SAN GIUSTINO: FILOSOFO E MARTIRE (La verità prima di ogni cosa)

SAN GIUSTINO: FILOSOFO E MARTIRE (La verità prima di ogni cosa)                                     

- di Giuseppe Lalli -

 

Il 1° di giugno la Chiesa Cattolica fa memoria di San Giustino martire.

Chi era veramente questo santo che per noi aquilani si può confondere con l’omonimo patrono di Paganica vissuto nel IV secolo? 

Giustino, che spesso si dichiarava samaritano, visto il suo nome e quello di suo padre, Bacheio, nacque nell’anno 100 dell’era cristiana a Flavia Neapolis, in Palestina, dove probabilmente la sua famiglia si era stabilita da poco al seguito degli eserciti romani che qualche anno prima avevano sconfitto gli Ebrei e distrutto il tempio di Gerusalemme.

Come egli stesso riferisce nel Dialogo con Trifone (una delle sue opere, l’altra sono  le due Apologie), venne educato nel paganesimo ed ebbe un'ottima istruzione, che lo portò ad approfondire i problemi che gli stavano più a cuore, quelli di natura filosofica. La sua sete di conoscenza e di verità lo portò a frequentare molte scuole filosofiche. Si avvicinò così alla scuola degli stoici, ma in essa non trovò la risposta che cercava, in quanto per questa scuola di pensiero il problema di Dio non era essenziale. In seguito frequentò la scuola cosiddetta “peripatetica”, ma anche da questa corrente di pensiero rimase deluso. Prese allora a frequentare un filosofo pitagorico, che lo sollecitò ad approfondire le arti della musica, dell'astronomia e della geometria, tutti rami del sapere che il giovane Giustino riteneva molto interessanti, ma egli, filosofo autentico, assetato di verità assolute, non poteva accontentarsi di conoscenze relative. Cercava la verità nuda, che intuiva dover essere non tanto e non solo un’insieme di nozioni, ma un’esperienza dell’anima, una spiegazione del Tutto con cui orientare ogni istante della vita.

Da ultimo, approfittando della circostanza che un esponente della scuola platonica era da poco giunto nel suo paese, lo frequentò, e credette di aver finalmente trovato nella visione intellettuale che questa scuola propugnava ciò che ardentemente cercava. Egli scrive a tale riguardo: «Le conoscenze delle realtà incorporee e la contemplazione delle Idee – ciò che costituisce il cuore della dottrina metafisica di Platone (428/427–347 a.C.) – eccitava la mia mente». Si convinse pertanto che questa prospettiva metafisica presto lo avrebbe portato alla “visione di Dio”, che considerava il fine ultimo a cui doveva tendere la filosofia (grande Giustino!).

Decise allora di ritirarsi in solitudine, lontano dalla città, ma in questo luogo appartato incontra un anziano (c’è sempre un anziano sulla nostra strada...) con cui inizia un serrato dialogo, incentrato su Dio e su che cosa fare della propria vita. Il vecchio saggio gli fa intravedere un aspetto che a lui era sfuggito, e che si poteva sintetizzare nella seguente domanda: come possono i filosofi elaborare da soli un pensiero corretto su Dio se non lo hanno né visto né udito? Il Dio di Platone, in effetti, per quanto appagante possa apparire all’intelletto, non è un Dio personale. Giustino è invitato dal suo interlocutore a meditare su figure come i profeti di Israele, che hanno parlato di un Dio che non è un’idea astratta, per quanto sublime possa apparire, ma una persona che si interessa alla sorte degli uomini e in nome del quale essi hanno annunciando la venuta del Figlio, vero Dio e vero uomo: il cuore del Cristianesimo. L’appassionata e sincera ricerca della verità sull’uomo e sul senso della vita finì per portare Giustino da Platone a Cristo. Gli parve di aver trovato la pietra preziosa di cui parla il Vangelo, rispetto alla quale tutto è paglia.

Tuttavia, non fu sufficiente la sola riflessione intellettuale per determinare la sua profonda adesione al Vangelo. Dal momento che il cristianesimo è una filosofia della prassi, come si dice con linguaggio contemporaneo, e Gesù è “vero filosofo e pastore”, secondo la splendida definizione di Joseph Ratzinger (1927–2022), non deve meravigliare che determinante fu per Giustino la testimonianza dei martiri. Ecco al riguardo le sue precise parole: «Io, quando ancora ero discepolo di Platone, ascoltavo le accuse dirette contro i Cristiani, ma, vedendoli intrepidi di fronte alla morte e di fronte a ciò che gli uomini maggiormente temono, capii che era impossibile che essi vivessero nel male...». Si muore come si è cercato di vivere, ieri come oggi, e l’esempio vale più di mille prediche o conferenze.

Dopo la conversione Giustino viaggiò molto, andò a Roma una prima volta e quando vi ritornò vi aprì una scuola filosofica di ispirazione cristiana, una sorta di liceo privato. I suoi insegnamenti insistevano molto sui fondamenti razionali della fede cristiana, e si avvaleva a tale scopo di tutti i concetti e le argomentazioni che riteneva in sé validi di quel pensiero greco che lui ben conosceva, ciò che ci appare straordinariamente moderno: fides et ratio, come ha insegnato Giovanni Paolo II (1920–2005).

Esemplare appare ciò che il futuro martire scrive nella sua Seconda Apologia nei riguardi della filosofia. Dopo aver dichiarato «Io sono cristiano e me ne glorio e , lo confesso, desidero farmi riconoscere come tale», riferendosi a Platone e al pensiero dei poeti e scrittori pagani che aveva studiato assiduamente, afferma  tra l’altro che «Tutto  ciò che hanno insegnato in modo verace appartiene a noi Cristiani. […] Ma altro è possedere un seme e una somiglianza proporzionata alla propria facoltà, ed altro è il Logos stesso, la cui partecipazione e imitazione deriva dalla Grazia che da Lui proviene».  Parole, queste, che riecheggiano quelle che San Paolo scriveva ai cristiani di Tessalonica: «Non spegnete lo Spirito; non disprezzate le profezie. Esaminate tutto e ritenete ciò che è buono». Tutto si tiene, alla luce della sapienza ispirata dal Vangelo.

La coerenza nella fede cristiana porterà Giustino a subire pure lui il martirio. Fu condannato a morte da Giunio Rustico, che era prefetto di Roma e amico che dell'imperatore Marco Aurelio (121–180), anche lui filosofo ma non abbastanza per tenere in vita chi, come i cristiani, non era disposto a considerare l’imperatore al pari di Dio. Fu decapitato insieme ad altri compagni di fede fra il 163 e il 167, sulla base di una norma di legge che così recitava: «Coloro che si sono rifiutati di sacrificare agli Dei e di sottomettersi all’editto dell’imperatore, siano flagellati e condotti al supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi»

Il filosofo cristiano, nonché sottile giurista, che con le sue due Apologie aveva cercato di difendersi e difendere fino in fondo con le armi della dialettica e del diritto i suoi fratelli nella fede nei confronti del potere costituito, non volle rinnegare quella verità di Cristo alla quale era pervenuto come a un traguardo di tutta la sua ricerca filosofica. Altro che relativismo etico!

La verità è una parola che si fa anima e sangue: è questa la lezione che si può trarre dalla sapiente ed eroica avventura umana di San Giustino, filosofo e martire.

 



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