FLASH SU UN VOLTO: DANTE D’OSTILIO - di Fernando Acitelli

FLASH SU UN VOLTO: DANTE D’OSTILIO

 

- di Fernando Acitelli -

 

Ne parlerò più avanti, ma è necessario che io parta da lontano. A Roma i musei d’Antichità romane ci donano la possibilità di finire – grazie ai busti di marmo – negli sguardi d’epoche dissolte. Si può passare da “Palazzo Massimo” alle “Terme di Diocleziano” a “Palazzo Altemps” (nei pressi di Piazza Navona) e si viene allora catapultati nel secolo di Pericle e in quello di Giulio Cesare, finire di fronte a Germanico e suo figlio Caligola (piccolo busto recuperato nel Tevere com’è scritto nel cartiglio) e giungere quindi nell’epoca degli imperatori qualificati come giusti: Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Ma è facile anche imbattersi in Ottaviano Augusto con indosso la veste da Pontefice Massimo (Pontifex Maximus, carica che rappresentava il più alto grado religioso al quale un romano poteva aspirare, titolo poi ripreso dai Papi). E infatti Ottaviano ci accoglie subito dopo l’entrata a “Palazzo Massimo” e  sembra darci il benvenuto. Il sentimento che ci avvolge varcando quella soglia è quello della serenità perché l’essere finiti tra quelle esistenze di marmo e dunque nelle pieghe della Storia, ci risarcisce di tante quotidiane offese e preoccupazioni. Annota lo scrittore Guido Ceronetti: “Fare a pezzi un giornale quotidiano è l’unico mezzo per liberarsi, d’un colpo, da ladri, assassini, truffatori, apostoli, catastrofi”. Dunque, entrare in un museo d’antichità romane significa accarezzare il mito, l’epica - luoghi questi favorevoli per il classico Ceronetti - e considerare queste forme come gli unici medicamenti possibili contro la devozione al consumo, considerato ormai come l’unica divinità. E allora è come se ci allontanassimo per un po’ da scadenze e seccature d’ogni tipo, da sguardi e volti che non sembrano essere nella Storia perché esclusivamente contemporanei.

 

È così che funziono e ubriacarmi di antichità è la mia regola. Se si è viaggiatore della propria città si possono vedere volti antichi ovunque, all’Ufficio Postale o al supermercato ed anche in una persona china ad una fontanella e intenta a bere. È un attimo ed il cortocircuito lirico si compone subito: quel volto l’ho già visto impresso nel marmo: volto di filosofo provenienza ignota, volto di fanciullo dalla via Appia, volto di matrona dagli Horti Sallustiani, volto di vecchio dalla Via Cassia, volto togato dal Campo Marzio. Ma in questo caso risplende l’anonimato e l’identità non c’è, e anche questo è un motivo di dolore. Per quanto riguarda i personaggi famosi, posso dire di imbattermi spesso in Ottavia (la sorella di Ottaviano Augusto), in Plotina (moglie dell’imperatore Traiano), Sabina (moglie di Adriano), Giulia Domna (moglie di Settimio Severo e madre di Caracalla), Giulia Mamea (madre dell’imperatore Alessandro Severo). Quanto all’imperatore Vespasiano (nato nei pressi di Rieti), i miei incontri con lui sono frequenti: se ne vedono tanti in giro con quel volto, ma essi ignorano di “discendere” dai tratti di quell’imperatore. Un giorno incontrai anche Nerone in metropolitana, si trattava d’un giovane sui trent’anni, riccioluto con un’evidente pappagorgia e una barba lieve ad ergersi proprio sul collo. Composi al volo (male) uno schizzo che conservo. Io seduto di fronte a Nerone e lui ignaro che stavo occupandomi del suo volto.

 

Ho notato che una testa grande (oltreché una grande testa) come quella di Cicerone non appare più nei miei scenari ed è come se il senso civico, l’appartenenza, la difesa della Res Pubblica non fossero più requisiti necessari per il nostro tempo storico. Davvero! Di Cicerone non c’è più traccia nelle strade dell’Urbe. Ma lo stesso è a dirsi per Catone.

 

Tutta questa premessa per dire che ho il Passato in me ed in ogni volto cerco rassicurazione nelle epoche che furono. Accade pure che questa sublime retrocessione possa avvenire anche per la nostra contemporaneità, l’importante è che il volto apparsomi davanti mi solleciti all’improvviso qualcosa a cui potermi riferire. Quel flash o cortocircuito interiore dona la possibilità del sogno e per una manciata d’istanti si coglie la serenità. Un flash comunque dura poco, è un lampo ma in esso ci può essere di tutto.

 

Non tutti, ovviamente, possono far parte del grande affresco del mondo greco-romano ma c’è inoltre da dire come dei volti posseggono la qualità di potersi adagiare in più epoche, passare con disinvoltura dall’Età romana all’Anno Mille, dal Rinascimento al Barocco, dall’Età dei Lumi al Positivismo fino ai poeti e agli scrittori sui fronti di guerra (Apollinaire, Céline, Jünger, Ungaretti, Slataper, Stuparich, Wittgenstein, Gadda, Hemingway), quasi che dovessero attenuare il senso della distruzione o quantomeno dare descrizione della stessa.

Nella mia recentissima visita ad Assergi ho conosciuto Dante D’Ostilio - il marito di Anna Pia - e il flash che mi ha riguardato ha previsto una improvvisa quanto precisa (per me) ricognizione su due volti, esattamente, e così ho “intravisto” nel suo sguardo una combinazione eccellente tra Julio Iglesias e Franco Califano. È stato un flash, d’accordo, dunque qualcosa di transitorio, di fuggitivo, ma la sensazione è stata proprio quella. Le sensazioni, come si sa, sono fallaci, ma è proprio grazie ad esse che sorgono immagini e si compongono pensieri, il più delle volte sublimi e non fa nulla se essi possono risultare esagerati come resa, l’importante è che donino il sereno a chi li ha appena concepiti. Mi ha inoltre colpito il suo essere sempre sorridente, come colui che è in armonia con il mondo e altro non chiede che attraversare i giorni operosamente, senza che esista un istante per lui di noia. Naturalmente anche la noia ha la sua importanza e durante il suo dispiegarsi si possono cucire riflessioni che nel tempo delineato d’una laboriosità quasi mai sorgono. Dante è dunque una di quelle persone che sono “di cuore” e che pare siano state catapultate ad Assergi per migliorarne il sorriso e la serenità. M’è stato riferito che egli è un mago della Vespa, che conosce il motore come pochi, un luminare d’ogni intervento di salvamento o di modifica: è lui il “salvavita”, la terapia intensiva per valvole e carburatore. E se ne ha rimesse in sesto tante si può considerare la Vespa come “una di casa”, un oggetto da cui è difficile separarsi, quasi un affetto. Che Dante possa avere un aggancio con il mondo romano, evocato all’inizio di questa narrazione, è un fatto incontrovertibile: il suo cognome D’OSTILIO dice tutto. Di sicuro deriva dal parisillabo della Terza Declinazione Hostis, hostis, cioè nemico, ostile. Prendo tutto questo come una provocazione, basta osservare il suo sorriso e di colpo (un altro flash!) ci si rende conto di come sia diversa la realtà. Ma c’è anche un’altra sottolineatura da fare: nel sarcofago collocato in un salone di Palazzo Altemps e che viene chiamato “Grande Ludovisi”, dal nome della famiglia che lo possedeva, si vedono istoriate esternamente scene di guerra tra romani e nemici. Ebbene nel centro di questi fotogrammi dell’antichità in marmo si vede Ostiliano, il figlio dell’imperatore Decio, lì combattente. Dunque Ostiliano e poi Hostis, hostis e quindi D’Ostilio, non c’è forse possibilità per sognare? E qui giunto, mi pare poca cosa quell’accostamento iniziale (che per me comunque rimane perché la prima sensazione ha la sua importanza) con Julio Iglesias e Franco Califano.

 



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