«Il mio Galileo al Gran Sasso è uno spot per la scienza»

Una delle arti più antiche - il teatro - associata al luogo che è il massimo della modernità, l'Istituto nazionale di fisica nucleare. Sono i più grandi laboratori sotterranei del mondo - coperti da 1.400 metri di roccia del massiccio del Gran Sasso - l'inusuale quinta scelta da Marco Paolini per ambientare il suo nuovo spettacolo, Itis Galileo, che dopo oltre 150 rappresentazioni arriva in tv, su La7 (in diretta e senza spot), il 25 aprile. Data e luogo simbolici.

 

Marco Paolini, 56 anni, nei panni di GalileoMarco Paolini, 56 anni, nei panni di Galileo

Mentre sulla prima non c'è bisogno di molte spiegazioni, sul secondo ecco Paolini: «Il teatro dentro a una sala non è paragonabile al teatro che si può vedere a casa sul divano, c'è una differenza abissale. Per questo quando porto in tv un mio spettacolo cerco di associarlo a dei luoghi, di creare un set che dialoghi con la rappresentazione. Ho pensato di andare in un luogo che è nell'immaginario ben prima del "tunnel della Gelmini". Questi laboratori sono un luogo singolare e unico sul pianeta, ci lavorano un sacco di persone: ricercatori che sembrano operai o tecnici che sembrano professori. C'è insomma una fauna che in qualche maniera rappresenta un'Italia che noi conosciamo solo quando sale sui tetti, che si rende visibile solo per - legittime - questioni sindacali». Di qui l'idea di dedicare a quest'Italia sotterranea lo spettacolo: «Ho pensato di dedicare a queste persone e al loro lavoro - non ai loro problemi - un racconto che gli faccia drizzare la schiena, in cui si riconoscano, che faccia venire voglia a un ragazzo di iscriversi a Fisica. Abbiamo bisogno di colmare la distanza che c'è tra noi e la scienza, perché se no la superstizione rischia di rientrare dalla finestra dopo essere uscita dalla porta più di un secolo e mezzo fa».

Autore e attore, protagonista del teatro civile e di narrazione, dunque per paradosso scrittore orale, il 56enne Paolini spiega che il progetto è nato nel 2009. «Nell'anno delle celebrazioni galileiane, il sindaco di Padova mi sfidò a mettere in scena Il dialogo sopra i massimi sistemi , io ovviamente mica l'avevo letto, quindi ho provato a leggerlo e ho detto "no grazie", ma la sfida è rimasta lì». Con il tempo è nato il suo Galileo, così diverso da quello di Brecht: «Ho cercato, uno, di non essere troppo arbitrario e, due, di non strumentalizzarlo troppo: questi erano i punti di partenza, cioè dimenticarmi il Galileo di Brecht. Dimenticarmi il campione della libertà di pensiero contro l'oscurantismo, dimenticarmi il fenomeno e il simbolo che è diventato per noi. Per esempio è intrigante il fatto che Galileo per campare deve fare oroscopi, perché all'epoca rappresentavano una delle entrate più facili e remunerative per un matematico-astronomo. Per capirsi, Tommaso Campanella - che te lo fanno odiare a scuola, ma è l'unico intellettuale che si schiera a favore di Galileo al momento dell'abiura - viene portato a Roma a fare l'oroscopo al Papa». Galileo uomo del suo tempo, ma anche straordinario innovatore. «La sua forza - spiega Paolini - non è quella di avere avuto ragione, ma quella di aver dimostrato che si deve cercare in un altro modo e quando da un dubbio nascono tanti di quegli elementi per cui quello in cui si credeva prima non sta più in piedi, bisogna cominciare ad abbandonare quel pensiero. La straordinaria forza di Galileo è individuare l'importanza dell'errore, del dubbio». Il teatro di Paolini è impegno civile, ma anche ironia: «La cosa affascinante è che in fondo è un'occasione per mettersi a studiare, sapendo che alla fine ti pagheranno anche».



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