QUELLE POCHE PAROLE AGGUANTATE AL VOLO - RICORDO DI GIUSEPPE MASCI

QUELLE POCHE PAROLE AGGUANTATE AL VOLO

 

(RICORDO DI GIUSEPPE MASCI)

- di Fernando Acitelli -

 

Confesso di non aver mai scambiato parola con Giuseppe Masci, ma questo per me vuol dire poco. Mi bastò osservarlo. Era un ragazzo (e poi un uomo) distinto, riservato, elegante nell’eloquio e infatti mai s’espose in “sgarbi lessicali”: lui proprio non se la sentiva di macchiare quell’aria  nitida, celestina, sia al posto ‘Na Porta e sia lungo il distretto che gli apparteneva, vale a dire dall’arco dell’Orologio fino all’inizio della Pisterola.

Ho sempre avuto la sensazione che egli si muovesse soltanto su questa traiettoria e me lo voglio ricordare proprio su tale segmento rassicurante. Le sue parole, pur se agguantate da una distanza non breve, le coglievo sempre nitide, e le potrei anche definire “pettinate”. E spesso accadeva che egli, pur non condividendo certi argomenti che con gli amici stava affrontando, si divincolasse ad arte, non turbando chi gli stava attorno e posizionandosi sulla dimensione del silenzio. Ecco, anche il silenzio poteva accordarsi con la sua persona, anzi, ne era parte costitutiva, essenza. Quel silenzio non avveniva per mancanza di argomenti o incapacità di seguire quanto si stava dibattendo sotto un sole che rinfrancava, ma per devozione al proprio animo, al proprio sentire. Il suo sguardo chiariva esemplarmente una interiorità di rilievo.

Era una figura che si distingueva ma affermo questo senza espormi in una gerarchia di valori su chi fosse meglio e chi peggio: nella vita si ha bisogno di tutti e dunque Giuseppe donava ma, nello stesso tempo, assorbiva il nettare d’ognuno, il battito profondo di Assergi. E tali riflessioni, tali visioni del mondo le coglievo mentre, un poco in disparte, i miei interlocutori erano altri. E però con lo sguardo lo raggiungevo e allora m’intromettevo visivamente in quella loro conversazione. In più: coglievo i gesti di Giuseppe che seguivano traiettorie precise, dunque un nitore nello spazio. E c’era dunque armonia nel muovere, ad esempio, le braccia come per sottolineare un passaggio del discorso che stava componendo.

Lo vidi tutte le volte che nel mese di agosto tornavo ad Assergi per stringermi non soltanto ai miei cari ma anche alle mura, ai vicoli, agli archi, agli odori inconfondibili di Assergi; e finivo anche dinanzi ad usci sempre chiusi, cioè abitazioni di coloro che erano partiti per luoghi dove, forse, avrebbero potuto vivere più dignitosamente.

Inoltre ero anche a stringermi ad esistenze che erano diventate fragili ma che resistevano, che tossivano anche d’estate come se quel fatto suonasse per me come un aggiornamento sulla loro salute. Da tutti cercavo di trarre un utile, ovviamente di ordine morale. Era una scuola di vita ascoltare tutti, imparare, distinguere e quindi allestire comportamenti adeguati. Ed è ancora oggi strano come io, avendo scambiato parola con tutti ad Assergi, dal più esuberante passando al remissivo al funambolico di parole per finire quindi alle figure più umili, è strano dicevo, che non abbia mai conversato con Giuseppe Masci. Ne mancò l’occasione, non ci fu mai una persona, conoscente d’entrambi, che accorciasse, per così dire, le distanze.

La casa di Giuseppe Masci ad Assergi era di fronte a quella di Maria Acitelli, la moglie di Vincenzo Ferella, e zia carnale di mio padre (sorella di mio nonno Alfonso). Quel luogo aveva nel vicinato figure come Giovanni De Leonardis, quindi Maria e Aldo, e, poco più su, sulla destra e nel punto iniziale dal basso della Pisterola, ecco “Palerm” con la moglie Genuina. Poi luoghi come la vecchia bottega di Quirino Del Sole – ottima persona, al pari della moglie Linda e dei loro figli – e il negozio de “Gliu Sindac”, ovvero Angelo Giannangeli e della moglie Luigina; di fronte a tali botteghe s’ammirava la casa de “La Pasticcia”, fino a giungere poi all’abitazione di Anna Pia e Mimina. Insomma tutto si allestisce nel tentativo di ricomporre lo scenario e restituire il necessario sapore d’epoca. Insomma, quello che fu anche il vicinato di Giuseppe. 

A me non bastano più le fotografie per ricordare tutti coloro che non sono più tra noi. Mi è necessario ricorrere ad affreschi rinascimentali pieni di figure che sembra stiano agguantando con più facilità la salvezza. E inoltre, abitualmente, mi servo di dipinti della stessa epoca che, per la loro essenza, ci parlano in un modo universale e smuovono più facilmente scenari metafisici, così distanti dalla quotidianità “usa e getta”. Dunque, oltre che con queste poche righe, ricorderò Giuseppe Masci grazie ad una galleria di personaggi chiusi in uno spazio ideale, puro, cioè gli affreschi sublimi del Ghirlandaio: anche lui s’è ritratto in essi, veramente un selfie memorabile e rinascimentale. In simili scenari tutto mi sembra disteso nella quiete ed il tempo è sospeso. Inoltre si respira il silenzio, condizione dello spirito che apparteneva certamente a Giuseppe.

In questo ritaglio di mondo descritto, mi ricordo anche della madre di Giuseppe, Maria Giovanna, la quale, con la sua presenza, accarezzava anche fuori, quello spicchio di realtà che era la sua casa.



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