LA LEGGENDA DELLA GIGANTESCA MAIA

LA LEGGENDA DELLA GIGANTESCA MAIA

Fra miti, realtà, misteri e magie, il volto umano del Gran  Sasso e della Maiella

- di Camillo Berardi -

 

Il Gran Sasso d’ Italia e la Maiella, oasi di natura e miti grandiosi, con le loro bellezze imponenti e maestose, da sempre sono stati il simbolo e il riferimento dell’intero Abruzzo dominato superbamente dalle loro vette, le più alte e le più pittoresche dell’Appennino peninsulare. Questi attraenti sistemi montuosi, nei loro  silenzi sublimi e ancestrali, sono avvolti da una miriade di miti, leggende e misteri, scavati nell’abisso del tempo e legati, assai spesso, a tradizioni, riti e culti pagani.

La  “Maiella Madre”, la montagna materna degli abruzzesi, custode di paesaggi maestosi di rara bellezza, è stata culla di civiltà e culture antichissime, di cui restano ancora oggi innumerevoli vestigia e testimonianze; incerta, però, è l’origine del nome.

Esso, secondo vari studiosi, deriva dai termini “majo” e “maja” dell’idioma egiziano, i quali, al maschile, indicano “popolo d’armi, guerrieri, combattenti” e, al femminile, “amazzone, donna di guerra”. Le audaci guerriere ricorrono nelle saghe più antiche del popolo ellenico e il mito coglie la loro comparsa in Tracia, in Siria, in Asia minore, in Grecia, in Libia o al limite del mondo conosciuto;

Atene dedicò alle valorose combattenti il tempio Amazzonio.

Negli ambienti montani abruzzesi e nei soavi nidi di focolari domestici si raccontano ancora le “fabule” delle gigantesche “Maiellane”, le mitiche donne guerriere adornate di orecchini a grandi cerchi e vistose collane, che, in tempi assai remoti, lottavano, indomite, per difendere la loro indipendenza.

I monili tanto appariscenti, con i quali ancora oggi si adornano le donne che abitano nell’ambito del territorio della Maiella, si rifanno agli oggetti di abbellimento delle leggendarie e intrepide “Maiellane”.

 Le magnifiche illustrazioni di Basilio Cascella e di Francesco Paolo Michetti , ambientate nell’area magellana, documentano in maniera eloquente e suggestiva l’uso di tali vistosi ornamenti muliebri: alcuni costumi indossati denunciano evidenti influssi di provenienza esterna, da paesi dell’Est. I legami inconfondibili con le civiltà orientali sono mostrati nelle immagini allegate. Le comunità e le colonie slave e albanesi, insediate in Abruzzo da vari secoli, e gli zingari, ovunque presenti, sfoggiano ancora oggi i loro costumi festivi di gusto orientale, con ornamentazioni ricche, festose e appariscenti.

Alcuni studiosi ancora, ritengono che il termine Maiella sia corruzione di “Maior mons”, donde “Magella”, “Maiella”, e ciò, forse, perché Plinio in alcuni passi la chiama “Pater montium”; ma, fu osservato, contro questa tesi, che, se l’appellativo di Plinio è appropriato per l’ampiezza, per il volume della massa rocciosa, per la complessità ambientale e per le ricchezze minerarie e naturalistiche della montagna, non lo è per la qualifica di “maggior monte”, poiché il Gran Sasso, non lontano, è più elevato.

Sono ancora molte, e non prive di contrasto, le tesi sulle origini del nome della “Montagna Madre” e per queste si rimanda alle fonti di eruditi studiosi e alla dotta letteratura specializzata; non

possiamo, invece, passare sotto silenzio la relazione etimologica di natura popolare, assai suggestiva e commovente, legata al culto della dea Maia.

Secondo questa derivazione, coerente alla primordiale sacralità dei monti, la Maiella, con i suoi meandri magici e misteriosi, è la montagna sacra a Maia.

  

La mitologia classica ci fa sapere che la gigantesca Maia, fiorente fanciulla dalle stupende trecce bionde, era la maggiore e la più bella delle sette Pleiadi, figlie di Atlante e di Pleione, figlia, quest’ultima, di Oceano.

Maia fu amata da Zeus in una grotta del monte Cillene in Arcadia e da questa relazione nacque Ermete, unico figlio della dea.

Il mito di Maia ha dato origine ai più bei racconti abruzzesi, molti dei quali assumono una grande efficacia e diventano quasi “reali”, quando possono essere confrontati, ancora oggi, con l’orografia dei luoghi, con la storia e con le tradizioni. Essi accendono ed infiammano la fantasia popolare e rinverdiscono memorie antiche e credenze ancestrali, aiutando a scoprire le origini della nostra civiltà.

Fra le tante leggende, che legano la Maiella al culto della dea Maia, quella scritta in versi dal poeta Mario Lolli è, certamente, una delle più toccanti e suggestive. La fiaba racconta che la gigantesca Maia fuggì dalla Frigia per portare in salvo l’unico figlio, un gigante stupendo, ferito gravemente in una battaglia e inseguito dal nemico. Con una zattera sdrucita attraversò il mare e riuscì ad approdare nei pressi del porto dell’antica città  di Ortona - “Orton”-  dopo un tragico naufragio. Qui, temendo di essere raggiunta dagli inseguitori, prese in braccio il gigante ferito e continuò la sua fuga attraverso forre selvagge ed impervie giogaie, scalando il Gran Sasso, dove una caverna, nell’aspra roccia, offrì  un rifugio ai due fuggitivi.

Nell’antro rupestre la diva Maia cercò, e sperò, di mantenere in vita l’adorato figliuolo con l’amore materno, ma dopo qualche tempo il giovane morì, lasciando la ninfa in un’angoscia infinita.

Per vari giorni pianse disperatamente accanto al corpo del figlio e, successivamente, lo seppellì su una vetta del monte superbo.

Ancora oggi, a chiunque osservi il Gran Sasso, da levante verso ponente, appare chiaramente la sepoltura del giovane: infatti, la Vetta Orientale del Corno Grande, in uno scenario maestoso e incantevole, incarna le sembianze di un gigantesco volto umano assopito nel riposo eterno; conosciuto sin dall’antichità come “Il gigante che dorme”, il “ciclope di pietra” si staglia nel cielo, nel superbo dominio di un paesaggio grandioso.

In virtù di un magico incanto, in un seducente miracolo della natura, il “gigante di pietra”, osservato da un’angolazione diversa, si trasforma in una leggiadra e prosperosa fanciulla supina dalle chiome fluenti, chiamata, oggi, “La bella addormentata” e dagli antichi “La bella dormiente”.

Nei silenzi magici e divini delle aeree cime  del Gran Sasso, l’ ”Olimpo d’Abruzzo”, in uno scenario grandioso e fantastico, la ninfa Maia e l’adorato figlio si “fondono” in uno straordinario connubio affascinante e suggestivo, di colossale magnificenza; senza più distinguersi, realtà e fantasia si amalgamano in una simbiosi incantevole che non ha eguali altrove.

Dopo la morte del gigante, Maia non ebbe più pace. Sconvolta, in preda alla disperazione, cominciò a vagare sui monti e neanche i suoi congiunti più cari riuscirono a frenarne il pianto disperato.

Il cordoglio e l’angoscia furono talmente grandi, da stringere il cuore della povera madre, fino a farla morire.

I fedeli e i congiunti della dea, con cortei imponenti, raggiunsero Maia sull’erta giogaia, portando vesti ricche di ori e di gemme, ghirlande di fiori e di erbe aromatiche, vasi d’oro e d’argento, e, dopo averla adornata con i loro preziosissimi doni, la seppellirono sulla maestosa montagna di fronte al Gran Sasso, che, da quel giorno, in sua memoria, fu chiamata Maiella.

Il nome “Monte Amaro”, dato alla cima più alta, sembra voler dare risalto al dolore di Maia, a testimonianza di un affetto e di un amore senza confini.

La fiaba in una dimensione magica ed irreale, nel contempo umana e commovente, esercita un fascino particolare e porta l’attenzione sulle radici profonde della nostra cultura, gelosamente custodite dai silenzi alti e infiniti.

Il lago di “Femmina morta” e l’omonima valle, poco distanti dalla vetta della superba montagna, “Monte Amaro”, non possono non ricordare la dolorosa vicenda materna della gigantesca ninfa.

I maestosi scenari del Gran Sasso e della Maiella, nel “Cuore Verde d’Europa”, sono stati i luoghi prìncipi e fascinosi, eletti dal mito, dove si è svolta “la leggenda della gigantesca Maia”, incarnata superbamente dalla fisicità dei luoghi e dei paesaggi. Il racconto, ispirato al tema mitologico, in un viaggio straordinario e attraente sui nostri monti, porta il lettore e l’appassionato della montagna in un nuovo mondo magico e commovente, di grande ricchezza poetica ed umana. La “fabula”, coinvolgente sposa coerentemente l’intera storia dell’Abruzzo, dalle antiche origini preelleniche, ed in essa domina la devozione filiale degli abruzzesi per la “Maiella Madre”, tempio imponente

sacro a Maia, protagonista di una struggente vicenda.

Ho avuto l’onore e il piacere di musicare i versi della leggenda, elaborati magistralmente e con sensibilità profonda dal poeta Mario Lolli, ed è nata una melodia semplice e spontanea, scandita da un ritmo che evoca delicatamente l’incedere del corteo funebre. Il componimento è stato premiato in diversi concorsi nazionali di canti di montagna.

“La leggenda della gigantesca Maia”, ricca di testimonianze in cui spesso il mito si traduce in realtà, ha già passato “l’esame del tempo” e difficilmente sarà cancellata dall’aggressione del progresso e del modernismo.  

Seguono i versi della “Leggenda” scritti magistralmente dal poeta Mario Lolli:  

                                                                                           

LA LEGGENDA DELLA GIGANTESCA MAIA

Versi di Mario LOLLI                                                   

Musica di Camillo BERARDI

Racconta una vecchia ed amara leggenda

che Maia, la figlia d’Atlante, stupenda,

scampata al nemico fuggì dall’oriente

con l’unico figlio ferito e morente.

Raggiunto d’Italia un porto roccioso,

sfruttando le forre e il terreno insidioso,

condusse il ferito, vicino al trapasso,

in alto lassù sopra il monte Gran Sasso.

 

A nulla giovaron, nell’aspra caverna,

le cure profuse da mano materna:

al giovane figlio volò via la vita

lasciando alla madre una pena infinita.

E proprio quel monte d’Abruzzo nevoso

racchiuse la salma all’estremo riposo.        

 

Il grande dolore di Maia la diva

escluse al suo cuore la gioia istintiva;

non ebbe più pace, non valse l’apporto

dei propri congiunti a darle conforto.

Sommersa dal lutto, sconvolta dal dramma,

non ebbe più pianto, non era più mamma.

Di vivere ancora non ebbe coraggio:

si spense nell’ultima notte di maggio.

 

Un mesto corteo con fiori per Maia

salì a seppellirla in un’altra giogaia,

rimpetto alla tomba del figlio adorato

strappato alla madre dal barbaro fato.

E quella montagna, al cospetto del mare,

d’allora MAIELLA si volle chiamare.

 

                    FINALE

 

“AMARO”  ebbe nome la vetta maggiore 

per dare risalto al materno dolore.

Nel video può essere ascoltata l’esecuzione corale a cappella del canto “La leggenda della gigantesca Maia”:

 

 

 

 

 

 

 



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