GIACOBBE MASSIMI, QUANDO NEL SORRISO SI LEGGEVA L’ANIMO - Un ricordo di Fernando Acitelli

GIACOBBE MASSIMI, QUANDO NEL SORRISO  SI LEGGEVA L’ANIMO

Un ricordo di Fernando Acitelli

 

Giacobbe Massimi è stato un uomo forte, prestante, gran lavoratore, dallo sguardo generoso, sorridente anche con me che ero sì un volto di Assergi ma vivevo altrove. Sapeva di chi ero figlio e mi salutava perché anch’io ero una presenza, uno dei tanti tasselli del grande mosaico di Assergi. La forza nel fisico e anche nell’animo è prodigiosa in un lavoratore. Non soltanto costui si dedica alla sua opera ma, nello stesso tempo, sa tenere a bada le preoccupazioni che sono in ognuno di noi. Le inquietudini possono limitare il lavoro ma ci sono persone, e Giacobbe Massimi ne è stato un esempio, che sanno neutralizzare ogni agguato della vita e continuare nella loro opera.

 Soltanto il lavoratore conosce i ritmi del sonno e del risveglio, del lavoro e della chiusura del giorno. Lo ripeto, ma è un discorso che ha valore come posizione esistenziale: “l’andare a zonzo” è in molti casi un comportamento per scansare le preoccupazioni ma non ha a che fare con la figura del perdigiorno di professione. A dire meglio: passeggiando, “andando a zonzo” per l’appunto, cambia di continuo lo scenario davanti ai nostri occhi ed è proprio quel continuo mutamento di scorci e di vedute a concedere delle pause ad un animo angosciato, perché ad ogni mutamento del paesaggio cambiano (si spera sempre in meglio) anche i nostri pensieri. E spesso questo passeggiare solitario è qualcosa di miracoloso per l’animo.

Giacobbe Massimi è stato un gran lavoratore, come, del resto, suo fratello Antonio, sul camion o in altre operosità non hanno sprecato un solo istante della loro vita: figli giudiziosi, come sentii dire tante volte ad Assergi per molte persone. E credo sia stato lo stesso anche per Rossana, sempre attiva e mai ferma, e per la madre e per il padre che mi hanno sempre lasciato dentro un dolore intenso. Non posso dimenticare il padre che salutava sempre tutti non perdendosi uno sguardo. Ed il sorriso era un sigillo in lui. Anche se stava di spalle, subito si voltava a salutare: era per rispettare quel suo codice interiore che era l’educazione. Era un uomo sorridente, appunto, ma per un moto spontaneo del cuore.

Tutto questo, lo ripeto, è stato quanto io ho potuto vedere tenendo presente che il mio essere ad Assergi era da villeggiante (seppure bene addentro alle vicende umane del paese e alla passione per l’araldica e per gli alberi genealogici) e dunque le volte che potei vedere Giacobbe era soprattutto ad agosto: un anno, se non ricordo male, fece anche parte della benemerita dei procuratori, coloro che sanno allestire la festa con attori (il film), cantanti (il palco), musicanti (la banda in giro per il paese). Dunque, tutta la grande “commedia umana” era egregiamente rappresentata nella piazza multicolore e religiosa.

Adesso le ultime immagini che ho di Giacobbe si concentrano in un luogo, e fu proprio lì che lo vidi le ultime volte: il capannone per il camion posto a breve distanza da quello che fu il bar-ristorante “Picnic”. Era un garage all’aria, coperto naturalmente ma senza una porta metallica che avrebbe potuto dare maggiore sicurezza. Se quel capannone fosse stato in paese, magari nei pressi d’un’ara o d’un pagliaio, il mezzo sarebbe stato più protetto, ma era sulla strada nazionale e mi pareva sempre che il camion, lì collocato, non fosse totalmente al sicuro, come esposto agli agguati della notte.

Ancora una volta entra in scena la “Strada Ritta” e in particolare un vicolo della stessa dove abitavano i Massimi, vicolo proprio di fronte a quel piccolo universo di esistenze e luoghi come la Zagotta, e poi Annarella, cioè la madre di Checco di Ballarine, e quindi la casa di Petetta, l’arco di Felicetta e ancora la bottega già allora vintage del calzolaio che veniva da Tempera e che aveva il dono della parola e anche vedendo delle scarpe malconce “dava speranza” proprio alla maniera d’un luminare.

Un mondo che si chiude, un negozio di frutta dei Massimi che resta un ricordo, le scale, prima d’imboccare il vicolo, della casa che fu di Zì Peppe Scangiglie. Adesso, in quel punto della “Strada Ritta” si certifica un altro individuo “momentaneamente assente” oppure “non raggiungibile”. In questi casi la fede può aggiustare ogni ingranaggio, ogni circuito integrato. Li può superare perché la fede sta ben oltre la Tecnica ed evoca e solleva ben altri scenari. Che bello custodire nell’archivio della coscienza anche il volto di Giacobbe Massimi.



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