Una nota di Claudio Panone sulla sentenza che ha fatto discutere: Perché incolpare i morti?

Perché incolpare i morti?

Lasciamoli riposare in pace e onoriamoli cambiando il modo di affrontare i rischi.

 

 Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita all’Aquila nell’immediato post-sisma, invitava a “un esame di coscienza collettivo sulle responsabilità – nessuno è senza colpa e, poi, denunciava che “il disprezzo delle regole ha aggravato il bilancio delle vittime e dei danni”, parlando di “comportamenti dettati da avidità, sete di ricchezza e potere”.

La notte del 6 aprile, infatti, poco è stato risparmiato dalla violenza del terremoto, e il nostro territorio è stato stravolto sì dallo scuotimento della Terra, ma anche da imperdonabili errori e negligenze da parte del mondo scientifico ufficiale e delle istituzioni competenti: quella di aver ignorato i suggerimenti e gli allarmi che nel corso degli ultimi decenni sono stati lanciati, e quella di non aver voluto volgere lo sguardo al passato. Numerosi sono stati, infatti, i segnali non raccolti: studi geologici della Conca aquilana; studi sull’esistenza e sulla pericolosità delle faglie del territorio aquilano, in particolare la faglia di Paganica, nota e studiata negli ultimi quarant’anni, ma secondo dichiarazioni rese durante il processo Grandi Rischi, “non conosciuta dalla comunità scientifica” (!); studi sul rischio sismico e sulla vulnerabilità degli edifici; studi sull’elevato fattore di accelerazione prodotto dai recenti terremoti nella zona; esercitazioni di simulazione e relazioni conseguenti; studi sul patrimonio monumentale abruzzese.

 E’ importante evidenziare che, in ogni caso, la stessa storia sismica aquilana aveva già più volte denunciato la pericolosità dell’area, infatti, L’Aquila nel passato ha sofferto di diversi eventi sismici: nel 1315 con un terremoto stimato Mw 5.56; nel 1349 , quando le scosse iniziate il 22 gennaio 1349  si protrassero per circa sette mesi sino al 9 o 10 settembre con un evento stimato Mw 6.27; nel 1461, quando le scosse iniziate il 16 novembre  ebbero come evento distruttivo la scossa nella notte del 27 novembre (evento stimato Mw 6.5 e  generato dalla faglia di Paganica). C’è da dire che, per questo terremoto, il numero delle vittime fu limitato perché dopo le prime scosse il vescovo Amico Agnifili e le autorità civili cittadine avevano allestito ripari di emergenza in baraccamenti situati nelle piazze principali della città e nelle aree libere dentro le mura. Il terremoto del 2 febbraio 1703 (evento stimato Mw 6.7), conosciuto anche come il “Grande terremoto” o “Terremoto della Candelora”, è stato un insieme di eventi sismici verificatisi nell’Alta Valle dell’Aterno e nell’intera parte settentrionale dell’Abruzzo Ulteriore. La sequenza sismica di questo terremoto era iniziata sul finire del ‘600 perché sono di questo periodo alcune scosse che interessarono il territorio reatino e aquilano e sfociata, dopo una serie di forti scosse lungo l’asse Norcia - L’Aquila, con il disastroso evento del 2 febbraio.   Nella relazione ufficiale dell’Auditore Alfonso Uria de Lianos si dice che “Aquila fu distrutta senza che vi sia restato edificio alcuno, con mortalità grande …”. In totale L’Aquila contò circa duemilacinquecento morti (circa un terzo della popolazione), ma il terremoto fece vittime anche nei paesi e nelle città vicine per un bilancio totale di oltre seimila decessi. Per questo terremoto pare che non siano state adottate particolari precauzioni a differenza di quanto era accaduto durante la sequenza sismica del 1461. La quasi totalità del patrimonio artistico e architettonico della città dell’ Aquila, di stile romanico e rinascimentale, venne devastato.

Purtroppo tutti questi terremoti distruttivi sono stati dimenticati e solo dopo il sisma del 2009 da troppi, inutilmente, sono stati ricordati! E questo è ben sintetizzato dalle parole dello storico aquilano del ‘700 Anton Ludovico Antinori che, già in quell’occasione, riferendosi al passato ancora antecedente, disse Niuno però presagì prima dell’avvenimento quello, che dopo l’avvenimento di poter naturalmente presagire dicevano quasi tutti”. 

 

Chi scrive non è un esperto ma un cittadino appassionato di problemi legati al terremoto, da sempre interessato al tema della prevenzione sismica, perché il terremoto non si può prevedere ed anche un’esatta previsione non annullerebbe i rischi. Da convinto assertore della validità della Sismologia storica ho sempre ritenuto probabile il rinnovarsi, nel nostro territorio, di un evento sismico simile a quelli precedenti, di forte intensità, e per tale motivo, nelle varie esperienze lavorative, precisamente quella come ingegnere nella Soprintendenza per i Beni Culturali e quella di docente nella Scuola, ho sempre cercato di dare risalto al tema della prevenzione.

Con particolare riferimento al terremoto del 2009, le scosse che nei mesi precedenti si stavano susseguendo, oltre cinquecento dal 14 dicembre 2008, mi preoccupavano: le collocavo, con alta probabilità, nell’arco temporale dei ritorni storici dei sismi dell’area aquilana. Consideravo quelle scosse una vera e propria crisi sismica, simile a quelle verificatesi nei precedenti disastrosi terremoti, piuttosto che un semplice sciame senza possibili conseguenze, come si era evidenziato nella riunione del 31 marzo della Commissione Grandi Rischi “… la semplice osservazione di molti piccoli terremoti non costituisce fenomeno precursore. E, mentre si susseguivano centinaia di piccole scosse, altri esperti, affermavano: “… nessun allarme, le scosse sembrano riconducibili alla normale attività sismica”, “…qualsiasi associazione con terremoti di portata più ampia è dunque azzardata”, o anche “… improbabile che ci sia a breve una scossa come quella del 1703”, o ancora “ … questa serie di scosse è favorevole per lo scarico di energia, ogni scossa produce uno scarico e quindi in un certo senso evita l’accumularsi di parecchia energia in grado di produrre una scossa più grande …”, ma quest’ultima, per un esperto, è un’affermazione poco felice poiché per dissipare l’energia di un terremoto paragonabile a quello del 6 aprile sono necessarie oltre seicentomila! scosse di magnitudo paragonabile a quelle dello sciame, ma queste sono state solo alcune centinaia. Basta ricordare la formula che fornisce l’energia, Log E= 1.44*M+5,24, per dimostrare quanto affermato.

A sette anni dal sisma dell’Aquila, una nuova sequenza sismica interessa il territorio dell’Italia centrale (un’area dell’Appennino compresa tra quella del terremoto del 2009 e quella del terremoto del 1997 di Umbria e Marche), riproponendo una situazione analoga a quella avvenuta nel 1703. Infatti, le due serie di eventi sismici possono ritenersi similari dal punto di vista geologico: in entrambi i casi è stata percorsa la stessa direttrice degli scuotimenti, anche se in senso opposto.

Contrariamente a quanto avvenuto per il sisma del 6 aprile, per i terremoti dell’Italia centrale (24 agosto 2016, 26 ottobre 2016, 30 ottobre 2016, 18 gennaio 2017) gli esperti hanno avuto un atteggiamento diverso, molto più prudente, anzi volto al pessimismo, forse influenzato dalle vicende processuali conseguenti al sisma aquilano. Il 18 gennaio 2017, con un clima rigido ed inclemente che non permette di allontanarsi nemmeno dalle abitazioni, dopo ogni scossa, si hanno annunci, anche contrastanti, che seminano panico tra la popolazione: “… non si possono escludere scosse anche più forti, “… non si può escludere il verificarsi di terremoti di magnitudo comparabile o superiore a quelli di questa mattina…”, “… il tratto intermedio, da Montereale all’Aquila, potrebbe essere interessato da altri fenomeni sismici, di magnitudo tra 6.5 e 7”,  per altri invece,  “le scosse non potranno essere superiori a cinque gradi di magnitudo”. In questo contesto si parla anche del grande pericolo che si corre per la presenza delle dighe del Lago di Campotosto. Non c’era il pericolo anche prima del 2009? E dopo il terremoto del 6 aprile?

Tornando al terremoto del 6 aprile, in definitiva, che cosa si sarebbe potuto e dovuto fare per contenere la tragedia?

Innanzitutto, non sviluppare nuovi centri abitati nelle zone fortemente colpite dai terremoti storici e in quelle situate in prossimità di faglie (es. Pettino); limitare l’edificazione su terreni poco compatti che amplificano le onde sismiche (es. Valle dell’Aterno per la natura lacustre-alluvionale); evitare di costruire sui terreni con fenomeni carsici, terreni di riporto e sui depositi di macerie di precedenti terremoti; per le zone sismiche già edificate si sarebbero dovute costruire le nuove abitazioni nel rispetto di una normativa che avrebbe dovuto essere aggiornata; si sarebbe dovuto intervenire sui vecchi fabbricati, soprattutto nei centri storici, per renderli meno vulnerabili; si sarebbero dovuti rendere antisismici i fabbricati strategici (ospedali, caserme, ecc.) e monitorare i fabbricati sensibili (scuole, asili, uffici, ecc.); si sarebbe dovuto tutelare il ricchissimo patrimonio di interesse storico-artistico; si sarebbe dovuto educare la popolazione al comportamento da tenere prima, durante e dopo il sisma; si sarebbero dovute predisporre aree di accoglienza attrezzate per il ricovero, il vettovagliamento ed il ristoro dei sinistrati, e l’atterraggio dei mezzi di soccorso; si sarebbero dovute organizzare esercitazioni pratiche di simulazione. Tutto ciò non è stato fatto! E soprattutto la comunità scientifica non avrebbe dovuto rassicurare la popolazione sulla favorevole situazione che secondo gli esperti si  stava verificando per il continuo scarico di energia (?).   Il terremoto ha bussato e gli è stato aperto! E, allora, quali sono le colpe delle vittime? Certamente le mancanze delle istituzioni non possono essere addebitate a nessuna persona e meno che mai ai defunti. E poi, come può una persona “non esperta” avere competenze per ritenere che a una scossa ne può seguire una successiva distruttiva se gli stessi “esperti” affermano che uno sciame non rappresenta un precursore? E quante volte sarebbero dovute restare fuori di casa dal dicembre 2008?

Lasciamoli riposare in pace e onoriamoli cambiando il modo di affrontare i rischi.



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