ATTESA DI MEZZO SECOLO AL GRAN SASSO PER L’IDRICO IN SICUREZZA

ATTESA DI MEZZO SECOLO AL GRAN SASSO

PER L’IDRICO IN SICUREZZA

 

- di Paolo Rico -

 

 

 

           Si discopriranno i pascoli verdi, i gioghi nevati, le nuvole erranti.

           G. d’ANNUNZIO, La figlia di Iorio

 

Sorvegliata speciale l’acqua del Gran Sasso. Promessa recente di un atteso programma di infrastruttura sicura per la riserva idrica in quota. Già nell’86, però, trentasei anni fa, il 5 maggio, dopo una visita ai Laboratori ipogei di astrofisica di Assergi, il Comitato scientifico nazionale di Legambiente avviò la prima riflessione a voce alta sulla questione, anche per le preoccupazioni legate ad un terzo tunnel da realizzare sotto la montagna, oltre le due canne autostradali in servizio.

Problema, su cui si concentrò l’opinione pubblica. Grazie all’opera di conoscenza e divulgazione del geologo teramano Leo Adàmoli, 73 anni, autorità dalla fine degli anni ‘70 negli studi in materia. Al suo impegno di tecnico rigoroso e di qualificato intellettuale si deve, ad esempio  - come lo stesso richiama in una sintetica memoria -  un interessante “Geological day”, ospitato ad Assergi il 25 giugno 1989. Evento, utilizzato, per ribadire ed aggiornare il confronto sull’indispensabilità di un piano di difesa dell’idropotabile afferente all’ambito della vetta appenninica abruzzese. Quell’iniziativa  - ricorda il dr. Adamoli - comprese pure escursioni in quota, sulla verticale delle infrastrutture scientifica e di viabilità sottostanti. L’appuntamento consigliò, ad esempio, il Club Alpino Italiano di dedicare organicamente alla questione-Gran Sasso un intero fascicolo monografico (III serie; n. 19 (147); ottobre 1989) del Bollettino, periodicamente curato dalla sezione aquilana.

Ma fin dal 1982 - quarant’anni fa - la Cassa per il Mezzogiorno aveva predisposto uno studio, rimasto inedito, con cui di fatto si riconosceva - purtroppo, con scarso successo operativo ed impegno ufficiale - valenza nazionale al sistema acquifero del Gran Sasso. Tema - compulsando ancora la scheda mnestica del dr. Adamoli - affrontato il 3 marzo 1990 in un convegno nazionale, a Teramo, indetto dal Comitato scientifico nazionale di Legambiente, patrocinato dall’Ordine nazionale dei geologi. Vi si denunciò, in particolare, il consistente depauperamento della risorsa idrica, determinato dagli scavi nel Gran Sasso per autostrada e per la logistica scientifica dell’Infn. Fu, inoltre, evidenziata la problematicità di una complessa operazione di tutela qualitativa delle potenzialità acquifere della montagna, ormai così severamente trattata.

In un ambito, esteso per 780 kmq (per più di 3/4 interessanti quote tra 1000 e 2912 metri /lm), intercluso tra il versante longitudinale NO e il frontale di SE. Comparto dalla doppia dorsale carbonatica, salito alla ribalta della cronaca più di mezzo secolo fa con la disastrosa dispersione idrica di san Franco. Sciagura,  che impressionò lo stesso Adamoli, allora giovane studente di Geologia, constatando che dal lato-Assergi del tunnel autostradale in costruzione si sprigionava tanta acqua, con picchi fino a 20 mc/sec. Quantità, che successive valutazioni hanno permesso di stabilire in una perdita del 50-60% rispetto al complessivo livello antecedente all’avvio dei cantieri di scavo del Gran Sasso.

E, nell’azione di vigilanza e mobilitazione sulla questione dell’idrico della vetta appenninica abruzzese, si accenna  - conclusivamente nel prefato report del dr. Adamoli -  all’iniziativa della Sezione di Geologia Ambientale della Società Geologica Italiana, ospitata a Teramo il 27 ottobre 2018. Sede, scelta dallo stesso professionista per tornare ad insistere, quanto all’ambito Gran Sasso, sull’”assoluta necessità ed urgenza  - sue parole – di definitivi e non più rinviabili interventi di messa in sicurezza delle opere di captazione e raccolta delle acque sotterranee, destinate all’uso idropotabile e dell’acquifero carsico nella sua interezza”.

Patrimonio, risultante dal contributo delle sorgenti di: Tempéra; Vera; Chiarino; Rio Arno; a monte di Casale San Nicola; Ruzzo e Vitella d’Oro di Farìndola. Con l’aggiunta delle disponibilità di: Capo d’Acqua; Tirino; Capestrano; san Callisto, Capo Pescara. A conferma che, se l’acqua non se ne sta in catacomba, quella del Gran Sasso, simbolicamente, alimenta almeno il nostro Adriatico: altro che alternativa mare-monti o divisione tra i due Abruzzi!

Ma su come intervenire si concentra l’interesse comune, soprattutto dopo l’incidente del 1970 e i più recenti (2016 e 2017) episodi di contaminazione delle acque, destinate al consumo potabile. Si rintracciò allora presenza di diclorometano, cloroformio, toluene: tale da dimostrare l’assoluta insufficienza delle opere, realizzate dall’allora commissario tra il 2003 e il 2007, a seguito dell’accidentale dispersione di trimetilbenzene, registrato nel 2002 per gli impieghi all’interno della struttura Infn. Quel che ha massimamente contribuito a tener desta l’attenzione istituzionale sulla questione. Segnatamente, per sottolineare che l’investimento, necessario ad un’attività implementata, non può essere inferiore a 200milioni.

Magari, per pianificare una specie di doppio schema, con cui isolare la struttura idrico generale Autostrada-INFN dal totale del sistema, a servizio delle utenze civili, afferenti alle sorgenti aquilane, teramane e pescaresi. Una specie di duplex dedicato, come, in un appartamento: con un impianto idrico, in uso ai servizi non potabili, e l’altro, invece, rivolto alle destinazioni di consumo alimentare. Evidenza di primaria garanzia  per prelievi al riparo, intanto, dal rischio di contaminazioni, possibili a causa del genere di attività sia nelle canne autostradali sia nei laboratori sotterranei di astrofisica.

Nel segno di una definizione ecosostenibile da riconoscere ad una vertenza idrogeologica di interesse, sicuramente non confinabile al perimetro locale. Perché c’è da attenzionare anche un turismo montano e balneare, oltre le utenze indigene direttamente coinvolte. Domanda, che, in almeno tre delle quattro provincie abruzzesi, si lega all’approvvigionamento idrico dal sistema Gran Sasso. Si invocano, pertanto, scelte quanto oculate tanto decisive all’insegna del monito: presto, perché è già tardi!

 



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