LA PERDONANZA CHE VORREI (Risposta a una “provocazione” di Giacomo Sansoni)

LA PERDONANZA CHE VORREI (Risposta a una “provocazione”  di Giacomo Sansoni)

- di Giuseppe Lalli -

 

 

Mi sento di condividere lo spirito delle considerazioni di Giacomo Sansoni sul corteo della Perdonanza, ispirate, come sempre, da una grande sensibilità umana e da una  disarmante sincerità, e sorrette da uno slancio poetico degno del migliore Pasolini: un piccolo sasso lanciato nello stagno dell’ipocrisia. In effetti il corteo, con i suoi anacronismi, non è né storico, né religioso, lontano, come appare, dallo spirito autentico  della Perdonanza, che è spirito di penitenza e di umiltà. Bisognerebbe recuperare l’originario senso spirituale dell’evento, come auspicava una decina di anni fa sia l’allora sindaco Massimo Cialente sia lo storico aquilano Walter Cavalieri, che giustamente riteneva che si dovesse rivedere l’impostazione “turistica” del grande appuntamento celestiniano:

« Non un corteo, ma una processione, la Bolla portata dalla municipalità e non da fantasiosi figuranti, il coinvolgimento dei quattro quarti della città-territorio, la lettura della Bolla da parte di un chierico e non del sindaco » - scriveva Cavalieri -,  aggiungendo doversi «ripristinare una tradizione che dura da 700 anni, che dovrebbe costituire un pezzo importante dell’identità cittadina e che potrebbe richiamare turisti attratti da un evento unico e autentico, il primo Giubileo della storia, non una qualsiasi festa simil-medievale », mentre « i paladini della conservazione» - incalzava lo storico - « vogliono difendere una tradizione che dura da soli 30 anni, semplicemente perché dame, damigelle, giovin signori, sbandieratori et alia pare che siano graditi ai gusti nazional-popolari ».

Walter Cavalieri ricorda anche che nei secoli passati non esisteva una porta santa e l’indulgenza veniva concessa non per uno ma per due giorni (dai vespri del 28 a quelli del 30 agosto) in un contesto di pura spiritualità: inni sacri, veglie di preghiera, ostensione delle reliquie.

In  questa ottica, si dovrebbe distinguere, nel tempo  e nello spazio, l’aspetto ludico-turistico, da confinare in un periodo precedente, da quello squisitamente religioso, superando la dimensione scenografica e spettacolare e  ripristinando una processione sacra che ripercorresse l’antico tragitto  (allorché la Bolla veniva portata a Collemaggio da piazza del Mercato passando per Costa Masciarelli e Porta Bazzano),  e regalasse  per una volta la scena «ai derelitti, agli ultimi, i più sfortunati, i malati, i “diversamente abili” e  “diversamente coscienti”», ai loro familiari e ai volontari dell’amore fraterno: a tutti coloro, insomma, che possono mostrare solo il volto del dolore e la tunica della carità cristiana.  Dietro agli ultimi, che sarebbero i primi, troverebbe posto il clero, cioè il personale di servizio, e sul piazzale di Collemaggio, ad attendere il Cristo nella persona dei sofferenti, prenderebbero posto tutti gli altri fedeli, senza distinzione, in ginocchio, e con indosso la tunica bianca della purezza evangelica.

Utopia ?... Visione ?...Chissa ?...

Così com’è ai nostri giorni il corteo non si distingue da una qualsiasi manifestazione folcloristica d’epoca, ed è solo un’occasione di visibilità (già è tanto che nelle ultime edizioni la scelta della dama che porta la bolla sia stata sottratta alla logica di un concorso di bellezza alla “Miss Italia”).

Permane tuttavia una contaminazione tra sacro e profano che urta la sensibilità cristiana, e a risentirne è, in definitiva, l’estetica stessa.

Viene da pensare a quella celebre frase attribuita a Enrico III di Navarra allorquando si trattò, per lui protestante, di convertirsi al cattolicesimo e poter così cingersi il capo con la corona di Francia: « Parigi val bene una messa ! ».

Ma ammesso che Parigi possa valere una messa, è certamente vero che una sola messa vale più di cento Parigi, e di mille sfilate, perché è un fatto di coscienza…

Giacomo Sansoni, con le sue salutari provocazioni in forma poetica, ci fa sempre molto riflettere.



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