NON SI HANNO NOTIZIE - di Fernando Acitelli

Gli artisti sono i campioni della fragilità umana

ARMODIO

 

Il luogo: innanzitutto quello interiore, il mitrèo della mia mente dove sono raccolti tutti i reperti, dal mondo antico fino all’irruzione del moderno, alla contemporaneità. È anche il luogo dove i ricordi e le emozioni possono mutarsi subito in narrazione. È quella area del cervello detta sottocorteccia, il luogo sacro dell’ipotalamo, la sede della coscienza originaria. 

C’è un luogo di Assergi che riemerge spesso e questo è un belvedere non sempre tenuto in considerazione dai più ma che sa svelare, a chi possiede l’estasi dell’emozione, spunti notevoli. Questo belvedere “anonimo” rimane inosservato forse perché in quel punto le macchine sfrecciano ed i passanti vanno di fretta. Esso sta poco prima dell’arco d’accesso alla Piazza.

Tale belvedere si trova di fronte alla casa di Giuseppe Lalli, dove s’osservavano spesso anche la madre Antonietta e la nonna Gioconda. Chissà quante volte si saranno poste dinanzi a quel panorama! Quel muretto ha, nella sua parte terminale, una casa graziosa, distinta con il civico 6, un vero gioiello con quei gradini e la possibilità, da dentro, di spaziare con lo sguardo (con il cuore) sulla valle, sulle Coste del Mulino. Quest’ultimo luogo evocato è ormai da scrivere con iniziali maiuscole perché territorio del cuore e non soltanto ricognizione geografica per chi tratta le terre attorno al paese. Luogo storico, oltretutto perché lì alla moglie d’un avo di mio padre, precisamente la consorte di Giocondone, i briganti strapparono gli orecchini osando come insulto solenne: «Questi te li rifarà Giuseppe Garibaldi…!». Uno dei primi esempi di pensiero no global, a ben riflettere. Come dire: «Siamo briganti e borbonici e ce ne vantiamo…».

Ma che fine avranno fatto quei gioielli?

Dunque quel muretto, le Coste del Mulino, le “Cartiche”, quel gioiello di casa distinto con il civico 6 e, all’interno di quelle mura, due ragazze che lì abitarono in estati remote. È un fatto che io quando sfilo davanti a quel belvedere pensi sempre all’episodio dei briganti e poi a Katia e Norma, le due ragazze che risiedevano in quella casa e che, se la memoria ancora possiede una sua forza, provenivano da Montelibretti.

Come in quasi tutte le narrazioni si parla d’una assenza. Più una assenza è sentita e più si scrive: il desiderio di colmare quel vuoto è grande. Da quella sublime diserzione possiamo prendere l’energia per raccontare. Dietro l’assenza c’è l’inconoscibile, tutto quanto ci è ignoto, tutte le azioni di cui non si sa nulla e che, invece, s’avrebbe voglia di attraversare come se quei fatti, quelle storie, potessero offrirci ulteriori puntelli per la nostra esistenza. Si scrive per lo più su chi è “momentaneamente assente”, è proprio questa la molla che fa scattare tutto anche se “l’essere “momentaneamente assente” è ormai linguaggio logoro, suono  contemporaneo legato all’Età della Tecnica. Dunque c’è un congegno che riferisce come quella persona che si sta cercando al momento “non fa parte del mondo”, nel senso che, non essendo rintracciabile, è come se fosse uscita dall’essere. È sempre questa la sensazione che provo all’ascolto di quel disco che invita anche a “richiamare più tardi”.

Ma il “momentaneamente assente” svela, nella sua essenza, che colui/colei che cerchiamo prima o poi riapparirà, darà notizie, ci spiegherà in quali peripezie s’era cacciato, del perché non era raggiungibile. Ma saremo noi rassicurati? L’importante per noi era parlare con colui/colei in quei precisi istanti della telefonata, e quel disco invece ci ha annunciato un “tempo a venire” ma lo dice come si trattasse d’un tempo recuperabile. E invece no. Quel tempo, da quell’istante, non esiste più. Quell’attimo che volevamo universale come a comporre chissà quale ricamo emotivo, s’è dissolto. Dovevamo parlare proprio in quei momenti ma l’altro era “momentaneamente assente”. Sembrano arzigogoli intelligenti ma, invece, hanno un fondamento.

Si pensi un po’ se l’essere “momentaneamente assente” lo potessimo ascoltare per i nostri morti… Dunque di lì ad un tempo più o meno lungo potremmo sentire al cellulare il disco che ci informa come l’utente è, finalmente, di nuovo raggiungibile. E a colui tornato all’essere, ovvero tra noi, mai domanderemmo: «Dove sei stato?» oppure «Cosa hai fatto per tutto questo tempo?». Ci basterebbe solo riascoltare quella voce.

Dietro le parole, dunque anche dietro l’essere momentaneamente assente, ci sono sempre le ragioni del sogno. E non mi ha mai convinto quella frase dell’ufficiale e archeologo inglese Thomas Lawrence, l’autore de I sette pilastri della saggezza, frase che così recita: «Gli uomini che sognano di giorno sono uomini pericolosi». Per me vale esattamente il contrario. Durante il sonno il sogno è “quasi costretto” a venir fuori mentre di giorno esso pare un puledro senza freni. Magari potessero essere momentaneamente assenti tutti i miei cari!…

Dunque di quelle due ragazze, Katia e Norma, non si hanno più notizie e non abbiamo mai saputo se fossero “momentaneamente assenti” o “al momento non raggiungibili”. Credo manchino da Assergi dall’estate del 1985, quindi stiamo avvicinandoci ai quarant’anni di assenza per quanto riguarda le atmosfere del nostro paese. L’operazione di “salvamento”, di recupero di immagini sfuocate può avvenire soltanto con un’accurata esplorazione dell’io profondo, a rovistare tra le innumerevoli figure che si sono incontrate, una sorta di Circo Massimo al pieno della capienza: è lì dentro che devo fare luce per far riemergere qualcosa.

Rivedo le due ragazze sempre insieme, sia sedute sui gradini della loro casa e, anche, per le strade del paese con qualche lieve sconfinamento fino al bar ma già quando uso l’aggettivo “lieve”  mi pare d’essermi spinto oltre. Ricordo a tratti la voce d’entrambe, colta al volo ma non in un colloquio diretto: ne è rimasto l’eco come una porta che si chiudeva in alto con mia nonna intenta alla sua opera. E un sospiro che non sapevo riferibile a quali suoi pensieri. Ma che volto avevano Katia e Norma? Ora posso tentare un recupero delle sembianze ma si tratta soltanto di quanto mi “sovviene” e v’è una pena in me nel non poter restituire compiutamente quei volti, quegli sguardi. Ed è rimasta la casa con il civico 6 da ammirare e poi quella strada sotto il muretto, l’arco sul quale doveva esistere un passaggio fino all’altro corpo di fabbricato. Quanto alle presenze là attorno, più nessuno: da “Trippone” a Gioconda ad Antonietta, a Pasqualina ad Angelo, per non parlare di “Marì dì ‘mbo”, sempre accovacciata subito dopo il suo uscio. Sulla facciata della sua casa una lapide la ricorda: CASA DI ZIA MARIA.

Dunque Katia: lei disponeva d’una chioma castana, corta, che le incorniciava un viso sorridente con accortezza come se dovesse esservi sempre un controllo sul sorriso; ogni volta che quel sorriso era a comporsi compiutamente, ne guadagnava anche lo spazio tutt’intorno e riemergeva così un aspetto della sua già passata fanciullezza. E in quei momenti, allora, quello scorcio di Assergi pareva possedere una preziosità in più. Gli occhi di Katia esprimevano una giovialità sul confine della spensieratezza e l’idea di aspettative buone: lei pareva cullarsi in quel tempo protetto. L’avrei vista bene in quello spazio tutto dipinto dell’Istituto d’Arte in via di Ripetta, a breve distanza dall’Ara Pacis. Come abbigliamento nessun dubbio: jeans, un abbondante maglione norvegese e una sciarpa d’ordinanza fluente sul corpo. Dallo sguardo e dai movimenti l’avrei ammirata perfetta tra artisti e bohémien. Ma la sua istantanea per l’eternità l’aveva già composta sui gradini di quella casa ad Assergi, distinta con il numero civico 6.

Norma. Già dal nome si evocava un’epoca mitica: Marilyn Monroe, il cui vero nome era Norma Jeane Baker. Tra gli anni ’70 e ’80 si faceva ancora questa distinzione: Marilyn era l’attrice simbolo, ormai consacrata, mentre Norma Jeane era la ragazza con tutti i drammi che aveva attraversato – abbandoni, orfanotrofi - fino al punto d’esplodere come stella del cinema. Qualcuno tifava apertamente per Norma Jeane: era come se la si volesse accarezzare, risarcire per l’infanzia infelice.

Dunque Norma, l’amica di Katia. Ignoro se fossero parenti o se Norma fosse un’amica. Costei con il viso richiamava espressamente gli anni ’50: una ragazza di quel decennio già con il viso tondo e con gli occhi un po’ da gattona. Anche la chioma corta, nera, aiutava a rappresentare quell’epoca. Il taglio era quasi alla maschietta ma si componeva un po’ bombato e l’esito poteva dirsi “vaporoso”. Indossava sempre vestiti aderenti, colorati, esprimenti gioia e non la vidi mai indossare pantaloni, a differenza della sua amica Katia. Anche il suo camminare aveva qualcosa di “inattuale” rispetto al tempo storico che stava vivendo. Era già una madre in prospettiva.

Rimasero sempre in una sublime solitudine/distinzione senza mai inoltrarsi in avventure. E forse il luogo dove abitarono fu proprio quello esatto per loro, un posto quieto e distante dalle conflagrazioni amorose. Un luogo dai contorni romantici che aveva molto da donare quanto a spunti narrativi. Lo pensavo allora e lo vedo comporsi adesso.

FERNANDO ACITELLI

Dopo la publicazione dell'articolo di Fernando Acitelli, abbiamo ricevuto sul profilo Facebook di "Assergi Racconta" notizie da Catia e Norma:

CATIA MASCIOCCHI

Eccomi!!!! Leggendo mi sono sinceramente commossa.....sono tornata indietro di tanti , tanti anni.....bellissimi meravigliosi anni che i miei adorati nonni Teresa e Mario mi hanno regalato .Estati spensierate, gioiose in quella piccola casa civico 6 come tu dici Fernando, tra tanti amici , persone di cui della maggior parte non so più nulla....e che darei per tornare indietro anche per poco e rivivere quei momenti!!!!!
Mi hai fatto un bellissimo regalo con le tue belle e profonde e sentite parole.


NORMA
Presente !!! Sono Norma, come ha già scritto mia cugina Catia abbiamo trascorso momenti indimenticabili la ns. adolescenza proprio nella piccola casa al civico 6 di Assergi grazie ai ns. amati nonni . Fernando tu racconti luoghi e persone e io le vedo le vivo come allora per questo grazie. Erano le ns. vacanze estive senza pretese e con tanta gioia la ns. destinazione sempre la stessa la piccolissima casa su due piani al civico 6 di Assergi su due piani perché in cima alle scale c’era la cucina è sotto l’arco la camera e il bagno sono ricordi indelebili!!!! Io e Catia siamo le prime di 10 nipoti , negli anni si sono alternate le altre cugine noi siamo cresciute. Sono tornata ad Assergi nel 1994/95 dovevo far conoscere questo meraviglioso paesino a mio marito e mio figlio dovevo mostrare la piccola casa il muretto il paesaggio lo scorcio del bosco i profumi….. Grazie per avermi ricordato è fatto rivivere una parte importante della mia adolescenza custodita nel cuore.



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