ALL’AQUILA, IL DIALETTO SPINGE ANCHE L’IMPRESA

ALL’AQUILA, IL DIALETTO SPINGE ANCHE L’IMPRESA

Motivato comunicatore si riscopre hub di artefatti folk

 

--- di Paolo Rico ---

 

 

Il dialetto non permette una propria lingua, ma una propria voce.

HUGO von HOFMANNSTHAL, Il libro degli amici, 1922

 

Dialetto come vocabolario della tradizione; quasi passepartout di comunità. Tanto da far esplodere grande meraviglia in chi scopre all’improvviso l’etimologia di voci vernacolari, specialmente del proprio dialetto, magari dimenticato. Come osservato da qualificati studiosi: quei filologi più aperti, infatti, ad un recupero delle sconfinate tradizioni linguistiche; concentrati, cioè, sul parlato, appunto, distante e pluriverso, di migliaia di contradaioli italiani, terra di piccole realtà civili radicate.

Ci crede, ad esempio, il 41nne Antonio FRUCI, laurea e master in Comunicazione; nel 2016 sul podio, a Genova, del premio nazionale di miglior startup dell’Appennino. Qualificato riconoscimento, che lo ha vieppiù convinto ad insistere, assieme alla contitolare Stefania Gigante, sul progetto di valorizzazione delle vestigia locali. Peraltro, secondo aggiornati canoni manageriali, che sostengono la penetrazione della penombra - di necessità, calata sul passato del territorio -  tramite la dotazione ordinaria e quotidiana; scontata e perfino irriflessa, della moderna relazionalità collettiva. Vera e propria operazione da histoire événementielle, che consente - sul metodo blochiano delle Annales -  di attribuire alla rilettura di uno o più oggetti materiali, occasioni minute, considerazioni pop di un’epoca l’interpretazione organica - accademicamente ammessa solo per le principali fonti etiche - di quella stessa civiltà nella sua interna diacronicità. Tentando nel contempo di servirsi delle conclusioni di tali ricostruzioni come sponda epistemologica, per anticipare scenari e domani, un po’ sfocati, senza nitidi contorni e non ancora definitivi.

Lo fa il N. quando dedica - come anticipato, anche sulla spinta del ghiotto titolo nazionale di Genova - la propria azienda aquilana ad un’esclusività di nicchia, perimetrata intorno ad una dimensione comprensoriale. Succede, ad esempio, con un campionario in vendita specificamente contraddistinto dalla denotazione locale. Tanto che il fascinoso logo hollywoodiano LA, marchio globale di Los Angeles, si fissa in corrispondente aquilano L’A, dove l’apostrofo è il piccolo tratto, capziosamente distintivo perfino di due universi: quello della fantasmagorica ed illusoria mondanità West Coast per LA, ben separato dalla scala provinciale e tattilmente nostrana del face to face, ascrivibile, appunto, al logo casereccio L’A.

Formula, che si può, nel caso, rintracciare nella più recente produzione editoriale del Fruci: la vernacolarizzazione aquilana del Piccolo Principe, il capolavoro saintexupéryiano, volgarizzato all’occorrenza nella fedele trasposizione, ma con qualche concessione, peraltro, giustificata dal dialetto aquilano (ANTONIO FRUCI, L’A, 2020 L’Aquila, edizione autoprodotta, pp.116, eu 16,00 ISBN 9791220073189), in indigeno Principinu Žicu, a richiamarne, infatti, nell’attributo verticale, l’affettuosa onomatopea localista, condivisa nel rapportarsi dell’adulto al minore. Per non dire dell’aquilanissimo tèmé, l’incidentale intraducibile, che Fruci ha saputo cogliere fior-da-fiore dal lessicografo di casa, quando - traducendo dall’originale -  ha dovuto rendere pause, avverbi, indicalità: insomma, tutto quel repertorio di percezioni più che di vocaboli, significativamente espressivi di stati d’essere, notoriamente transitori ed ancorati all’affabulazione e alla fenomenicità verbale occasionale.

Il testo L’A  - non so se si può definirlo, franco-aquilano -  completato in 8 mesi di “ritiro” casalingo a causa del lockdown pandemico, potrà così essere finalmente “battezzato” in pubblico, per la prima volta in presenza, nell’apposito vernissage, promosso per domani pomeriggio, martedì 19 luglio 2022, alle h 18:00’, nel capoluogo abruzzese. Evento, magnificamente conclusivo di un cartellone di proposte di letture per minori, rigorosamente selezionate tra una vastissima e qualificata offerta di autori del posto, dalla Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi” dell’Aquila, in località Nucleo Industriale di Bazzano. Manifestazione, che consegna finalmente al territorio l’istituzione di conservazione documentale, finora sempre un po’ schiva ad affrontare con determinazione il contatto con la realtà circostante e le sue pulsazioni o aspettative socio-culturali, perfino educative, o almeno semplicemente formative quando sub specie metaforica di iniziale ricostituente letterario.

L’appuntamento di posdomani si annuncia particolarmente ludico per la platea: di bimbi, genitori e docenti, intrecciati nella divertente fruizione del dialetto per un oggi, un po’ meno social, soprattutto più condiviso, perfino nell’uso di attuali tecnologie di comunicazione, auspicabilmente più umane e culturalmente vantaggiose. Magari sull’onda dell’altra allitterazione, lanciata aquilanisticamente sempre da Antonio Fruci con il suo primo volume I love Ju, dove lo “jù” sta solo ad indicare  - tutt’altro che erroneamente rispetto all’omofono anglicismo You -  la caratteristica e sovrapponibile pronuncia dell’articolo singolare maschile, segnatamente aquilano, il. Spunto per un viaggio nel cuore della città, della sua comunità, delle sue bellissime emergenze storico-artistiche. Come si richiama sempre nei programmi scolastici di contestualizzazione della propria storia comprensoriale.

 Scelta, volta ad aggiornare ed ottimizzare, per traslato affettivo, il rapporto tra nonni e nipotini, tornato corrente nella prassi sociale domestica, sicuramente a causa della rivoluzione di tempi e modi, scanditi nello svolgimento dei frenetici impegni di ogni giorno. Relazione, in grado di restituire - come in un sorprendente chiasma di Moëbius -  un orientamento, considerato smarrito o perento, pur in forma parallattica, alla spontanea empatia di chi si muove tra le mura di casa e dintorni secondo schemi assimilati e generosi, mai compositi e preordinati. Come impone l’impalcatura immediata, comunque metabolizzata, della psicologia familiare, il più solido pilastro del radicamento nell’aura del genius loci, in qualche modo rappresentato anche dal dialetto, sembra confermare la direzione del lavoro emico del Fruci, favorevolmente vagliato da linguisti, filosofi e dialettologi universitari.



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