AVANTI, C’È POSTO! di Fernando Acitelli

Dopo la pubblicazione dell'articolo: «PAPITT M’HA DITT…» di Fernando Acitelli, abbiamo ricevuto da Gianfranco Serafini che vive a Roma ma è originario di Assergi un ringraziamento e una segnalazione che pubblichiamo integralmente:

 

"Buongiorno, volevo ringraziare per aver riportato alla mia memoria, molte persone che in gioventù ho avuto il piacere, oltre che l'onore di conoscere, ho risentito soprattutto i soprannomi, ci riconosciamo forse anche meglio che non soltanto con il nome, io appartengo alla famiglia Poiana, appunto mi avrebbe fatto piacere se nell'interessante articolo, fosse stata citata anche mia nonna, Giovannina Massimi (poiana)  la nostra casa è n'aporta, ma capisco perfettamente che non è possibile citare tutti gli abitanti di Assergi, colgo l'occasione per salutare tutti. Mi congedo con un grazie per voi che tenete sempre vivo Assergi, specialmente per noi che siamo lontani. Gianfranco Serafini (nipote di Giovannina Massimi e Francesco De Amicis (u pennese) a

NON SI E' FATTA ATTENDERE LA RISPOSTA DI FERNANDO ACITELLI:

                                  AVANTI, C’È POSTO!
"Gentile Gianfranco, innanzitutto grazie per il tuo intervento. È stato un modo per incontrarci sui ricordi. Non mi sono dimenticato né di te e nemmeno dei tuoi genitori; erano previsti anch’essi nella narrazione ma, come saprai, anche un testo deve rispondere alla lunghezza: non potevo includere tutti in un solo colpo. I tuoi genitori sono nei miei ricordi anche per il fatto che erano dirimpettai e amici sinceri dei miei zii Giggetto e Brigida. Io d’estate ero spesso a pranzo da loro e dunque la vista della tua casa era evento frequente.
Ricordo perfettamente la voce di tua madre Clelia, che scandiva i tempi per ogni cosa, e poi le risposte pacate di tuo padre che faceva della moderazione la sua stella polare. Ad ora di pranzo si sollevava un odore sublime di cucinato dalla tua casa ed era zia Brigida a tessere le lodi nei confronti di tua madre che oggi, in un’epoca di chef via satellite e minestroni di parole e frasi fatte, avrebbe di certo detto la sua a proposito di ricette con colpi di classe. Devo dire che sarà stato il posto della vostra casa, le persone che vi erano dentro, ecco, tutto questo innalzava (nei miei ricordi di ragazzo) una serenità veramente d’altri tempi, qualcosa di riferibile alla generazione dei nostri genitori che nella vita avevano attraversato innumerevoli scenari. Ricordo un giorno che trovai tua madre da zia Brigida e dopo i convenevoli ella, sapendo di mio zio Antonio che da maniscalco aveva una certa dimestichezza con i ferri di cavallo, chiese a zia Brigida d’intervenire presso il fratello per ottenere, appunto, un ferro di cavallo che voleva fissare in un punto della casa con un evidente senso strategico contro i malevoli pensieri che possono aleggiare nella vita. Non ricordo se questo ferro di cavallo era destinato alla vostra casa di Assergi oppure per quella di Roma. Rimaneva il fatto che esso era simbolico ma fino ad un certo punto, in vero condivisibile negli universi psichici di quelle persone che non interpretavano il mondo soltanto da un punto di vista razionale.
Di tuo padre mi ricordo, come detto, la pacatezza, e un’aspirazione alla serenità istante per istante; dunque assaporare quello stato di quiete lentamente, distendendosi come in un sogno. La posizione classica di tuo padre era quella dello stare seduto su una sedia appena fuori l’uscio - le mani poggiate sui ginocchi - sentendo da dentro, ogni tanto, la voce di tua madre che pareva avere la funzione del Coro nella tragedia greca, ovvero le riflessioni morali, l’anima della polis contro i pericoli che incombevano. Inoltre quella sua voce conteneva la rara qualità di dare come degli avvertimenti ma procedendo per allusioni: un avvicinamento, dunque, verso quella stessa quiete che tuo padre aveva nello sguardo.
Un luogo a me molto caro la vostra casa, tra i Massimi alla vostra destra (Micott, il padre di Daniele Massimi, era morto verso la fine degli anni ’60) e le sorelle Sacco alla vostra sinistra: Ottavio, Lucia e Claudio ad ergersi come attivisti d’una romanità che però cercava ad Assergi buone dosi d’ossigeno interiore. E oltre Olimpia con la rivendita di tabacchi e, nello stesso edificio, i miei zii Carlo Massimi e Sara Lalli; e quindi Metella e Tommaso con la madre di quest’ultimo, Apollonia. Lo sguardo sempre sorridente di Tommaso, quella sua bontà rassicurante per tutta la contrada. La sua voce calda, radiofonica.
Da ricordare inoltre come tra le tante figure che confluivano davanti la casa di Micott – ma a quel tempo, almeno d’estate, vedevo vivere là Ferdinando (de ‘Ngandate) e sua madre - ebbene davanti a quei gradini c’era spesso anche Albino Acitelli, il padre di Sandro e Raffaele (Lello). «Ciao zio, come va?» – il mio saluto a lui, e via di questo passo.
Un via vai sfolgorante, vociante, attrezzato alla chiacchiera colorata dinanzi al vostro uscio. E tra questi personaggi c’erano i reduci dal belvedere di ‘NaPorta, luogo strategico che si poteva tranquillamente definire un salotto per soli uomini; ma sfilava là davanti anche chi era appena sceso dal postale e, dopo la salita, s’avviava verso casa. E quello stemma sulla vostra facciata? Era quanto ingentiliva quel luogo e a quella vista gli animi sensibili smuovevano immagini rinascimentali.
Con la strada chiusa alla circolazione nei giorni della festa, s’avvertiva per la vostra casa - ma per tutto quel rione - una quiete ravvisabile soltanto nei  giorni d’autunno inoltrato quando, lungo la Strada Dritta, si poteva incontrare un cane con ambizioni da bohemien, che non procedeva con un’andatura dritta (malgrado il nome della strada), ma si spostava da destra a sinistra, rasentando i muri, facendo dire a chi lo osservava da una finestra: «Sta a fà i cancegli…!» - sintesi perfetta per chi sbandava. Una pena indicibile un cane simile sotto camini a pieno regime e l’estasi d’un pasto caldo. La sua quiete forse l’avrebbe trovata nella Piazza o vicino ad un pollaio con un gallo iperteso e un tetto cadente.
Caro Gianfranco, ecco quanto mi ricordo di voi. È tanto? È poco? Secondo me è quanto basta per dare tridimensionalità e struttura morale ai tuoi genitori. Non so se i miei ricordi possano contribuire a comporre il grande mosaico di tutte le persone di Assergi da me incrociate; quello che sento è di andare avanti perché la dolce illusione della Memoria mi affascina ed essa mi ha invaso fin dalla fanciullezza.
Quanto a te, ricordo che la nostra ultima conversazione avvenne se non ricordo male nell’agosto del 1974 alla Piazza, sul muretto antistante la casa della Scemeccha. Mi parlasti della tua attività d’incisore di gioielleria e indossavi una polo blu e dei jeans. Mi sembra ieri mattina".

 



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