Il giorno di debutto da maestro di sci a Campo Imperatore

- di Fausto Tatone -

 

Tutto cominciò domenica mattina .


Per me il giorno di debutto da maestro di sci a Campo Imperatore dopo 6 anni da direttore di stazione durante i quali avevo quasi dimenticato l’insegnamento. Di tutto punto partii da casa, a poche centinaia di metri dalla stazione di partenza della funivia del Gran Sasso. Persi la funivia delle 7. Avevo con me Jack che in qualche modo mi procurava alcune ansie. Negli ultimi 6 anni eravamo sempre andati a lavorare insieme in montagna e avevamo sviluppato un bel rapporto di autonomia. Si saliva contemporaneamente, in bici o in auto, poi ognuno faceva il proprio dovere. Io mi occupavo del coordinamento dell’intera stazione dalla biglietteria ai rifugi alla sicurezza  sulle piste fino a pubblicare puntualmente sui canali web lo stato di apertura delle piste. Lui invece si occupava dell’accoglienza dei clienti , in particolare modo dei bambini. Passava intere ore vittima della loro spontaneità. L’ho visto fare il cavalluccio con sulla groppa tre infanti senza lamentarsi affatto. Anzi sorrideva. Ma sapevo che a Campo Imperatore era diverso. Ho pregato fino all’ultimo momento che non prendesse la funivia, malgrado fosse un gesto per lui quotidiano. Troppa gente. Troppo caos. Non sarei mai riuscito a controllare le sue mosse. Fortunatamente non lo fece, rimase alla base dove sicuramente trovò molte coccole e tanti premi.
Nel mentre io arrivai in cima cosciente che avrei vissuto quella giornata in maniera diversa, non avevo più responsabilità, non dovevo pensare alle piste, ai rifugi, alle biglietterie ma dovevo fare solo il maestro di sci. Non sapevo cosa mi aspettasse e approfittando della scarsa affluenza dovuta alle prime ore della giornata approfittai per scaldarmi un po’. Era un mese che non uscivo in bike, 10 che non sciavo. Andai subito a vedere la “stradina”, l’unica pista che non conoscevo. Mai fatta in 55 anni di sci. Poi mi buttai per le Fontari. Gli sci giravano da soli, non ricordavo di essere così capace. E tutt’intorno regnava un panorama mozzafiato . Dopo essere ripassato per la scuola ed aver ricevuto le istruzioni del direttore mi recai al luogo di appuntamento con i clienti. Sapevo che era uno sci club. Circa 40 persone. Vista la mia esperienza e la mia età il direttore mi diede indicazioni affinché mi fosse affidato un gruppo di medio livello o di esperti. Accadde il contrario. Per timidezza e per l’elevato rispetto che ho di quella montagna finii per prendere i principianti o poco più. Un gruppo di bambini compresi tra i 5 e i 14 anni. Malgrado sapessi che alcune età non vanno d’accordo con altre, specialmente dal punto di vista motorio, non mi arresi. Li presi tutti e in qualche modo arrivammo alla fine della discesa. Presa la seggiovia e arrivati in alto mi trovai davanti un’orda di genitori che chiedevano a chi poter affidare i propri figli. Altri allievi arrivati in ritardo. Senza arrendermi presi tutti con me. Avevo a quel punto 3 livelli diversi con altrettante fascia di età incompatibili tra di loro. Un club scarsamente organizzato. Continuai per 3 ore a fare avanti e indietro per la stradina, cercando di giocare con i più piccoli e di dialogare razionalmente con i  più grandi. N’è venuta fuori una lezione fantastica. Ho visto principianti partire da zero fare lo spazzaneve dopo solo 100 metri e le curve dopo 500. Che soddisfazione, all’imbarco della seggiovia mi ritrovavo accanto i  più piccoli. Ricordo Anna, una bambina tra i 5 e 6 anni che non si è mai voluta allontanare da me malgrado fosse in grado di sciare in completa autonomia. Siamo sempre saliti insieme in seggiovia e lei ha sempre voluto la mia mano appiccicata alla sua. Emozioni indescrivibili. Sentire quella piccola manina stringersi e allentarsi a seconda del percorso della seggiovia. Seduti ci siamo raccontati un sacco di cose. Tacere con i bambini è il più grande torto che possiamo fargli. Gli avrò raccontato mille cazzate, quelle poche che mi venivano in mente, ma lei era sempre concentrata sulla mia voce, forse l’unico rifugio alle sue paure. Dovevo finire la lezione alle 14 ma alle 15 ero ancora lì ad accertarmi che i bambini avessero rincontrato i loro genitori e che questi ultimi fossero soddisfatti. Un bel momento. Tanti complimenti ma sopratutto tanti sorrisi. Rientrai a scuola. Ero a pezzi. Cercai di togliermi gli scarponi che si erano saldati con la pelle dei miei piedi. Doloreeeeee! Ma che bello.
In fretta e furia decisi di provare a prendere la prima funivia disponibile. Il mio pensiero era per Jack. Ci eravamo lasciati alle 7:15 ed erano le 15:15. So benissimo quando tempo resiste in autonomia senza di me e otto ore vanno oltre la sua e la mia tolleranza. Presi la funivia all’interno della quale mi ritrovai Alessia col papà, una bambina speciale che pochi minuti prima era una mia allieva. Senza casco, maschera e scalda collo ci siamo visti per la prima volta in viso. Era bellissima e contenta, anch’io. Sceso alla villetta non trovai jack. Malgrado avessi ricevuto una foto da un amico che lo ritraeva a mangiare un arrosticino qualche minuto prima. Avevo la giugulare in procinto di fare un backflip. Un bicchierozzo di birra era l’unica soluzione. Entrai alla bar della Villetta. Era strapieno. In un angolo c’era una goliardica tavolata con presenti tutti gli organizzatori, o quasi, del Festival della Montagna. Era da molto tempo che non li vedevo. Approfittammo subito per brindare. Tra i tavoli si parlava della giornata appena passata. Chi racontava della pista come un biliardo, chi dei fuori pista, chi della pellatina o della ciaspolata. Un ambiente così stimolante non esiste in nessun altro posto al mondo. Belle storie. Su Instagram non renderebbero. Erano ormai le 17 e tante altre persone si erano aggiunte a quella festa, compresi altri maestri di sci, in primis quelli della scuola sci assergi Gran sasso ma anche quelli provenienti da campo felice. Whatsapp stava diffondendo la notizia che alla Villetta c’era un sacco di divertimento. Con Luigi, Gabriella e altri amici ci sedemmo ad un tavolo all’esterno. Una nuova area appena realizzata come fosse un igloo e riscaldata da funghi a gas . Arrosticini a gogò. Tra quel tavolo esterno e quello all’interno con due diverse compagnie di amici feci un via vai continuo. Poi notai qualcosa di diverso. Due ragazze vestite alla Julia Roberts e altrettanto belle erano entrate nel locale tra l’indifferenza di tutti. Pensai: non è possibile. Ai miei tempi sarebbero state assaltate da una manica di arrapati invece non le notó nessuno. Dopo qualche minuto il deejay diede il via alle danze e le due ragazze, cambiato l’abito, si misero a ballare sul cubo. L’ambiente comincio a scaldarsi . Ma la pista da ballo rimase vuota . Erano tutti li quasi impietriti a guardare quelle ballerine, sia donne che uomini. La scena cambiò radicalmente quando dopo circa 15 minuti le ragazze scesero dal palcoscenico per rinfrescarsi un po’ e cambiarsi d’abito. La pista si riempì. Poco dopo rientrarono in scena nuovamente e la pista si svuotó. Noi eravamo all’esterno con altri maestri di sci a raccontarci la giornata ma notammo il tutto attraverso le ampie finestre vetrate.
Era chiaro: il pubblico era intimidito dalla presenza di quelle due ragazze. Si rischiava di rovinare una fantastica serata per l’esagerato atteggiamento timido e remissivo che noi Montanari spesso assumiamo per difesa contro le novità. Così ci venne in mente di entrare per cercare di rompere quello sciocco muro. D’altronde la figura del maestro di sci è stata sempre quella di animare qualsiasi forma di divertimento. Lanciammo l’appello ai presenti ma ci ritrovammo in pista in 4: due giovani e due vecchi. Gabriella, moglie di Luigi, prese il telefono per farci una foto e ci indicò, come fosse un’esperta regista, la posa da assumere. Le ragazze sul cubo capirono subito la situazione e stettero al gioco fermandosi in una posa provocatoria. Tempo due minuti uscimmo di scena ricevendo tante pacche sulle spalle dal pubblico presente e di li a poco partì la vera festa senza più distinzioni tra chi era sopra e chi era sotto al cubo. Tornai  a tavola per mordere altri due arrosticini. Erano le 21:30 e il mio corpo non ce la faceva più. Uscii salutando chi incontravo compreso uno degli addetti alla sicurezza che mi abbracció chiedendomi scusa perché secondo lui mi aveva dato una spallata senza motivo. Quella spallata non la avvertii affatto, forse perché avevo tutti i muscoli del corpo doloranti per altri motivi. Ma mi sembrò un gesto stupendo e non esitai a stringere quell’abbraccio come fosse una nuova stupenda amicizia. Lanciai un ultimo sguardo all’interno. Il cubo era strapieno di ragazzi e ragazze che ballavano, la pista ancor di più. Le due ballerine erano invece ad un angolo, appoggiate ad una mensola. Guardavano esterrefatte quanto stava accanto, forse deluse per non aver riscosso il successo che si aspettavano ma soddisfatte per aver contribuito a far divertire molte persone. Pensai di fare una foto a quel quadretto così significante. Come pensai di rientrare e parlare con loro soltanto per farle sentire piu importanti. Ma il mio pensiero era per Jack. Non sapevo dove fosse ed ero preoccupato. Arrivato a casa lo trovai fuori che mi aspettava con la sua solita gioia. Dopo innumerevoli abbracci e coccole finalmente rientrammo. Lui mangiò e bevve acqua fino a svenire nella sua cuccia. Io mi buttai sotto la doccia e ancora umidiccio abbracciai le coperte ripensando a quelle bambine e a quei bambini che tanta gioia mi avevano fatto riscoprire.


Fare Il maestro o la maestra  di sci è un’esperienza unica. Capisci che il tuo unico scopo non è insegnare una tecnica ma far felice la gente.



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