LA SOCIETÀ LIQUIDA E ALTRI DISASTRI - di Fernando Acitelli

LA SOCIETÀ LIQUIDA

E

ALTRI DISASTRI

- di Fernando Acitelli -

 

          La politica e il destino degli uomini sono foggiati

          da individui senza ideali e senza grandezza. Chi ha

          grandezza in sé non fa politica.

           Albert Camus

Quello che non si vuole per la propria Nazione lo si chiede per altri Paesi. Quando si sbandiera che non ha più senso parlare di nazione, ecco che tale riflessione non vale per altri popoli, e se l’Italia ha rinunciato alle proprie frontiere, se ha dimenticato chi combatté per la libertà – quella vera, senza concerti rock attorno e messaggi d’un falso anticonformismo – ecco, a fronte di tale evidenza si deve avere occhio per le nazionalità. Quelle lontane, beninteso. E d’intorno si sente dire: “Oh, quale orrore! Ancora la nazione! Noi siamo cittadini del mondo!”. E cosa sarebbe da rispondergli: “Prima cerca di essere cittadino tra le mura della tua casa, poi nelle strade della tua città e poi nelle atmosfere della tua Nazione. Tutto il resto è commercio e traffico”.

Si provi a chiedere a che punto si è oggi con il genocidio tra Hutu e Tutsi in  Ruanda.  Ma a chi interessa? Dedicano forse a quello scenario delle inchieste? In quella situazione interessò il traffico d’armi e non la vita delle persone: da ribadirlo sempre questo.

Tutta questa nenia da parte di maestrine e burocrati è, in modi più o meno camuffati, il manifesto delle multinazionali, ovvero della globalizzazione proprio come la canzone di John Lennon, Imagine (1971), che tutti canticchiano nella lingua originale ma che nessuno traduce ed invece sarebbe importante leggere in italiano le parole del più lirico dei Beatles. Ecco cosa dice il testo: “Immaginate che non ci sia alcun paradiso/ Se ci provate è facile/ Nessun inferno sotto di noi/ Sopra di noi solo il cielo/Immaginate tutta la gente che vive solo per l’oggi/Immaginate che non ci siano patrie/Non è difficile farlo/Nulla per cui uccidere o morire/Ed anche alcuna religione/Immaginate tutta la gente/Che vive la vita in pace/Si potrebbe dire che io sia un sognatore/ Ma io che non sono l’unico/Spero che un giorno vi unirete a noi/Ed il mondo sarà come un’unica entità/Immaginate che non vi siano proprietà/Mi domando se si possa/Nessuna necessità di cupidigia o brama/Una fratellanza di uomini/Immaginate tutta la gente/ condividere tutto il mondo (…).

“Immaginate che non ci siano patrie” e quindi “Ed il mondo sarà come un’unica entità”. Praticamente la globalizzazione in due versi. Quello che forse sfuggiva a Lennon era che tutta la storia dell’Uomo è contrassegnata dal sangue e che la crudeltà dei discendenti dell’Homo Sapiens ha ricamato tutti i secoli. E sarà così sino alla fine dei tempi. Le guerre di religione sono state, a tale proposito, un esempio non proprio edificante. E allora come immaginare un Eden in terra? E ancora in Imagine: “Immaginate che non vi siano proprietà”. È da velleitari questo, ed anche il poeta più attratto dalle nuvole osa dei distinguo sulla razza umana. Se si scannano per l’oro e per i cosiddetti derivati come si può sognare la fine della proprietà? Tra speculazioni e bolle finanziarie è questo ormai il mondo che hanno costruito.

Da un palco e da una sala di incisione si può dire tutto ma il difficile è scendere nelle ferite della vita: andare a sentire veramente l’odore dell’esistenza. Si può essere dei sognatori (e in questo concordo con Lennon) ma gratis, senza applaudenti dinanzi, senza voler essere paladini di valori. Dunque non assieme ai menestrelli che sono tipi arrabbiati soltanto nel tempo della giovinezza. Quest’ultimi continueranno a mandarli i loro messaggi pettinati dalle loro Manhattan, dai loro possedimenti nel Kent, dalle loro ville nel Chianti ma rimarranno figure non universali quanto personaggi approvanti e dunque nelle loro parole vi sarà sempre vento. Indugeranno in pose crepuscolari, da “vecchi saggi”, ma saranno soltanto figure sempre più evaporate nel paesaggio.

Condividere è il verbo jolly, usato per ogni necessità e questo da tutte le classi sociali: economisti, parlamentari, chef (divenuti oggi dei veri  maître à penser) fino all’uomo intermedio, oscillante. Ne fanno un uso parco le parrucchiere e le commesse di supermercato mentre è un verbo del tutto oscuro a barbieri attempati, superstiti.

È un continuo sciacquarsi la bocca con tale verbo: chissà se chi non condivide il pensiero di questa umanità liquida, di questo pensiero unico ormai in terapia intensiva, possa essere accettato per la sua diversità. La risposta è no! Ma come, non era un valore sbandierato anche la diversità? Sì, ma si parla di altre diversità, quelle che albergano soltanto nelle sedi opportune, con tepore e benessere, quelle condivise, appunto, dalle moltitudini, quelle riconosciute dagli apparati, e “che si riconoscono nei valori della democrazia”. Mi viene da ridere pensando al titolo d’un libro del grande scrittore brasiliano Jorge Amado, Alte uniformi e camicie da notte, ecco, è questo l’affresco che mi si solleva di dentro: stato sociale ormai abbandonato e invece, per fare bella figura, per vedersi tutti allineati e coperti, spunta e fa bella mostra la questione dei diritti civili. Ma in un mondo regolato dallo “sterco del diavolo”, ovvero dal denaro, può esistere un pensiero che tratti seriamente la questione sociale? Oh, non è di moda, non è glamour, non è da benessere fucsia, non è da ecologisti in bicicletta con l’aria d’una solenne ipocrisia. Ma cosa serve la questione sociale? E invece ne potrebbero beneficiare tutti, anche gli immigrati, ma non esiste più un pensiero nazionale. Per le armi si trovano i soldi, per la questione sociale no.

Denaro, denaro, ovunque denaro. Fin nelle Sacre Stanze.

Ed è un fatto rilevante che l’unico libro contro l’usura fu scritto da un poeta, vale a dire Ezra Pound, probabilmente il più grande poeta del Novecento. La domanda è: ci saremmo potuti aspettare un libro del genere da un economista, magari tutto pettinato, in grigio, un tipo austero con weekend da rue de Rivoli alla Grande Mela?

Ma leggiamo il XLV Canto dei Cantos di Ezra Pound:

Con usura nessuno ha una solida casa

di pietra squadrata e liscia

per istoriarne la facciata,

con usura

non v’è chiesa con affreschi di paradiso

harpes et luz

e l’Annunciazione dell’Angelo

con le aureole sbalzate,

con usura

nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine

non si dipinge per tenersi arte

in casa ma per vendere e vendere

presto e con profitto, peccato contro natura,

il tuo pane sarà staccio vieto

arido come carta,

senza segala né farina di grano duro,

usura appesantisce il tratto,

falsa i confini, con usura

nessuno trova residenza amena.

Si priva lo scalpellino della pietra,

il tessitore del telaio

CON USURA

la lana non giunge al mercato

e le pecore non rendono

peggio della peste è l’usura, spunta

l’ago in mano alle fanciulle

e confonde chi fila.

Pietro Lombardo non si fe’ con usura

Duccio non si fe’ con usura

né Piero della Francesca o Zuan Bellini

ne fu ‘La Calunnia’ dipinta con usura.

L’Angelico non si fe’ con usura, né Ambrogio de Praedis,

nessuna chiesa di pietra viva firmata: ‘Adamo me fecit’.

Con usura non sorsero

Saint Trophine e Saint Hilaire,

usura arrugginisce il cesello

arrugginisce arte ed artigiano

tarla la tela nel telaio, nessuno

apprende l’arte d’intessere oro nell’ordito;

l’azzurro s’incancrena con usura; non si ricama

in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling

usura soffoca il figlio nel ventre

arresta il giovane amante

cede il letto a vecchi decrepiti,

si frappone tra giovani sposi

CONTRO NATURA

Ad Eleusi han portato puttane

carogne crepulano

ospiti d’usura.

 

Se si è veramente liberi (confinati però in una libertà autentica, vagabonda, senza referenti politici), allora sì che si possono infrangere i vetri della menzogna e della ipocrisia. Ci si espone. Tutto il resto è narrazione a senso unico, finzione, “visioni del mondo”, occhi e cuore che evitano di calare in profondità, cioè di osare una diagnostica dei sentimenti. Oh, ma i sentimenti non sono quotati in Borsa!... E allora c’è soltanto la strada che salva, un solenne porticato con graffiti d’uomini di passaggio, un pasto caldo e poi rimettersi in cammino con un cappottaccio che protegge. E inoltre la melodia della tosse tra un portico screpolato ed un refettorio. Senza documenti, senza codice fiscale ma, purtroppo, con le telecamere addosso, a spiare anche le residenze degli ultimi.

A proposito della parola libertà. Se ne parla così tanto che ormai non si sa più cosa sia. Il suo significato chi lo definisce? Colui che dissente dal “mondo liquido” dove non esiste più alcun fondamento, può godere della libertà oppure s’apprezzano solamente i dissenzienti da Actors Studio? Una poetica della finzione, dunque.

 Sono queste drammaturgie che vanno in onda a ripetizione e abbondano anche le lacrime. La commozione prevede le telecamere e ognuno vorrebbe fare dei propri vissuti una saga famigliare, magari gli Uzeda nel romanzo I Viceré del De Roberto, oppure I Buddenbrook di Thomas Mann. Questo vorrebbero ma nell’Età della Tecnica non c’è posto per le emozioni che finiscono anch’esse – come i sentimenti – con l’essere acriliche. Non ci si fida più di nessuno ed anche le lacrime hanno perduto il loro fascino. Le storie sono urlate ed ogni intimità azzerata perché quello che conta è portare tutto in piazza: voler scimmiottare l’anticonformismo anche in un privato da custodire. Le lacrime sono ormai come la parola “libertà” spiegata a chi non l’ha capita: sono richieste dalle telecamere, per l’audience.

Per i fautori degli slogan planetari il passato non ha più valore salvo le celebrazioni sobrie ma in pompa magna. Non pare un ossimoro?

 

Scriveva Confucio: “Il tesoro di una nazione è la sua onestà”.

 

COMMENTO DI GIUSEPPE LALLI

Carissimo Nando,

dopo l’epopea assergese (che di certo non è finita), dedicata alla descrizione di caratteri che, pur racchiusi in una cornice paesana, hanno valore universale in quanto ci parlano dell’Homo Sapiens e dei suoi adattamenti, delle sue strategie di sopravvivenza, ecco che ci regali un piccolo saggio pieno di verità e di energia.
Questo tuo parlare della politica potrebbe sembrare qualunquismo, e invece è un piccolo grido di lotta e di speranza nei confronti dell’uomo.
L’idea di essere cittadini del mondo, che tu giustamente sbeffeggi, è il frutto astratto del più astratto dei secoli: il Settecento.
I diritti civili, di cui tanto ci si sciacqua la bocca, è la ricerca della felicità a buon mercato.
Ezra Pound aveva visto tutto anzitempo.
Hai ragione: solo se si è “veramente liberi si possono infrangere i vetri della menzogna e dell’ipocrisia. Solo così “ci si espone” sul serio: “tutto il resto è narrazione a senso unico, finzione, “visioni del mondo”, occhi e cuore che evitano di calare in profondità, cioè di osare una diagnostica dei sentimenti”.
È altresì vero che nell’età della tecnica non c’è più posto per le emozioni, e si spaccia ogni giorno, a reti unificate, il capriccio per libertà e il conformismo della omologazione per anticonformismo (quello dei tatuaggi, delle teste rapate a metà e delle scarpe calzate senza pedalini).
Perfino “le lacrime hanno perduto il loro fascino”, hai ragione anche in questo: fanno parte della recita e sono retribuite a parte.
A me, caro Nando, capita a volte che mi si inumidiscano le palpebre: succede quando una signora vestita di bianco (la Poesia) visita le mie notti.
Sarà capitato anche a te...

 

 



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