di

scorrere sul monitore

il silenzio non tracciato evocato dal bianco.

1.    Sia in Lampi d’ingenuo che nel romanzo Un velo sulla memoria, così come in alcuni racconti dell’ultima raccolta di prose Scatto senza posa, compaiono figure femminili spesso alle prese con le loro nevrosi, con la necessità di affermarsi nel mondo, magari simpatiche canaglie come la protagonista del racconto Vizi di vecchia. Credi anche tu, come me, che la presenza di un numero sempre crescente di scrittrici dal ‘900 ai nostri giorni ha dato finalmente la possibilità di indagare l’universo femminile dal punto di vista proprio delle donne?

Sicuramente sì. Inutile dire che il punto di vista femminile è una parte eloquente di questo immenso mondo creato, cantato e tramandato dagli uomini soprattutto grazie al lavoro silente e puntuale delle donne. Il punto di vista femminile che dopo lungo tempo emerge è un completamento, una voce indispensabile per caratterizzare il senso di realtà che tanta letteratura vuole restituire ai lettori, è l’altra parte della storia e della vita già raccontata e credo possa essere interessante per tutti. Diventerebbe riduttivo pensare che la voce femminile possa rivolgersi solo alle donne così come quella maschile non è pensata né destinata ai soli uomini. Sarebbe interessante poi che gli uomini iniziassero a leggere con maggiore assiduità la narrativa e la poesia contemporanee, sono convinta che scoprirebbero aspetti della realtà e della affabulazione ai quali altrimenti non avrebbero mai pensato…

2.    Nella prosa la tua è una scrittura dal ritmo serrato, come dimostra il periodare paratattico cioè breve e dinamico, dalle movenze sincopate ma fresche e accattivanti . Una scrittura elegante e preziosa nella ricerca lessicale ed espressiva, di grande effetto e di impatto emotivo, priva di cedimenti allo scontato o ai sentimentalismi, capace di tenere viva la tensione narrativa fino in fondo. Di rilievo è il linguaggio, spesso improntato ad una singolare “vis” mimetica, duro, incisivo nel denunciare la meschina e trita assurdità del quotidiano, il disordine continuo dei fatti e dei moti del cuore, e l’aggressione esercitata dal mondo, dagli oggetti in misura specifica, sul soggetto.

Sotto una corrosiva ed efficace ironia o sotto una sferzante spietatezza, denunci con lucidità e coraggio la difficoltà del vivere, le innumerevoli contraddizioni dell’esistenza e lo sfacelo di una civiltà che si liquefà nell’inconsistenza di immagini e suoni che viaggiano attraverso il tubo catodico e le linee telefoniche.

La lotta per esistere che le creature dei racconti affrontano è prioritariamente lotta contro la divina indifferenza, da intendere in senso laico come sforzo di esistere nonostante l’indifferenza del tutto nei confronti del nostro destino: è per questo che i tuoi personaggi sono capaci di entrarci dentro, di prendere residenza nei nostri pensieri, illuminando i lacerti della nostra vita e le propaggini sfuggenti di sogni e paure. Quanto è funzionale per te  la ricerca linguistico-espressiva alla materia del narrato?

 

Sono un’autrice che tesse i racconti e i romanzi partendo dalla parola. Dal linguaggio. Dallo stile. Non penso alla mia storia partendo dalle immagini, né partendo da un intento didascalico (giammai!); il primo seme è il linguaggio. A volte mi soffermo a lungo su una o più parole e da lì parto per arrivare a un concetto, a una immagine, a un personaggio. Poi inizia la storia. Penso prima a come scriverla, poi penso a cosa potrebbe succedere e a come far funzionare ogni snodo. Ho dedicato anni alla ricerca linguistico-espressiva e continuo a farlo. Le parole sono tutto ciò che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, ci dice Raymond Carver.

 

3.    Testimoni della crisi di comunicazione e di relazione che nella nostra epoca viene rappresentata dalla ricerca spasmodica di relazioni virtuali attraverso la rete di internet ( lunghi passaggi propongono scambi di battute in chat ), i personaggi dei racconti così come dell’ultima raccolta La colonizzazione invisibile popolano un mondo disumanizzato dalla tecnologia e dalla distanza in cui però si sforzano di restaurare, se non altro, il sogno utopico di una società in cui lo scambio di un reciproco affetto e la possibilità del sostegno solidale tra gli individui siano ancora contemplati. Quale dovrebbe essere, secondo te, il percorso più adatto da affrontare per ritrovare noi stessi e la nostra autenticità?

 

Ci stanno sfuggendo di mano molte situazioni, il nostro mondo si sta modificando con noi. Abbiamo paura delle intelligenze artificiali che noi stessi abbiamo creato, temiamo che gli strumenti da noi inventati possano esercitare un potere su noi stessi. Parliamo del computer come se fosse una entità autonoma, pensante, capace di condizionare le nostre operazioni. Abbiamo messo la macchina al centro. La Rete al centro.

Molti di noi hanno smesso di cercare il perché delle cose: le risposte sono tutte a portata di mano, basta cercarle nel web. Questo eccesso di informazioni pronte inonda la nostra capacità rielaborativa.

Io credo che sia necessario per noi non dimenticare che la conoscenza passa anche attraverso l’esperienza e l’interazione. Confrontandomi con l’altro io conosco e mi conosco. Ponendomi dubbi io ragiono. Ricercando le cause capisco gli effetti.

Per riappropriarci di questa modalità di conoscenza dobbiamo mettere al centro la persona. L’uomo e la donna al centro. Abbiamo bisogno di un nuovo Umanesimo.

 

4.    L’ultima domanda riguarda il tuo saggio biografico Non ho vergogna a dirlo. Si tratta di un omaggio rivolto a un personaggio della tua famiglia, Sabatino Ciuffini, che, dalla nostra città, è riuscito a rivestire un ruolo di rilievo nel mondo del cinema, pur amando definirsi sostanzialmente un poeta. Quanto può offrire, secondo te, una città piccola ma culturalmente effervescente come la nostra a chi voglia intraprendere la carriera di scrittore?

 

Può offrire la possibilità di scrivere senza nevrosi, il posto è accogliente per chi ama concentrarsi. A pochi passi abbiamo i parchi, i boschi, le montagne. Il clima è perfetto per lo scrittore (ironica). Puoi fare lunghe camminate senza annoiarti.

È una città che accoglie ed è aperta alla cultura. Eppure se vuoi intraprendere la carriera di scrittore, hai bisogno di confrontarti con autori contemporanei italiani e stranieri. Questo vale per tutti, anche per chi vive nelle metropoli.

 Uscire dalla provincia e soprattutto non entrare nella provincialità e nei provincialismi.



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