OLOCAUSTO - di Mario Narducci -

OLOCAUSTO
 
 
 
 
- di Mario Narducci -
 
 
 
 
Il nome si strozza in gola
boccone troppo amaro
per la nostra fragilità
gli occhi piangono sangue
come il Cristo degli Ulivi
i passi si fanno incerti
e cerchi invano l’uomo
negli artefici di tanto orrore.
Quel Campo a Varsavia
i pozzi dei morti per fame
i forni da cui le anime
passavano per il camino
nere come corvi
ed erano colombe
la stanza dei capelli da tessere
la montagna di scarpe
dei passi incompiuti.
L’orrore rapprende
Il cuore in un pugno
e la voce del Santo che grida
“mai più” e si stende
sui blocchi dove amica
era solo la morte.
Fiumi di parole
nel giorno della Memoria
ottant’anni da allora
e non c’è riscatto
capace di rendere voce
a scheletri viventi
all’infanzia senza futuro
a donne senza speranza
negli occhi mansueti
come buoi da macello
nemmeno i cadaveri
trascinati o portati a spalla
come quarti di diabolica mattanza
nemmeno le fosse comuni
ricoperte di calce e terra
a chiudere il cielo per sempre.
Ci chiediamo dov’eri
quando questo accadeva
ma eri tu
l’unico presente
noi giravamo altrove lo sguardo
assenti, perduti, plaudenti
nell’olocausto che fu
che c’è
che continua
disperante
a ogni violata dignità.

 



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