Un sogno scomparso, un bel giorno mi svegliai e la trebbia non c'era più...

- di Paolo De Angelis -

 

Oggi ci sono feste che rievocano la trebbiatura, ma io ho vissuto quei tempi di fatica, di polvere, di paura per la grandine, di caldo nei campi di grano, di puzza dei motori dei trattori che muovevano la trebbia, di balli e di cene sull'aia dopo un giorno faticoso, di gioia del lavoro comune di un intero paese, dei nostri salti tra le balle di paglia, dei rimproveri perché le scioglievamo saltandoci sopra....sembra un sogno, scomparso improvvisamente, ingoiato... un bel giorno mi svegliai e la trebbia non c'era più...

AMARCORD…. Correvano gli anni 50 e questo era il periodo della trebbiatura. Questa, per chi non lo sapesse non era un lavoro, era un vero e proprio rito sacro. Era il momento più importante dell’anno perché si riempivano i granai e con i granai pieni si era sicuri di un anno di benessere. Nel mese di luglio arrivavano i mietitori dal cicolano (reatino), che venivano assunti a giornata ed integravano la fatica di tutta la famiglia. I “manoppi” si accumulavano in piazza e poi arrivava la trebbia, spesso trainata dai buoi visto che il trattore non riusciva a vincere la salita “della croce” che ancora porta in paese. Tutti gli abitanti trebbiavano e tutti aiutavano tutti. Nessuna fatica era più gradita di questa. Il caldo, la polvere, “la cama” che si attaccava alla pelle urticandola, ( “Cama” dialettale = pula, cascame della trebbiatura dei cereali. Da Treccani), nulla era più gradito. Noi ragazzi saltavamo sulla “balle” quando uscivano dalla trebbia e poi facevamo a gara per saltare dal mucchio più alto ed eravamo la dannazione dei contadini che dovevano ogni giorno, risistemare le cataste. Si lavorava cantando e sfottendo chi sembrava affaticato o stanco, si intessevano amori e tradimenti. La sera si cenava all’aperto e si andava a dormire presto. Alla fine della trebbiatura si imbandiva un’enorme tavola al centro del paese e si mangiava tutti insieme, ci si ubriacava, si cantava e si ballava fino al sorgere del sole. Queste erano le vere “feriae Augusti” ( ferragosto), istituite millenni fa da Augusto per festeggiare la fine dei lavori di campagna. Li ancora si sentiva la loro origine e tutto seguitava poi il 15 agosto con la festa del paese. Poi un anno il grano maturò, le spighe si piegavano sotto il peso del grano, ma  a casa  nessuno si preoccupava di “arrotare ji surricchi” ( affilare i falcetti) per prepararsi alla mietitura. Sul momento non mi allarmai, poi guardai verso monte Ocre, li dove un nevaio a forma di 7, sul versante dei “tre Bauzi” resisteva fino alla trebbiatura tanto che il momento esatto della sua scomparsa era considerato come un orologio precisissimo  che batteva la fine della mietitura. Perbacco, il nevaio era una minuscola macchia biancastra ed allora chiesi del perché non si mieteva. “ Aspettiamo la mietitrebbia” fu la incomprensibile risposta. La mietitrebbia… “Carneade, chi era costui ? ”… Doveva essere una specie di trebbia moderna, che poteva salire “la croce”. Forse ci saremmo divertiti ancora di più. Ogni giorno mi affacciavo per vedere se la trebbia salisse su’erta del paese, ma non salì nulla. Qualche giorno dopo arrivarono i sacchi di grano e non mi spiegavo come ciò potesse essere accaduto se nessuno aveva lavorato.  Chiesi che diavolo di fine avesse fatto la trebbia e mi fu risposto con un lapidario… “ La trebbia non c’è più, ora c’è la mietitrebbia.. “. Dopo più di 60 anni ricordo ancora il groppo alla gola che mi lasciò senza fiato. Non c’era più la trebbia… e noi dove avremmo saltato? Dove sarebbero andati a finire i canti, i balli, la folla felice del paese, i sorrisi, la benedizione del prete, i buoi che trainavano carri stracolmi  di “manoppi” legati con “ju funacchio”  ben teso dalla “martinicchia”?.  Sul momento non me ne resi conto, poi , già qualche giorno dopo, valutai che tutto era finito, che nulla poteva essere più come prima. Noi ragazzi ci ritrovammo come al solito seduti “alla pietra” della piazza. Parlammo della trebbia, dei giochi. Un’aria di tristezza correva tra di noi. Già raccontavamo della trebbia dell’anno precedente come un’avventura antica, momenti persi nella notte dei tempi. Qualcuno azzardò l’ipotesi che l’anno successivo i contadini sarebbero rinsaviti e avrebbero di nuovo chiamato la trebbia, ma ognuno di noi sapeva che non era vero, che ormai nulla poteva più essere come prima, che la nostalgia dei giochi, della mietitura, della trebbia ci avrebbe accompagnato per tutta la vita. Ora che sono anziano ancora sogno quei giorni felici, quando la trebbia arrivava sbuffando sulla salita, circondata da tutti gli abitanti, pronti a faticare oltre ogni limite, ma con gioia, quella gioia che ormai è scomparsa tra il genere umano. ( nella foto, mia madre e mio  padre alla trebbia, mio nonno al ritorno dalla mietitura sul suo "fuoristrada" e io alla mietitura con la mia famiglia materna)



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