UN ALTRO CENTENARIO AD ASSERGI - ALLOGGIA COSTANZO (NANDINO)

UN ALTRO CENTENARIO AD ASSERGI

UN PERENNE SORRISO

(Vita di Costanzo Alloggia) 

 

                               Il mio mestiere e la mia arte è vivere

                              Michel de Montaigne 

- di Fernando Acitelli -

L’andare incontro alla vita con il sorriso credo sia stato (e sia) per Costanzo Alloggia (il nostro Nandino) il più bel dono ricevuto dalla Natura. Oggi quest’uomo buono, astuto, sapiente, compie 100 anni e dunque si iscrive nel Registro sublime dei centenari, luogo meraviglioso e anche “prova di forza” nei confronti della Natura. In simili momenti si pensa allo splendido congegno genetico, cioè a quel “meccanismo” che possiede in sé, racchiuso nell’infinitamente piccolo della cellula, il segreto ed il mistero della vita. Chi mai avrebbe potuto preannunciargli una così lunga esistenza? E che forse da bambino vi furono persone attorno (i suoi affetti) che potevano pensare a tanto? E ancora: vi furono ad Assergi, mentre lui era bambino, altri centenari o comunque vecchi con età notevolissima sulle spalle? E il visetto furbo, astuto di Nandino s’interrogò forse su quegli uomini d’età severa che vedeva seduti fuori l’uscio di casa? Componiamo adesso queste domande con l’intento (con il sogno) di rivedere Nandino fanciullo tra i fanciulli, scorgerlo nelle vicinanze della sua casa o sotto un arco o ancora volgersi col visetto verso una voce famigliare che lo chiama. Quali i suoi stupori in quella sua primissima stagione della vita?

Un secolo, si è capito bene, ed è più bello esprimersi con questa sintesi  - un secolo – o anche parlare di un centenario piuttosto che comporre un calcolo, ovvero i 365 giorni e moltiplicarli per 100 anni per avere davanti agli occhi la notevolissima cifra dei giorni vissuti. Nel nominare un secolo c’è più quiete e più compiutezza, la vita d’un centenario è già Storia, è un dipinto custodito agli Uffizi o al British Museum e ancora al Louvre, al Metropolitan Museum of Art di New York. Con la moltiplicazione dei giorni per gli anni s’arriva subito al dunque ed in essa non c’è il logos, la parola, il confronto e non si sogna la Storia né l’avventura dell’Uomo. È tutto un calcolo, cioè una riduzione ad una cifra senza parole attorno. Per me schivare la moltiplicazione salva e mi dona l’esistenza nella sua compiutezza. Nel calcolo e nel risultato finale pare non vi sia posto per l’anima. Ma queste sono mie riflessioni e hanno un valore solamente nella mia penombra.

Nandino è stato un testimone del tempo, dunque una persona che dispone nella sua mente di fatti e immagini che, per la loro vastità, sarebbe impossibile catalogare. Il sogno sarebbe di salvare tutti quei “documenti” proprio come si fa ad esempio con un computer. In questi momenti rifletto esattamente su questo aspetto, vale a dire su quel meraviglioso archivio della sua memoria che si vorrebbe custodire per sempre, mettere in una pennetta, in un dischetto, in una di queste sublimi “piccole grandi cose”.

Una volta, nel XVIII secolo, c’era la cosiddetta “arte del presentarsi” ed esistevano anche a quel tempo i biglietti da visita con i quali un individuo dichiarava il suo status. Si faceva recapitare questi biglietti ad una nobildonna della quale il titolato s’era invaghito, ed era un valletto ad esibirsi in tale compito. Costui portava poi al suo signore la risposta della nobildonna. Sul retro il nobile scriveva un rigo di passione e il luogo dell’appuntamento. Come detto, si trattava di aristocratici, ma adesso penso che non ci sia nulla di più nobile di un sorriso che non è stato mai, nel caso di Costanzo Alloggia, cioè del nostro Nandino, di circostanza ma sorriso autentico, puro riflesso del suo animo. Ecco, possiamo dire che “l’arte di presentarsi” di Nandino fosse proprio il suo sorriso.

Come si vede si può saltare da un secolo ad un altro ma vi saranno sempre delle metafore, degli allineamenti, degli “accoppiamenti giudiziosi” ed è questo che consente di definire un ritratto nel modo più nitido possibile. Ho parlato del sorriso come qualità sublime di Nandino, ma il sorriso è al primo impatto, poi, naturalmente, c’è stato tanto altro. La famiglia ad esempio, architrave della sua esistenza, chiave di volta per poter avanzare nei giorni, nell’attraversare gli anni. Il sorriso, dunque, non basta, è di certo una bella immagine ma sono necessarie anche doti morali e anche in questo s’è distinto Nandino. Lo voglio ricordare d’estate, ad Assergi, con lui che salutava chiunque incontrasse per strada e si fermava a parlare, ad ascoltare magari degli amici d’infanzia con una diversa traiettoria esistenziale. Non lesinava consigli e, in verità, dava suggerimenti, comprendeva, s’immedesimava, componeva paragoni richiamandosi al suo passato, al principio della sua fanciullezza e adolescenza. Aveva, insomma, una parola per tutti e in quei mesi che, ritornando dalla Venezuela, riprendeva in un certo senso le abitudini di Assergi, vi aggiungeva sempre qualcosa di suo, di appreso nella nuova realtà in cui viveva. Qualcosa che andava a migliorare e ad impreziosire quanto già era in lui come bagaglio umano realizzato anche con fatica e sofferenza prima di emigrare.

Ascoltando l’interlocutore che gli raccontava come procedevano le cose, ecco che Nandino, immedesimandosi nelle vicende che stava ascoltando, osava il suo personalissimo: «Oh, oh, oh…», che era una vera distinzione e non il semplice (e a volte banale) «Sì, sì, sì…», con cui di solito si prestava attenzione ma non si era del tutto presenti nell’argomento che si stava trattando.  Era come se in quella presa d’atto di quanto ascoltato Nandino con quella emissione di fiato o stupore buono: «Oh, oh, oh», avesse in mente qualcosa, cioè la massima compressione ed anche un possibile modo per intervenire in aiuto. Naturalmente nutriva anche ammirazione per quanto quella persona gli stava raccontando.

Si tratta, a ben vedere, di frammenti di memoria che cercano di riconsegnare l’uomo/Nandino, restituendolo per come egli era realmente. Come dire: il ritratto definitivo della sua esistenza. In quella pura emissione di fiato: «Oh, oh, oh…» (insisto su questo dettaglio), io leggevo tante cose, ed è per questo che ora ne parlo: mi è rimasto impresso assieme ai suoi occhi zampillanti di luce creativa. Era esemplare, dunque, quella intonazione di voce: si trattava d’uno stupore buono, d’un moto dell’animo e la mia sensazione credo che già allora fosse valida e adesso non ha perso la sua consistenza.

Se un uomo vive da solitario sa benissimo come la sua esistenza può essere “spensierata”, certamente, ma anche avventurosa, cioè densa di pericoli, e allora si può dire che Nandino sia giunto a 100 anni non soltanto perché il suo corredo genetico prevedeva un simile, splendido, risultato, ma anche perché ha avuto accanto una donna, Checchina, sua moglie, che è risultata esemplare, decisiva, nell’attraversare con lui la vita. Ne è nata una famiglia, dei figli, cioè quanto all’epoca poteva ben definirsi come un sistema difensivo contro gli agguati della vita. Una cinta muraria, insomma, di quelle che possono ancora scorgersi in molte città italiane che hanno conservato il loro aspetto rinascimentale. Qui a Roma, le Mura Aureliane (fatte erigere dall’imperatore Aureliano per proteggere l’Urbe da incursioni e saccheggi). È stata Checchina che ha vegliato su di lui, ne ha condiviso certi passaggi fondamentali come si può ben immaginare; è lei che gli ha consigliato, in qualche occasione, di “cambiare rotta”, magari d’attenuare il sentimento a vantaggio della ragione. Sono sensazioni, lo ammetto, e come tali “fallaci”, personalissime, ma tutto si può capire, ad esempio, già dall’essere Checchina donna di presenza, e poi dalla sua postura, dal suo sapersi imporre quando è necessario e subito dopo, magari, passare ad un tono conciliativo. Il tono di voce, ecco, è quello che mi è rimasto impresso di Checchina e così una tranquillità che può di colpo mutare quando s’avverte un qualcosa di non favorevole all’orizzonte. Sarà una sensazione (l’ennesima) ma dal tono di voce e dalle sue parole assennate che in più d’una occasione ho involontariamente sentito, mi sembra di riascoltare la voce di suo padre Domenico Giampaoli con punte anche di saggezza della madre Teresa.

Ad impreziosire questo affresco composto per Nandino, mi viene in soccorso un grande artista. Lo so, mi ripeto, sono uno che cerca collisioni cosmiche, che tenta di chiudere l’Universo con un verso, va bene, d’accordo, inseguo fantasmi, un gioco tutto mio, non chiedo nulla a nessuno, sto bene col mio impianto autonomo riguardo alla sensibilità, e tutto questo alla fine dona stupori a ripetizione, giochi di luce interiori, incantamenti, sguardi di fanciullo ad oltranza, vagabondaggi lirici, visite continue tra il condominio delle stelle, costellazioni a portata di mano, “sala d’aspetto” di Dio. Tutto è gratis ed è una continua meraviglia questo dono ricevuto. Dunque la collisione cosmica c’è stata e, a questo punto, faccio entrare in scena Franco Zeffirelli. È importante lui a questo punto del racconto. Il regista del più bel film su Gesù di Nazareth e anche, tra gli altri, di “Fratello sole, sorella luna” sulla vita di San Francesco e Santa Chiara è stato un grande artista occupandosi anche di opere liriche e tanto teatro e cinema. I suoi disegni - bozzetti sulla preparazione scenica - sono una lunga serie di atti d’amore verso l’arte.

Franco Zeffirelli nacque a Firenze il 12 febbraio 1923, vale a dire lo stesso giorno, mese e anno di Nandino, e si tratta d’uno stupore bello e sicuramente fino ad oggi nessuno sapeva di questa collisione. Gli occhi dei due neonati si aprirono al mondo nello stesso giorno (sull’ora precisa della nascita d’entrambi non si saprà mai nulla). Mutava il paesaggio, ovviamente, e una volta divenuti bimbi videro scenari diversi ma il Palazzo della Signoria e Pizzo Cifalone, la cupola del Brunelleschi e la chiesa di Santa Maria Assunta, il campanile di Giotto e la torre dell’Orologio si declamavano con la stessa intensità, cioè era la meraviglia verso la vita. A poco meno di 400 chilometri di distanza nacquero dunque due bimbi e quello che per me vale è che procedettero appaiati nella vita pure se in sentieri differenti, e inoltre che ogni anno avvertivano l’approssimarsi del proprio compleanno allo stesso modo perché il segno zodiacale era il medesimo e dunque il “sentire la vita” era proprio quello.

 

Non ci sentiamo più al sicuro quando ci rendiamo conto che due individui nacquero lo stesso giorno, mese e anno? Franco Zeffirelli ci ha lasciati nel 2019, a 96 anni, Nandino è andato oltre, evidentemente non ha ancora terminato la sua opera d’arte.

Scrive ancora Montaigne nei suoi Saggi: «Il segno più evidente della saggezza è il buon umore». A me pare proprio che stia parlando di Nandino.

 



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