ASSERGI E LA MADONNA DEL CARMINE (tra storia e fede)

 

- di Giuseppe Lalli -

 

 

Il 16 luglio la Chiesa Cattolica fa memoria della Madonna del Carmine.

La devozione della Madonna del Carmine è molto antica. Occorre precisare che in origine essa veniva indicata con il nome di “Beata Vergine del Carmelo”. “Madonna del Carmine” ci deriva dalla contaminazione linguistica dell’espressione spagnolesca “Virgen del Carmen”, che traduceva in Spagna l’espressione “Vergine del Carmelo”. Con tutta probabilità, il prevalere della denominazione spagnola è stata propiziata nell’Italia meridionale dalla lunga dominazione ispanica.

Tutto nasce dal Monte Carmelo, vicino alla città di Haifa, in Galilea, luogo legato alla memoria del grande profeta Elia. Già dopo la morte di Gesù il monte fu meta di eremiti che aspiravano alla perfezione cristiana. Nel XII secolo sul sito nacque l’Ordine del Carmelo, che si diffuse poi anche in Occidente, segnatamente in Sicilia, in Inghilterra e in Spagna. Si narra che la Vergine sia apparsa al priore generale inglese dell’Ordine, Simone Stock (1165-1265), già molto avanti nell’età, e lo abbia esortato a diffondere tra i fedeli la pratica dello scapolare, un abitino (forma ridotta dell’abito dei religiosi carmelitani) da portare giorno e notte indossandolo al collo in modo da farne scendere una parte sul petto e l’altra sulle spalle (da qui il termine ‘scapolare’). Da allora lo scapolare cominciò ad essere il segno distintivo della Confraternita e promessa di salvezza dell’anima per tutti coloro che, portandolo devotamente, si fossero impegnati a vivere un cammino di perfezione cristiana. L’anima dell’uomo ha bisogno di toccare finché è sulla terra.

La devozione alla Madonna del Carmine è molto diffusa in Abruzzo, segnatamente nella provincia di Chieti. Nel vasto territorio della Maiella, da Sulmona a Fara San Martino, da Roccaraso a Lanciano, lungo i tanti paeselli che si incontrano, c’è sempre, all’inizio del centro abitato, una chiesetta intitolata alla Madonna del Carmine. Nei secoli passati l’anima popolare cristiana, col suo infallibile istinto (“sensum fidei”, la chiama la sapienza cattolica), voleva affidare alla dolce madre di Gesù la protezione del villaggio (la piccola patria!) e i suoi abitanti da flagelli come la peste o i terremoti.

Assergi non sfugge a questa antica saggezza urbanistica.

La piccola chiesa intitolata alla Madonna del Carmine, detta anche, con appropriato vezzeggiativo, “La Madonnella” (così la sentivo chiamare da mia nonna) si trova sul limitare del centro abitato, nei pressi di una porta dell’antico castello demolita all’inizio del secolo scorso. Essa, come ci ricorda Vincenzo Moscardi (1861-1933) in un suo pregevole scritto (V. Moscardi, Cenni topografici e storici del Castello di Assergi, Aquila, Santini Simeone Editore,  1896, p. 27), è legata da un sottile e misterioso filo con la chiesa di riferimento del castello di Assergi eretta entro le mura dell’Aquila, nel quarto di Santa Maria, la quale, partito l’ultimo popolano del borgo, fu ceduta nel 1609 - guarda caso! - ai Carmelitani, da poco insediatisi nella città, che finiranno per cambiarne il nome: da Santa Maria d’Assergi a Madonna del Carmine.

La chiesetta assergese sorge in prossimità di un bivio, quasi a voler ricordare che la vita dell’uomo e del cristiano si gioca su una scelta tra il bene e il male che si è chiamati a compiere ad ogni passo.

Io che scrivo ricordo con affetto questo piccolo tempio mariano: sono nato alla sua ombra, ha accompagnato la mia infanzia. Vi si distribuivano i rametti d’ulivo la mattina della domenica delle Palme. Fino agli anni ‘60 del secolo scorso vi si celebrava una messa il 16 luglio alle prime ore del mattino, e sembrava una piccola oasi di pace e ristoro nel bel mezzo della calura estiva. 

Ho conservato il vivido ricordo di una vecchierella (era conosciuta col nome di Barbeluccia), una donna dolce e mite che nei rari colloqui con le persone del paese sempre si congedava con la frase “Scìa p’ l’amor d’ Ddì”, che era un modo per dire “Sia fatta la volontà di Dio”. La si vedeva, nella penombra della sera, di ritorno a casa, sostare per qualche minuto sulla porta di ferro del tempietto. Si inginocchiava, e la si udiva rivolgersi all’immagine della Vergine attraverso la grata, con parole di umile e fiduciosa preghiera.

Mi è tornata alla mente l’immagine di Barbeluccia quando, nella maturità, ho letto di quell’uomo che nella Parigi del XVII secolo lo si vedeva sostare ai crocicchi delle strade di fronte all’immagine della Madonna. Quell’uomo, originale figura di scienziato e filosofo, si chiamava Blaise Pascal (1623-1662) e in uno dei suoi memorabili pensieri (geniali frammenti di un’Apologia del Cristianesimo), rivolgendosi idealmente ad uno scettico, si esprime pressappoco con queste parole: “Ti scandalizzi che quella vecchietta che non ha letto alcun libro si inginocchi e si segni? Non ti devi scandalizzare: Dio dà la grazia a chi vuole”.

Ecco: Barbeluccia e Pascal, all’apparenza tanto diversi, per età in cui sono vissuti e per cultura, in realtà uniti da una stessa saggezza, starei per dire da uno stesso...genio. Ho sempre pensato che nell’ultimo giorno Pascal vorrà conoscere Barbeluccia e abbracciarla. Entrambi sono stati discepoli di quella donna che nei nostri villaggi, come nei crocicchi delle città, nei tempi andati, offriva continuamente a Dio il sangue del figlio a garanzia della protezione degli abitanti.

Quella donna a cui una spada ha trapassato l’anima affinché venissero rivelati i pensieri di molti cuori.



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