Eccidio nazifascista dei IX Martiri, 23 settembre 1943

"Nel pomeriggio del 22 settembre un gruppo di circa 40 giovani (anche per sfuggire al bando di Kesserling del 18 settembre sul lavoro coatto), lasciò la città de L’Aquila per recarsi verso la zona di Collebrincioni, una frazione prospiciente il Gran Sasso. In località S. Sisto essi presero delle armi nascoste precedentemente. Per alcuni giovani l’intenzione sarebbe stata di dirigersi verso la zona di Bosco Martese, nel Gran Sasso teramano, dove si stavano raccogliendo militari sbandati, ex prigionieri di guerra e civili.
In questa fase avrebbe rivestito un ruolo importante il ten. col. Gaetano d’Inzillo (padre di Bruno), anche in riferimento ad un successivo incontro a Collebrincioni con altri militari, che avrebbero dovuto portare altre armi.
Il gruppo trascorse la notte a Collebrincioni, dove all’alba fu avvertito dell’arrivo di militari tedeschi, appartenenti al 71° Reggimento di Fanteria, comandati dal tenente Hassen, impegnati in un rastrellamento di prigionieri alleati fuggiti dalle “Casermette”, presenti nella zona. Gli stessi tedeschi avevano effettuato una perquisizione nel convento di San Giuliano, arrestando alcuni POWs fuggiaschi. Per questo motivo si era lì recato il vescovo aquilano Federico Confalonieri, onde garantire l’incolumità dei frati.

Alcune fonti orali fanno riferimento ad una spiata di un fascista aquilano, conoscente dei fuggiaschi, che avrebbe indirizzato i tedeschi.

Per sfuggire al rastrellamento, da Collebrincioni il gruppo si diresse verso monte Castellano e monte Verdone. In quella zona i tedeschi operarono un accerchiamento verso gli italiani e i POWs: ne seguì una sparatoria, in seguito alla quale venne ucciso un inglese, e vennero feriti due inglesi e un giovane aquilano, Umberto Aleandri (il quale, poiché era vestito con una divisa militare, venne scambiato per un soldato e quindi portato all’ospedale) . Tra le persone catturate vennero separati dieci giovani trovati in possesso di armi, e pertanto considerati come “franchi tiratori”. Gli altri furono portati a L’Aquila: i POWs furono nuovamente internati, mentre il gruppo aquilano venne sottoposto a pesanti ammonizioni ed intimidazioni.

I dieci catturati furono dapprima radunati in una piazza di Collebrincioni, e poi condotti verso le “Casermette”, dove, in seguito ad una consultazione fra gli ufficali tedeschi, vennero condannati a morte e obbligati a scavarsi la fossa. Stefano Abbandonati ebbe salva la vita, sia perché era invalido ad un braccio, sia per l’intervento determinante del console Silvio Masciocchi, presso il quale lavorava la madre del giovane.

I nove rimasti intorno alle 14.30 vennero quindi uccisi con colpi alla nuca da un plotone misto di tedeschi e fascisti italiani. I cadaveri furono occultati ; la notizia dell’avvenuta esecuzione venne ufficialmente taciuta alla popolazione, per evitare disordini (anche se voci in merito comunque circolavano). Del fatto comunque ne ebbero conoscenza dai tedeschi il prefetto Rodolfo Biancorosso e l’arcivescovo. I familiari, che erano stati avvertiti della cattura, invano si erano recati presso le autorità tedesche e dall’arcivescovo Confalonieri (che però era assente dalla curia, poichè si trovava a S. Giuliano presso il convento oggetto della perquisizione tedesca) per implorare la salvezza dei loro congiunti.
L’esecuzione fu “coperta” con la diffusione della falsa notizia della deportazione dei giovani. All’arcivescovo Confalonieri, in cambio del silenzio “pro bono pacis”, venne consentito all’alba del 25 di mandare un sacerdote per benedire il luogo della sepoltura.
Soltanto dopo la liberazione della città furono riesumate le spoglie, che ebbero solenne sepoltura il 18 giugno 1944."

#laquiladenaote

FONTE http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2752



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