La prova di coraggio e l’uomo nero sotto le mura - di Marco Ippoliti

La prova di coraggio e l’uomo nero sotto le mura

 

- di Marco Ippoliti -

 

Tra legende di paese e passatempi

 

 

Gnà stì? Come stai?

 

Te tremmano tutte le gambette, ma si n’uommo o no? Simbri nu gnocco

Si vu esse frate a noio, a da passa la prova…

 

N’amico questo deve da mostrà.

 

E qua’ prova, voi state sempre a scherzà

 

Tu ai  danda a lu cimitero e piantà nu cortiello sopra la terra de na tomba, da solo… in una’ note de luna piena, e senza na’ lucetta appresso.

 

Ma voi siete pazzi!

 

 (Ho tentato di narrare imbastendo una specie di dialetto abruzzese ma forse è meglio che lo faccia chi ne possiede i requisiti…)

 

C’è il frinire della cicala, ci sono i piccoli lampi intermittenti delle lucciole che vagano apparentemente senza meta, ma che invece sanno perfettamente dove andare a incontrare compagnia e amore.

Ci sono veloci pipistrelli, che svolazzano in cerca di qualche povero insettino, e non si attaccano ai capelli delle fanciulle, ma il sentito dire è profondo e inculcato nella convinzione.

Il rigoglio della fontana ora ha il sopravvento perché libero dai rumori del giorno, e l’acqua a dir poco fresca, sgorga da tanto di quel tempo che chi se ne ricorda più.

Le ore delle sere, quando anche le oche del recinto in fondo alla chiesa sono andate a dormire, non passano poi tanto velocemente e bisogna inventare qualcosa di nuovo per ingannare il tempo.

E cosa ce di più nuovo se non antichi cerimoniali di investitura che ogni tanto la diabolica fantasia ritira fuori pescando nei vecchi riti dei giovincelli di paese, scanzonati e avvezzi ad avventure quasi da medioevo o da risorgimentale sapore manzoniano.

 

Si diceva che per essere accolti nella comitiva, si diceva ma non ne ho mai avuto le prove, bisognava compiere un qualche gesto di profondo coraggio.

La noia era sempre la regina del tempo libero e complici i saputelli più attempati, i “nonni”, avremmo detto sotto la naja, lanciavano la sfida all’ultimo arrivato spingendolo a recarsi nottetempo al cimitero fuori il paese per piantare su un sepolcro un qualcosa che ne rendesse manifesto il compimento della stessa.

 

Ai tempi di quello che doveva assomigliare alle gesta dei famosi “Bravi” dei Promessi sposi, quel “qualcosa” era un coltello, il testimone da ritrovare all’indomani, di giorno, da restituire allo sfidato.

 

La fervida fantasia dei vecchi racconta che il mantello indossato come usanza e a  protezione dal freddo pungente delle notti montanare, nella convulsa azione ardimentosa, impacciata e inquinata dalla paura, venisse infilzato involontariamente prima nella stoffa e poi nel terreno, in un gesto imbranato e maldestro.

 

Alzandosi, non vedendo l’ora di tornare sui propri passi e nel tentativo subitaneo di scappare ci si sentiva trattenuti dal povero proprietario del loculo, ignaro, ma non certo autore di cotanto impedimento e il panico arrivava alle stelle, aumentando oltremodo l’angoscia e peggiorando nel comportamento, i modi e le azioni fin ora non proprio ben coordinati,  con la conseguenza di abbandonare ciò che si aveva indosso e fuggire quanto più velocemente potessero offrire le proprie gambe intirizzite, fra le risa di chi era nascosto lungo la via a godersi lo spettacolo.

 

Lo scopo degli altri era infatti quello di aumentare il “patos” del momento con scherzi e rumori sinistri per poi riderne di gusto.

 

Sopite imprecazioni e il terrore di ogni movimento avevano ormai il sopravvento.

 

La scelta della notte di luna piena complicava la scenografia, si poteva vedere meglio ma era quasi peggio, la bianca luce si mescolava al giallo tepore dei lampioncini, dando ad ogni oggetto l’aspetto sinistro del pericolo in agguato.

L’ ombra notturna di ogni alberello sotto la Porta del Colle era lunghissima e minacciosa, le mura di Assergi apparivano più alte che mai, ogni vicolo era un valico da attraversare e il ritorno in piazza sembrava pieno di insidie.

 

Certo! Cera lui, l’ho visto!

 

Tentando di raggiungere la via del ritorno avevo rallentato quel passo frettoloso e tremebondo, l’ho visto, più che altro ne ho percepito la presenza, ne ho sentito il respiro e notato il leggero movimento: l’uomo nero di Assergi.

 

Nascosto dietro un arco, sembrava che aspettasse solo me, con i suoi occhi di gatto che brillavano al buio, li ho incrociati  per un solo lungo istante, hanno attraversato i miei come laser ghiacciato, congelando pensieri e intenzioni.

 

Non saprò mai chi fosse o se fosse il frutto di una mia immaginazione ormai in preda alle allucinazioni, ma io l’ho visto e ho iniziato a correre come non mai senza neanche sapere dove andare, recuperando chissà dove le energie perse in quell’incontro.

 

Il muretto che costeggiava quel percorso non era poi così alto, quei sassi montati a secco e coperti di muschio li avevo affiancati tante volte, e sempre ingannato dalla luna ho pensato che se li avessi superati con un salto sarei entrato in un “prato” per magari nascondermi li fino a pericolo passato.

 

Quello che in quel momento sembrava un morbido manto erboso non era altro che il “tetto” di una piccola e rigogliosa area coltivata a vigna, in un terreno un po’ più in basso del livello della strada, che a fine agosto stava raggiungendo il suo massimo splendore. Non morbida erba ma foglie e grappoli di uva già abbastanza importanti.

 

Sono precipitato giù, attenuato nel volo non previsto dai fili di metallo che facevano da supporto e per fortuna il filare non era molto alto altrimenti ora non sarei qui a raccontare il fatto.

 

Se entrare era stato “facile” uscirne fu un po’ più complicato, senza comunque riportare molti danni ne ha me ne al prezioso orto.

 

Tra legenda, racconti, immaginazione e quello che realmente è successo, anche quella notte, Assergi è stato testimone di una avventura.

 

Non avevo perso il mantello, non avevo disturbato il “riposo” di nessuno, non avevo pugnalato alcun sepolcro, non avevo nemmeno il coltello, dovevo solo andare e tornare.

 

La piazza la trovai vuota, quel gioco non era riuscito come si voleva, e forse quel qualcuno, l’uomo nero ne aveva rovinato lo svolgimento.

In effetti non se nera mai parlato di questa presenza, doveva palesarsi proprio ora?

 

Il giorno dopo si doveva organizzare una partita di calcio, e quello delle formazioni per l’incontro contro quelli di Camarda, fu l’unico argomento.

 

A proposito se quell’uomo nero era davvero lì, e non voglio sapere a che fare, e ora sta leggendo, magari mi mandi un saluto.

 



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