DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO D’AMORE - di Fernando Acitelli

DI COSA PARLIAMO QUANDO

PARLIAMO D’AMORE (*)

 

Bravo. Sei stato lirico.

 Lirico fino all’orgasmo.

Ora va’ a letto. Dormi,

beato, nel tuo entusiasmo.

Giorgio Caproni

 

PRIMO CICLO D’AFFRESCHI 

Assergi era uno splendido scenario anche negli anni ’70. A giovarsene era soprattutto l’animo per quella festa di natura: le iridi d’improvviso scintillavano per quel grande affresco dinanzi e poi uno stupore a cascata.

Si usciva migliorati dopo che ci si era immersi in alture, macchioni, contadini piegati sulla loro fatica, e poi tutta una strumentazione in cui si sollevava una vera simbologia del lavoro: incudine, martello, falce, basto.  

Transitare per una stalla era apprendere tanto di quella famiglia e così non soltanto la casa, le foto ingiallite negli ovali del primo Novecento ma anche quel saggio “governare le bestie”, come dicevano, donava conforto.

Qualcuno pensò forse agli asini stanchi, vecchi in cuore, e alla loro condizione esistenziale? L’asino bianco ed esile di Carmine di Mantella   smuoveva forse angoscia in qualcuno a vederlo con un carico severo?

E ancora: casupole scorticate sulle quali non c’era desiderio d’intervenire perché le screpolature, le crepe sono parti di noi e della nostra avventura terrena. Ma quali muratori, ma quali strateghi di puntelli e ristrutturazioni!

Ma quali luminari del mattone e delle travi da 8?!... La bellezza era far rimanere tutto com’era diventato: che sensazione di bellezza nell’avvistare un cedimento, una crepa, un muro lesionato e così in prognosi riservata.

Non era rappresentabile con le parole la bellezza d’un pagliaio scoperchiato, abbandonato dagli eredi in traiettoria esatta verso l’America, l’Australia che magari scrivevano di gettare un occhio sul disastro lasciato.

Il paesaggio non si chiamava ancora location come è d’uso oggi, per lo più tra cineasti in eterno odore d’anonimato, in velleitari sceneggiatori senza dolore. Ogni luogo dove finiva l’occhio era, a suo modo, unico, universale.

Ma lo stupore si rinnovava di continuo per chi già conosceva ampiamente quel paesaggio mentre per coloro che vi si imbattevano per la prima volta, faceva rimanere male il loro: «Tutto qui? Francamente pensavo meglio…»

Ma come? Ti conduco in uno dei paesaggi più incantevoli e vengo inondato da frasi degne del nichilismo più estremo, da allegrie sintetiche degne dei più conformisti concerti rock, dove contestare è un inno al nulla.

Chi ha veramente qualcosa da dire se ne sta in disparte a meditare sulla propria condizione, un Elogio dell’ozio, dunque, per distillare gli istanti, per guardarli in faccia, per esaminarli bene prima del loro dissolvimento.

Una diagnostica esistenziale, altro che dolce vita, altro che lassù qualcuno ci ama, combattiamo di continuo con la Scala di Glasgow, con aritmie, ipertrofie, ipertensioni, con l’aorta a cavaliere e con il polso di Landolfi.

Il sorriso di Paola Ferroni impreziosiva il paesaggio di Assergi. Questo naturalmente era vero per me ma in quelle stagioni mi sembrava che la Piazza fosse più bella se c’era lei: oh sentirla esporre la sua teoria dell’arte.

Arrivavo ad innalzare anche quel verde di natura, lieve, tra le pietre, arrampicato sul campanile della chiesa: mi sembrava ancora più favorevolmente medievale quella costruzione. Paola in chiesa non entrava.

Avrebbe potuto farlo anche soltanto per prendere visione degli antichi affreschi, magari per sentirmi riferire qual’era il banco dove per mezzo secolo e più aveva trovato posto mio nonno, ad un passo dalla sagrestia.

Ero io che affrescavo il paesaggio grazie alla spensieratezza, era lei che lo decorava con le sue bizzarrie colorate, con uno spirito di anticonformismo che era però sempre rivedibile e regolato poi dalle leggi della sicurezza.

Naturalmente anche le persone che incrociavo lungo il fiume, intense nella loro fatica, erano più in rilievo, vale a dire s’esaltava la loro tridimensionalità e non erano più piane le figure, stavano nella prospettiva.

Figure come in Andrea Mantegna e Ghirlandaio, con il pittore che poi si collocava in quell’affresco, sì, imitavo la storia dell’arte e mi confondevo tra la folla, stavo bene tra quelle camicie di fustagno, tra giubbe d’esuli.

Si viveva di rendita con le bellezze della natura e poi con gli uomini che dentro e fuori le mura si rappresentavano, e la commedia umana era tutta in mostra, bastava perderci tempo ed osservarla come un entomologo.

Era comunque vero che con Paola lo scenario mutava, naturalmente tale sensazione nel paesaggio accadeva per me ma, come recita il poeta, “ciascuno è nel suo cuore un immortale”. È un verso di Sandro Penna.

In un’altra sua poesia avverte: “Ricordati di me dio dell’amore”, s’è dunque al paganesimo puro, incolpevoli noi, non possiamo far altro che attraversare i giorni lanciando qualche sorriso, gridando piano, sottovoce.

Che Assergi fosse ancora più bello grazie ad una raffica di sorrisi era quanto pensavo nei momenti in cui vedevo Paola ma ora, con il mondo fattosi per me come una grande “natura morta”, tutto finito, tutti alla cassa.

Gli oggetti sono soltanto quelli nelle vetrine, da ammirare, da sognare, non quelli che in silenzio, in una cucina, ci fanno riflettere più d’un rituale non scalfito dai secoli: il nostro piccolo altare è distante dai colori delle vetrine.

Spettacolari gli oggetti colti nel fragore del silenzio: non soltanto se ne stanno in quiete ma vivranno più di noi. Era forse per questo che ad Assergi, nelle case abbandonate, ero in estasi per un rocchetto ed un ditale.

Si finiva in quella casa per vedere a che punto fossero i muri, il tavolo, il camino, le molle, il soffietto, la annadicchia, ma anche sperare che in un cassetto vi fosse un santino, delle lettere, un lapis e dei residui di tabacco.

E non mi servono gli esempi dei pittori Gregorio Sciltian e Giorgio Morandi, ognuno ha dentro casa le proprie nature morte, basta finire in cucina ed osservare un bicchiere accanto ad un piatto e ad una bottiglia

Il minimalismo americano è la risposta yankee alle nostre nature morte. Lo scrittore americano Raymond Carver ha fatto del silenzio in una cucina e del frigorifero vuoto la perfetta rappresentazione d’una “natura morta”.

Paola era una presenza che, con tutte le sue stravaganze fucsia - a ben intendere come provocazioni ma sempre residenti nei territori del Bello - faceva sì che si credesse un po’ alla vita, che non fosse tutta una menzogna

SECONDO CICLO D’AFFRESCHI

Il sorriso di Paola faceva sì che fosse lei la prima ad invaghirsene ed io non la vidi mai imbronciata, sempre pronta a tenere viva la spensieratezza, comandava senza darlo a vedere, una futura Madre Courage in penombra.

Non amavo l’acqua di rose ma fu Paola a modificare il mio sentire e quella sera, al Nido delle Aquile, annotai anche come tra fragranze e balsami Lancaster, lei spendeva una fortuna e citava tutte le amiche di sua madre.

Una sorta di comitato centrale dove s’era d’accordo su tutto già prima d’iniziare la seduta ma lì non si faceva “autocritica” e tutte le decisioni erano ad andatura famigliare, cioè non ideologiche ma pure, quasi carezze.

Paola citava le amiche di sua madre come note a pie’ di pagina in una sorta di bibliografia fantastica, lirica, orale, che non prevedeva op.cit. oppure ibidem, nulla di tutto questo, ma quelle parole erano d’un archivio privato.

Dunque di colpo io finivo in quel salotto e la sensazione era che lì dentro tutte le nobildonne potessero avere la meglio su chiunque, naturalmente argomentavano sempre con sorriso e ventaglio, tante Madame du Deffand.

Figurarsi se lì dentro non si fosse d’accordo su tutte le ultime novità a proposito di unguenti, di strategie difensive: la bellezza anche dei suoni con molecole nuove che davano speranze, promettevano piccoli miracoli.

Donna Isabella poteva con buone ragioni considerarsi l’anima di quel salotto e in fondo in quelle lande resisteva il lungo respiro delle Stato della Chiesa e l’anima del Conte Monaldo ancora vagava con fare aristocratico.

Donna Isabella ma in senso puro, come ad ipotizzare una trafila prima di poter essere al suo cospetto, tanta gentilezza in me, e m’aiutava in questo anche messer Giacomo quando doveva conferire col Suo Signor Padre.

Quando ascoltavo quel nome, Isabella, era come se si trattasse, eventualmente, di scalare una parete himalaiana: avrei dovuto esprimermi al massimo delle possibilità, dare del tu ai classici, sentirmi con Cicerone.

Ripassare tutto, dal De fato alla Tuscolane, all’orazione Pro Sesto Roscio, e alla frase lanciata contro Lucio Sergio Catilina, l’uomo che inventò il colpo di Stato: «Quousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?».

Quanto perde la traduzione in italiano! «Fino a quando Catilina, abuserai della nostra pazienza?». Smarrirsi nel mondo antico, senza codice fiscale, fatturazioni elettroniche ed altre imposizioni/ladrocini a banda larga.

Ora, tali scenari fantastici mi si componevano nella mente e stavo al sicuro, nessuno sapeva d’essi, ed era bello allestire dei mondi laterali, delle vie di fuga dove s’era nelle regioni del sogno e tutto risultava inoffensivo.

Il sorriso intenso di Paola, mai forzato ma, in vero, spontaneo, faceva sì che tutto migliorasse d’intorno, che vi fosse dunque poco spazio per la tristezza che, parrà strano, esisteva pure a quel tempo, con altre dinamiche.

A Roma sarebbe vissuta in una mansarda tra via Giulia e Lungotevere, un luogo sopraelevato con fragranze di potpourri disperse ad arte, e lei vestita di largo, da ricca, volendo inconsciamente attenuare le distanze, moderarsi.

Dunque i suoi luoghi sarebbero stati quelli adiacenti a Piazza Farnese, a Campo de’Fiori, in un quartiere a suo tempo fricchettone, intriso di pensiero così alto che vi soggiornavano anche santoni provenienti da Goa.

Lo pensavo veramente tutto questo, lei a Campo de’ Fiori nei pressi dei fricchettoni ma quelle schiere impegnate sarebbero state soltanto scenografia, le sarebbero piaciute quelle scene ma solo vederle da lontano.

Che mansarda! Un affresco di colori! Tutti intensi, dal verdone al fucsia all’arancio al turchese, e questo non soltanto come ritagli d’arredamento ma anche come indumenti, un’affezionata dei maglioni larghi, oltre le dita.

Ma non badare ai sogni e agli uomini che li compongono di giorno, lo fanno soltanto per attenuare la vita anche se Thomas Edward Lawrence così avverte: «Gli uomini che sognano di giorno sono uomini pericolosi».

Un pomeriggio – io ero già uscito da casa e chissà in quali progetti m’ero inoltrato – Paola giunse alla Piazzetta del Forno in sella alla Vespa (al vespino, come lei lo chiamava) e se mi cercava aveva i suoi buoni motivi.

Mia zia Letizia, verso la quale le parole di riconoscenza sono sempre poche, mi riferì più tardi: «Qui è venuta una ragazza a cercarti, stava in cima ad una lambretta…Ma non aveva paura?» Lo disse in lirico dialetto.

Era nel silenzio che si coglieva la purezza di Paola, e in quei momenti diveniva gioiosa ma senza esultare, sapeva custodire benissimo parole, sospiri e carezze, era dunque nella norma ma c’era quel qualcosa in più.

Conservo un fazzoletto tempestato di coccodrilli Lacoste, me ne fece dono nell’estate del ‘78 in quel punto del bar dove era allestito il biliardo, poco prima dei gradini per il salone, ed ora è custodito in una teca di plexiglas.

A seguire ebbi un porta patente siglato Gherardini con ghiere dorate, e tra quelle pareti il mio documento soggiornò per decenni, per non parlare poi della carta intestata, un delicato ocra con le mie iniziali a sigillo barocco.

Ricordo il tipografo a L’Aquila dove ordinò quella delicatezza della carta intestata, nessuno avrebbe pensato ad un dono simile, era in compagnia di sue amiche e la incontrai a Corso Federico II in quella strada verso il teatro

Ho fatto un uso parco di fogli e buste, ho preferito custodire il dono e ancora posseggo quel contenitore dove riposano le lettere non scritte, del resto si resta fedeli ai regali prendendosi cura d’essi, quasi persone care.

Un paio di volte le scrissi su quei fogli, ma confidare in risposte adeguate era da romanzo di Philip K. Dick, e se accadeva, c’era sempre un distanziarsi dal vero, continuare nel gioco pure nella sacralità dell’epistole.

Si procede per frammenti perché lo trovo bello come essere tra i mosaici di San Vitale a Ravenna, e dentro ogni frammento c’è un piccolo film da Oscar: sarebbe solamente d’allestire delle sceneggiature liriche, autentiche.

Ricordi riaffiorano ogni tanto, reperti d’antichità romane nel mare Ionio o resti di colonne a riemergere dal mare increspato, antistante la villa di Tiberio a Capri: le operazioni di recupero sono complesse, si teme per me.

Si va a caccia d’ombre, ci si insinua su residui di fragranze, su porte chiuse da decenni all’angolo tra una fontana e un’aia, nel punto magico dove erano i pagliai, dove s’ascoltavano anche dei sospiri da persone disperate.

Il campo di tennis tirato su in pochi giorni lateralmente alla statale, ingentiliva non poco quel tratto, era una novità lieve, un ritaglio di mondo che s’inseriva perfettamente nel paesaggio e, anzi, ritenevo, lo migliorasse.

S’esibiva anche nel tennis, Paola, disponeva d’un bel diritto, la vidi giocare, e se si fosse abbigliata nel nitore bianco, magari anche con la fascia sui capelli, l’avrei potuta adagiare ad un Foro Italico degli anni ’60.

La sorella Alessandra giungeva ad Assergi e tanto avveniva allo sfinire d’agosto quando tutti i sogni erano evaporati ed era nuovamente giunta la realtà. Era gioiello, riservata: conobbi anche il ragazzo, un biondino astuto.

Alessandra era meno funambolica di Paola, parlava con leggerezza ed anche nel suo caso valeva il sorriso, più controllato rispetto a quello della sorella, ed in mia presenza non s’abbandonava all’esuberanza del dialetto.

Era come se m’accreditasse delle qualità eccessive e per tali ragioni, dunque, accentuasse il suo stile sobrio, ricamato spesso da riflessioni sottovoce che inseguivo come per finire nella sua penombra privatissima.

Ero un frequentatore delle penombre altrui e da una semplice frase potevo risalire all’universo interiore di chi aveva pronunciato quelle parole in sequenza, un gioco affascinante che procedeva solamente con l’istinto.

Le sorelle Ferroni osavano a sera un resoconto della giornata, quasi sempre il rapporto era favorevole e per lo più m’accadde di sentirlo al campo da tennis mentre i loro amici si provavano in rovesci da fondocampo e volée.

Se Paola iniziava a raccontare, si dovevano prendere delle adeguate contromisure ed una di queste era ascoltarla sino alla fine e mai contraddirla perché a quel punto si sarebbero aperti altri universi di senso.

Nella valle il vento accarezzava le foglie e, un poco, tremavano pure gli alberi. Il fiume raccontava a se stesso chi lo aveva trattato male sottraendogli frazioni d’acqua che erano poi solenni bevute dopo la fatica.

Al tramonto e nei pressi del fiume Paola era lievemente intirizzita, indossava la sua sublime maglia color rosa antico, leggera ma decisiva anche per il porsi: l’estetica è la forma più pura dell’etica. (Kierkegaard).

Il fatto era che alle carezze non sapeva resistere, cambiava di colpo il suo viso, chiudeva gli occhi, si lasciava andare, era più cucciola del solito, anche il paesaggio ne risentiva, anch’esso voleva partecipare a quei baci.

Quando se ne andava a sciare, si dimenticava di tutto: era in altura ad esibirsi con tutto il suo arredo d’indumenti firmati, verso i quali, comunque, provava un sano distacco, una sorta di snobismo assai elegante.

Da cucciola sapeva anche imbronciarsi ma questo non accadeva spesso, eppure era quello il tratto suo che preferivo, era come se fossimo andati a sbattere su un malinteso, come se avessimo fatto “crash” su una riflessione

Un “gomitolo di concause”, tanto per citare il nostro padre Gadda, ecco cos’era che aveva fatto emergere un malinteso, ma alla restaurazione delle carezze tornava subito il sorriso, un Congresso di Vienna veramente lirico.

Lievemente imbronciato al tramonto il viso di Paola, forse perché fino ad allora aveva raccontato tanto e avrebbe dovuto scovare altre narrazioni non soltanto per il mio stupore, ma anche per il suo a un passo dalla tenerezza.

A volte desiderava far emergere la sua parte maschile – mica indossava giacca e cravatta – ed il suo rifugio era un’acqua di colonia, Eau Savage, ed era una habitué di quelle fragranze ma era un maschiaccio solo per posa

Sull’Eau Savage stendeva trattati così da assomigliare al Parfumeur du roi a Versailles, e ne innalzava il lieto miscuglio, le fragranze, la persistenza sulla persona, il fatto, forse, che era usato da ragazzi che a lei risultavano. 

Quel suo continuo insistere sulla colonia Eau Savage, dava da pensare, e se erano fragranze da uomo non faceva nulla, del resto, a volte, amava calarsi nei panni d’un ragazzaccio, d’un monello da primi film neorealisti.

Oggi ondeggerebbe con stile dinanzi le vetrine di Dolce&Gabbana, ne apprezzerebbe i colori, le cinte a fibbia enorme, dorata, ma qualcuno dovrebbe spiegarle che pure gli stilisti si stufano, profumati, ingioiellati.

Di Assergi le avevo mostrato le stradine, gli archi d’antiche fattucchiere frequentatrici d’Assoluto, ed era lei, poi, a suggerirmi di passare là dove s’innalzava il mistero: avevo fatto del mio meglio per mostrarle il sublime.

Non capivo se quell’insoddisfazione di fondo fosse in realtà una posa: potevo condurla nei posti più incantevoli di Assergi e dintorni ma lei, subito, dichiarava la sua visione del mondo, una familiare Weltanschauung

Il culto per gli oggetti la riguardava, la sua religione, il montaggio delle attrazioni, una fantasmagoria con orario continuato, una giostra ancora in attività al tramonto, un ultimo borgo, in verità luoghi non giurisdizionali.

Ad Assergi potei ammirare galline e galli in pagliai con atmosfere romantiche, oggi di quel tempo più nulla, soltanto polli d’allevamento che parlano tutti uguale, così densi di buoni principi da fuggire a gambe levate.

Che Paola potesse inoltrarsi nello studio m’era sempre parso difficile ma non perché non avesse qualità quanto perché lei non poteva star fuori dalla scena del mondo, e la solitudine che davano i libri era, invece, claustrale.

A Paolé, è passato tanto tempo ed è una fortuna (?) passeggiare ancora sotto al sole: mutato il paesaggio, le persone, e febbricitante è anche il tempo che, a volte, mi pare sciancato: vorrei chiedergli meno crudeltà.

Certo, una più lieve aggressione, ma lui mette sempre davanti il Fiscal Compact e la Spending Rewiew, è omologato anche lui, e ormai il logos è materia per disadattati: il paradosso che non si parla più ma s’è in contatto.

Magister e oggi Master, il secondo discende dal primo e la differenza sta tutta qui: prima il Magister insegnava veramente, oggi, con i Master a guadagnarci sono soltanto coloro che li organizzano. Paola, riesci a vivere?

Manchester, deriva dal latino Magnum Castrum. Chissà perché tutto questo accanimento terapeutico contro i Romani. Non pensi, Paola, che il nostro tempo sia (quasi) finito? Parlare con chi, e su che cosa, poi? Serve?

Per capire il mondo potrebbe essere utile transitare per via Condotti e passare dinanzi al civico 81: in quel palazzotto v’abitò per cinque mesi Giacomo Leopardi e c’è una lapide a ricordare quel passaggio del poeta.

Uscendo dal portone, egli si trovava subito dentro l’Antico Caffè Greco con la Trinità dei Monti che già trionfava molto prima del D’Annunzio, ebbene, adesso in quel palazzotto, sulla strada, c’è la gioielleria Cartier.

Dunque il nulla leopardiano s’è estetizzato, non più nelle parole ma negli oggetti. Di fronte al civico 81 le vetrine di Bulgari, più oltre quella di Gucci, quindi Prada dirimpetto a quest’ultimo: la poesia sempre sconfitta.

Voler bene a 20 anni è facile e può essere anche da istrioni, da narcisi irreparabili, la bellezza è sospirarlo adesso, non dirlo, sospirarlo, fuori dal chiasso del mondo, andare a ricercarlo, sì, il luogo del primo bacio all’arco

(*) Ho preso in prestito il titolo di questa narrazione dal libro di racconti dello scrittore americano Raymond Carver, del quale custodisco la prima edizione, Garzanti, 1987. La traduzione del titolo in italiano è splendida ma è buona cosa riportare anche la versione originale in inglese: «What We Talk About When We Talk About Love».

FERNANDO ACITELLI

 



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