Assergi “ancora parco giochi

 

Assergi “ancora parco giochi"

- di Marco Ippoliti -

 

La nostalgia di quei passatempi di tanti anni fa, prendere sul serio la ricerca del divertimento, che era il desiderio dell’estate che finalmente arrivava.

 

Certo, per me, passare quelle estati ad Assergi significava soprattutto giocare, provare a farlo, dovendo affrontare varie situazioni che comunque erano comuni a tutti noi nati verso la fine degli anni 50, inizi anni 60…

Vi era una disposizione di pecunia assai limitata, non era prevista quella che oggi si chiama “paghetta settimanale”, c’era una non folta presenza di coetanei, che seppur presenti, erano  coinvolti altrove con i genitori nei lavori del campo, perché la stagione produttiva ne aumentava la necessità, e pochi oggetti che potevano aiutare al ludico scopo.

Alla mattina specialmente Assergi era quasi deserto. Alla fermata della corriera  molti erano saliti per raggiungere Paganica, L‘Aquila.

Qualcuno addirittura tornava dai campi e trovava sul “callare” un po’ di minestra calda.

Questa situazione temporale l’ho divisa cronologicamente, idealmente, nei cassetti della mia memoria in due ipotetiche parti.

La meno recente in bianco e nero, quella successiva  a colori, monocromatica la prima, in technicolor la seconda, per tecnologia e strumentazione, relativa ai tempi che si vivevano.

Quella anni 60/70, per simbologia catodica, ricordata sull’onda di Caroselli e scarpe infangate e ginocchia sbucciate, quella della cosiddetta maturità, vissuta con il telefonino in mano onnipresente protuberanza del braccio.

Analisi semplicistica ma neanche poi tanto.

Ed ecco che la protagonista di quell’infanzia grigia solo per i ricordi sulle fotografie, ma colorita per i desideri e speranze che già albergavano nei nostri cuori, era la ricerca dello spasso migliore, quello più ingegnoso e divertente, scaturito, inventato dal nulla e dal poco che si trovava.

 

Il motoscafo

Due bottiglie di plastica, e si badi bene, non ce ne erano poi tante (per fortuna vien da dire), legate con un verde e spesso elastico e un legnetto da gelato posizionato al centro  mediante un elastico più fino.

Signori, quell’avanzo del ghiacciolo finito, avvoltolo più volte e lasciatolo libero diventava l’elica di propulsione per una ardita imbarcazione con la quale giocare nelle fontane: forse è più facile farlo che spiegarlo, ma quel motoscafo viaggiava che era un piacere.

Certo sapevamo che agitando l’acqua,  il limo che si depositava sul fondo, si sarebbe smosso e la cosa non sarebbe stata gradita ai simpatici asinelli che alla sera, di ritorno dalle fatiche della soma, stentavano a dissetarsi, ma in fondo non si è incoscienti per caso, ma per età, e ora, per quanto possa servire, me ne pento.

 

Il playground ante litteram

Per chi non lo sapesse il playground è una palestra colorata, tubi imbottiti e reti di protezione, presente in molti Parchi giochi delle città di adesso, fatta da un paio di livelli, percorsi attrezzati, scivoli, piscina di palline colorate, corde e liane.

Salire e scendere come piccole scimmiette in quella giungla artificiale.

Il massimo per un bambino, dove scalmanarsi, facendo allo stesso tempo della sana e salutare attività di movimento.

Ebbene con un leggero sforzo di fantasia vi porto sulla strada dei pagliari che si reca al cimitero, per trovare il posto dove il maniscalco  del paese muniva di ferri gli equini da lavoro.

Una sagoma di legno e corde, a forma equestre, quasi un esoscheletro, con corpo e testa, posizionata fra due stalle, serviva all’artigiano a far entrare il cavallo o l’asino e imbragandolo, facendo il modo che pur senza incutergli dolore, si potesse praticare, senza danni, la cura,  la sistemazione e la sostituzione dei zoccoli così preziosi per l’equino.

Su quel marchingegno ci passavamo le giornate volteggiando e arrampicandoci con la sensazione quasi di volare e anticipava quel parco giochi neppur ancora immaginato.

 

La bicicletta/motocicletta

Una Graziella pieghevole arancione con la dinamo, che solo a ricordarla mi vergogno, ma che invece allora era desiderata ed ero felicissimo quando gli zii Anna  e Aldo e mia Nonna me l’hanno regalata per la Prima comunione.

La “bici” poteva non essere “truccata”, per farla diventare una motocicletta?

Certo bastava fornirla di un motore per renderla “ciclo assistita”.

Ma di che cosa stiamo parlando.

Invece, bastava usare una molletta e bloccare una carta da gioco posizionandola sui raggi,  per ottenere un rumore onomatopeico, quanto più forte quanto più veloce si andava, simulando persino la “sgassata”.

Peccato che la fatica, già profusa per le salite paesane, aumentava oltremodo e al terzo saliscendi l’esperienza falliva sul nascere.

 

Il “Liquidator”

Ma quale pistole ad acqua, cruccio di accaldati bagnanti di stabilimenti e campeggi, moderne, colorate e trasparenti, ad elevata compressione, con capienti serbatoi, sprinkler sofisticati, e potenti e lunghi getti o vaporosi o diretti o a intermittenza.

In quegli anni 60 bisognava riempire di acqua una  boccetta  di alcool e via a fare battaglie anche da soli o a catturare vespe che si libravano sulle fonti, sui muri o le pozzanghere sottostanti.

Cattive, quanto innocenti invece se non le disturbavi, malcapitate creature colpevoli solo di “pungere a prescindere”.

Il gioco finiva quando il tappo, messo e rimesso, si spaccava definitivamente o scoppiava lontano insieme al getto.

 

La piscina di cereali

Non entrate nel granaio!

Il curvone della 17/bis che porta a Fonte Cerreto, salendo appena fuori il paese costeggiava una costruzione con un piccolo terreno “da basso”.

Al “piano alto” della stessa vi si accedeva dopo il tornante, ed era l’entrata al granaio. Volutamente così costruita per procedere alle operazioni di scarico e carico del prezioso frutto della mietitura.

Dalla piccola finestra li sopra, vedere tutto quel grano che lo aveva riempito e saltarvi giù, era una inaspettata novità, scivolare con i pantaloncini corti, una due, cento volte, senza però suscitare proteste, increduli, era entusiasmante e irresistibile.

Il contadino sapeva, lasciava fare,  aspettava…

E alla sera colpito dal tremendo pizzicore delle punture, quasi insopportabile, le gambe rosse e l’acido, dei semini del cereale permeato nella pelle e che faceva male, capimmo, noi cittadini, il perché, e non lo facemmo più.

 

Giochi, lezione ed esperienza, che ti accompagnava nella crescita,  tornavi sui banchi di scuola un anno più “vecchio” già aspettando l’estate successiva.



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