‘NU LINZORE PE’ NONNA - dal libro ..SCURA MEA! di Angelo Acitelli

La coltivazione e lavorazione della canapa è stata per anni protagonista della vita contadina di Assergi, oggi, solo le persone anziane ne preservano il ricordo. Faceva parte di quel processo di approvvigionamento autosufficiente che caratterizzava l’economia rurale: la famiglia patriarcale di una volta traeva dall’agricoltura e dall’allevamento quanto era necessario per vivere, tra questi la canapa, la materia utile per la confezione di stoffe e vestiti. Con i tessuti ottenuti si realizzavano indumenti e biancheria per la casa. La coltivazione della canapa è andata scomparendo nella prima metà del Novecento con l’arrivo in quantità dei prodotti tessili industriali.
Parlare del suo ciclo di lavorazione significa penetrare nella realtà del lavoro contadino, delle classi povere e soprattutto delle donne. La lavorazione della canapa consisteva in un procedimento lungo e faticoso. Il prodotto finale però era resistente e poteva durare tutta una vita. Corredi, lenzuola, asciugamani, capi d’abbigliamento, in gran parte costituiti da questa fibra vegetale, erano caratterizzati dalla ruvidezza tipica della canapa. Ora questo tipo di tessuto si trova solo più nei bauli e negli armadi delle nostre bisnonne. Non si produce e non si usa più e con esso si è estinto anche una lavorazione tradizionalmente femminile.
L’ARTISTA ASSERGESE ANGELO ACITELLI CON UNA POESIA IN VERNACOLO, CI HA RICORDATO LA COLTIVAZIONE E LAVORAZIONE DELLA CANAPA, NEL SUO LIBRO: “......SCURA MEA!” –

                     ‘NU LINZORE PE’ NONNA

Pe’  le prata, se somentéa la cannavìna,
èra sott’acqua e de sicùre venìa bbòna;

prima se carpìa lo spaone
e cchiù tarde lo cannavìcce piéne;

le reportéane all’are cchiù assolàte
pe’ seccàlle e po’ èsse battùte;

tutti i mazzi preparàti
a ju massàle èrane curàti;

ce ju tenéane  ‘nu mèse e  ‘na vòta maceràti
i restennéane a ju sòle e rassugàti;

co’ la macìnela, acciaccàta e racciaccàta,
dalla rìschia la stòppa recapàta;

co’  la còsta se levéane l’ùrdeme schiarìghe
pe’ falla deventà fina e sénza pughe;

la stòppa raffinàta, ch’èra pettenàta
co’  ju fuse e la chenòcchia èra filàta;

po’  co’  j’aspe, vìnnele e filaréjji,
se ‘mbjìane mazzi de cannéjji;

se passéa a ju sùbbie, a j’ordetore
po’ alla trùa dentre a ju tolàre.

Finarménte ...scìa ‘na téla
longa , rambelosa e scura;

bagnàta, renfossa e reschiaràta
co’ acqua, sòle e tanta tanta bbucàta.

Pe’ fa’  ‘nu linzore bianche e ricamàte,
quànte suvore e quànte nottàte...!


UN LENZUOLO PER NONNA

Nei prati si seminava la canapa
erano irrigabili e di sicuro cresceva bene.

Per primo si carpivano le piante maschili
e più tardi le piante con i semi maturi;

si radunavano sulle aie più assolate
per seccarle e per essere battute;

tutti i mazzi preparati,
dentro al masaro venivano fatti macerare;

li tenevano a bagno per settimane e dopo macerati,
si stendevano al sole per farli asciugare;

con la macìnela, si frantumava la parte fibrosa
e dalla pula la stoppa era separata;

con la stecca di legno si toglievano le ultime scagliette
per farla diventare fine e senza impurità;

la stoppa raffinata, che era pettinata,
con il fuso e la conocchia era filata;

poi con l'aspo e con l'arcolaio
si riempivano mazzi di cannelli;;

si passava al subbio e all'orditore
poi alla trua o spoletta del telaio.

Finalmente usciva una tela
lunga grezza e scura;

bagnata e rischiarata
con acqua sole e tanta lisciva di cenere.

Per fare un lenzuolo bianco e ricamato,
quanto sudore e quante nottate...!


VI RIPROPONIAMO UN VIDEO REALIZZATO DALLA GIORNALISTA GIUSI FONZI PER TELEABRUZZO NEL 2001. LA TRADIZIONE ERA GIA’ SCOMPARSA, MA E’ STATA RICOSTRUITA PER L’OCCASIONE

 



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