Prigionieri a Campo Imperatore, quel capodanno del 1975 con le raffiche a 300 all'ora

Prigionieri a Campo Imperatore, quel capodanno del 1975 con le raffiche a 300 all'ora

dalla rivista:

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- di GABRIELLA DI LELLIO* -

Succedeva molti anni fa. Era il 30 dicembre del 1975 e mi trovavo sulle piste di Campo Imperatore. C’era tanta neve e le feste di Natale avevano richiamato molti sciatori. La vecchia funivia, con base intermedia e con cabine che trasportavano 27 persone a corsa, aveva portato su più di 500 appassionati.  Dopo diversi giorni di alta pressione la giornata si presentava con un sole velato sicuramente foriero di un cambiamento. Nel giro di poco tempo, infatti, iniziò ad alzarsi il vento portando nubi dense. Per un conoscitore del Gran Sasso il cambiamento improvviso del tempo è una condizione abbastanza frequente, ma nulla lasciava presagire quello che poi sarebbe successo. Neppure le previsioni meteorologiche erano state preoccupanti; di certo non esistevano gli attuali strumenti. 

 

 

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(Campo Imperatore, vecchia sciovia delle Fontari 1975,  daviaggievisioni.blogspot.com)

Quella mattina il vento continuò ad aumentare portando anche una nebbia molto fitta, tanto che molti decisero di scendere a valle dopo qualche ora. Quelli che erano rimasti sulle piste furono invitati a rientrare in albergo. La stazione si apprestava a chiudere; la nebbia impediva di vedere al di là di un metro. Si era scatenata una vera bufera di neve conosciuta come vento bianco la cui caratteristica principale e pericolosa sono proprio le raffiche forti. Anch’io rientrai in albergo per tornare a casa  ma fui richiamata da altri maestri di sci e dai poliziotti di stazione per un’operazione di soccorso. Alcuni turisti, nel tentativo di rientrare, disorientati avevano imboccato i Valloni, il percorso di sci fuoripista riservato a sciatori esperti, che scendono sotto i piloni della funivia, lunghi 5 km con 1.000 mt di dislivello. Riuscimmo a recuperarli ma ormai era troppo tardi per andare via. Alle 12,00 la funivia era stata chiusa. Solo quando arrivò la sera ci rassegnammo all’idea di trascorrere la nottata.

Eravamo ovviamente vestiti da sci con scarponi ai piedi. In albergo c’erano un paio di cabine telefoniche per oltre 600 persone smaniose di avvisare le famiglie, nessuno sapeva che erano molto più informate di noi. Il cibo fu subito razionato con precedenza ad anziani, bambini e donne incinte. Il Comandante della Guardia di Finanza di servizio nella stazione fece l’appello dei presenti: eravamo 637 con un’eccedenza di 457 persone rispetto alla capienza massima dell’albergo  (180 persone).

 

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(Nuvole in arrivo, dicembre 1975, da viaggievisioni.blogspot.com)

Le prime notizie giunte all’Aquila parlavano di sciatori dispersi sulle piste e di macchine ferme sulla strada verso la Fossa di Paganica. In città, in verità, c’era solo un po’ di vento e il cielo era sereno. Le nuvole iniziavano tra Paganica ed Assergi.

Non era possibile dormire né mangiare, non c’era corrente elettrica ma soprattutto nessuno aveva idea di quanto potesse durare quella situazione. Riaffiorano alla mente le immagini: persone che dormivano in piedi, appoggiate al muro, nelle cabine telefoniche, sul pavimento, sulle scale. Non c’era lo spazio fisico per sdraiarsi.

Il primo giorno e la prima notte trascorsero nell'attesa di un  miglioramento del tempo. Tutti avevamo impegni per Capodanno, come se la natura dovesse piegarsi ai desideri personali. E infatti vinse la natura. Il giorno dopo la situazione atmosferica non era affatto cambiata.

Man mano, a malincuore, si dovette accettare l’idea di trascorrere lì la seconda notte. Fuori, alla stazione della funivia superiore, c’era un fusto di nafta quasi pieno che il vento sollevò e portò a valle. Ricordo la disperazione e l’ingenuità degli ospiti dell’albergo, che speravano in un salvataggio aereo. Non avevano la più pallida idea della potenza del vento. Un rumore terrificante si diffondeva tra le stanze e i corridoi, dove erano stipate le persone, mentre le finestre continuavano ad esplodere creando una sorta di decompressione che dava fastidio alle orecchie. Ricordo il personale in servizio  che cercava di chiuderle inchiodando assi e tavole di legno.

 

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(Fonte Cerreto 1975, da  viaggievisioni.blogspot.com)

Il trentuno sera i finanzieri, gestori dell’emergenza, organizzarono per tutti i 637 presenti il “cenone di Capodanno” con sacchi di pane raffermo e fagioli: un mestolo a testa. Trascorremmo un momento di convivialità. Nessuno sapeva in quel momento che l’anemometro della stazione meteorologica dell’Aeronautica, tarato fino a 200 km/h, era stato divelto e l’ufficiale meteorologo ipotizzò raffiche fino a 300 km/h. Ricordo anche la telefonata dell’on. Remo Gaspari per gli auguri di fine anno che, seppur dettata da una sentita preoccupazione, non riscosse grande successo.

Fu aperta la discoteca per tutta la notte del 31, grazie al gruppo elettrogeno, con la musica ad un volume tale da superare l’orribile sibilo del vento. Si ballava con gli scarponi ai piedi, qualcuno scalzo. Eravamo entrati nel nuovo anno incolumi.

Il giorno dopo, il primo di gennaio, il vento diminuì. Il cielo era sereno e forse la funivia poteva essere riaperta  ma con 637 persone da riportare a valle era evidente che ci sarebbero voluti più di una ventina di viaggi. All’epoca ogni tratta durava più o meno 16 minuti oltre il cambio di cabina alla stazione intermedia. Il rischio di rimanere ancora in quota era alto.

 

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(Campo Imperatore, dicembre 1975,  da viaggievisioni.blogspot.com)

 

Così decisi con altri due maestri di scendere con gli sci. Fu una vera e propria impresa aprire la porta della stazione superiore della funivia.  Quando uscii fuori vidi i pali di ferro che sorreggono gli skilift, del diametro di almeno 50-70 cm, letteralmente piegati come dei giunchi. Ad ogni modo il vento, ancora persistente, non aveva mutato direzione e quindi i Valloni erano percorribili. Occorreva, però, molta attenzione perché c’erano veri e propri mulinelli di neve che passavano velocissimi ad intervalli costanti. Bisognava guardarsi alle spalle e ripararsi sotto le rocce giusto il tempo di far passare la “tromba di neve” e proseguire velocemente. Finita la discesa c’era ancora un breve sentiero per arrivare alla stazione intermedia. L’unico modo era di percorrerlo  strisciando con il corpo e gli sci a terra per non essere trascinati via. Era fatta.

All’arrivo a valle trovai alberi sradicati e le roulotte del camping che stava alla base della funivia scaraventate per strada. Solo allora mi resi conto della gravità di quel che era successo. La bufera passò e il Gran Sasso fece credere di aver scherzato perché tutto finì bene. Ma non aveva scherzato affatto.

Erano stati giorni drammatici, seppur vissuti con un pizzico di incoscienza giovanile.

Non fu possibile documentare la situazione, tutto avvenne all’improvviso, né c'erano telefonini. Il video che segue è una delle frequenti situazioni di bufera di neve girato qualche mese fa da MeteoAquilano per offrire un’idea, anche se decisamente non paragonabile a quel che accadde nel lontano 1975.

*GABRIELLA DI LELLIO (Sono aquilana e sorella minore di nascita. Mi sento ottimamente a Roma e meno a L' Aquila dal terremoto del 2009. Ho insegnato lingua e letteratura inglese nel Liceo Scientifico della mia città. Sono maestra di sci perché amante della montagna e della neve. Mi piace la fotografia analogica in bianco e nero, che ho ripreso a fare dopo trent'anni e a cui intendo dedicare il mio tempo. Sono cresciuta nella FGCI e nel PCI fino alla “deriva occhettiana")

 



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