DOMENICO ONOFRI, ELOGIO DEL CONVERSARE IN STRADA - di Fernando Acitelli

DOMENICO ONOFRI, ELOGIO DEL CONVERSARE IN STRADA

 

 

- di Fernando Acitelli -

Quello che colpiva in Domenico Onofri, era la sua grande disposizione a parlare ed il suo rispetto per il saluto. Da questi dati si può facilmente risalire alla sua fame di conoscenza. Era impossibile che, incrociando qualcuno in strada, egli non intendesse fermarsi a parlare. Non osava distinguere tra le persone che incontrava, per lui contavano tutti. Credo che mai avrebbe potuto  dire tra sé: «Ecco, non questo personaggio non parlo, meglio procedere oltre». Era, in questo senso, un umanista. Egli ci teneva ad ascoltare la “grande commedia umana” perché c’era sempre da apprendere qualcosa dagli altri. Un miglioramento di sé nasceva “anche” da quanto appreso improvvisamente, magari durante una sua pausa di lavoro, in Piazza o alla Porta del Colle o alla Fonte all’Acona. Iniziando a parlare, egli, molto semplicemente, imboccava risoluto il sentiero dei fatti quotidiani e li esponeva con estrema chiarezza non tralasciando, a volte, di inoltrarsi in paragoni, azzardare metafore che non erano per nulla azzardate e che avvaloravano quanto da lui appena detto. Era solito anche “rivisitare” quanto appreso da giornali e televisione e così era lui che operava un filtro su quanto accaduto, in Italia o nel mondo. Egli dunque, “diceva la sua” e chiariva la sua posizione. Se qualcuno, accanto a lui, non era d’accordo, ecco che subito rispondeva: «Che vò che te dica…». Spesso il suo eloquio iniziava per qualcosa che vedeva nello scenario a lui di fronte, magari l’annunciarsi della pioggia o anche certe saggezze d’un tempo andato in riferimento ai cicli delle stagioni, e poi l’enunciare certi ricordi verso i “cari vecchi” e anche ai “begli tempi de prima”.

Sì, vero questo, ma egli non era comunque un “passatista” a oltranza, divideva sentimento e scienza, dunque affetti e progresso e molte sue riflessioni sottolineavano proprio questo sentire, e cioè che non tutto era splendido ai “begli tempi de prima”.

Disse la sua sui governi che si susseguirono, sugli scandali, sulle minacce che incombevano sull’Umanità, e sarebbe stato bello registrare ogni suo “intervento” sotto il sole o sotto un arco. Questo, naturalmente, si sarebbe dovuto pensare per tutti. Chissà quale stupore, oggi, riascoltare certi “passaggi importanti” d’ogni intervento… Sarebbe come poter disporre di materiali inediti per raccontare ulteriormente la storia di Assergi.

Ma tornando a Domenico Onofri, egli non fu soltanto il suscitatore di ragionamenti in strada, fu anche una novità negli scenari: appariva lui e cambiava qualcosa: la proverbiale quiete delle ore 14,21 sotto un sole benedicente, diveniva di colpo un’altra cosa. Quel silenzio del posto ‘Na Porta, svelante a volte un malanno in agguato, si mutava in composta allegria se sopraggiungeva Domenico Onofri. Ecco, egli sapeva anche trasmettere un simile sentimento ed il sollecitare la conversazione aveva degli effetti favorevoli perché “si pensava ad altro”, si fuggiva seppure per breve tempo dalle angosce. Sembrava un folletto biondo e anche quando era in avanti con gli anni, rimaneva più di qualcosa del suo sguardo fanciullo, giudizioso, rivolto sempre ad atti giusti. Egli con il suo passaggio dava colore, impreziosendoli, a certi scorci di Assergi.

 



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