BREVE STORIA DI ANTONIO GIUSTI - di Fernando Acitelli

BREVE STORIA DI ANTONIO GIUSTI

- di Fernando Acitelli -

 

È una prosa lieve, composta tanti anni fa e recuperata per caso. Era dedicata a mio zio Antonio quando non aveva ancora raggiunto le “Colonne d’Ercole” dei novant’anni. E oltre quell’età c’è per davvero l’inconoscibile. Nell’Antichità fino al Medioevo tali colonne, tra le due opposte sponde dello Stretto di Gibilterra, rappresentavano il limite del mondo conosciuto.

Mio zio Antonio ha le mani come quelle di Attilio Bertolucci e, come il poeta, egli è spesso accanto al focolare e la camicia di flanella l’accompagna fino alla tarda primavera. Mio zio si sta avviando verso i novant’anni e la commozione è sempre nei suoi occhi; è sufficiente che uno gli ricordi qualche episodio lontano che subito scattano le lacrime o anche un diaframma tremulo sull’orlo delle palpebre. Egli è l’emozione allo stato puro.

Mio zio Antonio è stato fabbro e maniscalco e nel corso della sua vita ha “ferrato”, come si dice, qualche migliaio di cavalli e asini. Fino a settantacinque anni lo venivano addirittura a prelevare da casa e lo conducevano nei centri di equitazione sorti d’improvviso e dislocati un po’ ovunque nel territorio aquilano. Io da bambino, durante i mesi estivi ad Assergi, trascorrevo interi pomeriggi ad osservare lui e mio nonno nella bottega di maniscalco. Era l’ultima stagione dei contadini.

Nella bottega s’arroventavano alla forgia i ferri di cavallo (o di asino, a seconda di chi abbisognava d’un intervento), ferri grezzi naturalmente, e poi gli stessi venivano modellati sull’incudine con l’arte del martello e il tocco sapiente. Quindi si provvedeva a creare i fori per i chiodi e questo incidendo con un grosso punteruolo i piccoli riquadri già predisposti nel ferro di cavallo ma ancora pieni. Poi, legato il cavallo al tolare, gli si sollevava una zampa per volta e il padrone provvedeva a tanto per le zampe anteriore mentre per le posteriori era spesso necessario ricorrere agli incastri propri del tolare e, a volte, anche ad una fune perché non sempre il cavallo rimaneva quieto con le zampe posteriori. E allora s’iniziava con  lo sbassare l’unghia grazie ad un attrezzo simile ad una pialla fino a che il ferro era perfetto come posizionamento; quindi si inserivano i chiodi partendo dal davanti e procedendo nell’inserirli parallelamente all’indietro. L’arte era nel far uscire il chiodo lateralmente, ed esso spuntava dallo zoccolo per pochi centimetri; e dopo tali azioni e dopo aver battuto sulla capocchia del chiodo, ecco che la punta veniva troncata con affilate tenaglie. Questa fase mi piaceva molto perché era prevista un’abilità. Quindi, grazie ad una raspa, si procedeva alla lucidatura dello zoccolo trattato: anche simili momenti erano per me meravigliosi e il cavallo (o anche l’asino), fattosi più quieto, avvertiva che l’operazione era quasi al termine. 

Avrei voluto fotografare mio zio dietro un vetro della finestra della sua casa e questo per poter successivamente porre lui accanto all’istantanea del poeta Attilio Bertolucci - il padre del regista Bernardo – quella foto che campeggia sul “Meridiano Mondadori”, volume che raccoglie tutta la sua opera poetica e saggistica.

La mano di mio zio Antonio, internamente, è uguale a quella del poeta Bertolucci e ogni volta che m’imbatto in quella foto giungo di volo a quella del fratello di mia madre. Ma non è soltanto questo dato che fa stare mio zio nelle regioni della Poesia: lui è un lirico senza saperlo.

E via di questo passo: c’è tanto lirismo in quella fotografia e forse spiega più essa che una cascata di versi: l’essenza di tutto, il riassunto d’un’esistenza è quella sua mano poggiata sul vetro d’una finestra. Ed è proprio essa che mi fa riaffiorare nella mente le antiche immagini di Assergi - la nostra vecchia casa alla Piazzetta del Forno, la stalla di mio nonno Lorenzo, tutti gli animali, cavalli, asini, mucche, maiali, galline, conigli, e gli stracchi contadini al tramonto, amati come nessun’altro sulla Terra.

 



Condividi

    



Commenta L'Articolo