A 140 anni dal terremoto di Casamicciola - Benedetto Croce e L’ETICA DEL TERREMOTO

A 140 anni dal terremoto di Casamicciola (28 luglio 1883)

 

 

BENEDETTO CROCE E L’ETICA DEL TERREMOTO

 

- di Giuseppe Lalli -

 

 

La sera del 28 luglio 1883, giusto 140 anni fa, la terrà tremò tremendamente a Casamicciola, nell’isola di Ischia. Così ricorda quella sera nelle Memorie della mia vita, scritte nei primi del Novecento, Benedetto Croce (1866–1952), che si trovava nell’isola in vacanza insieme alla famiglia e che nel terremoto perse entrambi i genitori e la sua unica sorella:

 

Si udì un rombo cupo e prolungato, e nell’attimo stesso l’edificio si sgretolò. Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi, e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rivenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo e sul mio capo scintillavano le stelle […] e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco.

 

Il nome ‘Casamicciola’ nell’Italia meridionale è diventato proverbiale per indicare una catastrofe che spazza via ogni cosa.

La vita del futuro filosofo (aveva allora 17 anni) e del fratello Alfonso, anch’egli superstite, subirà una svolta radicale. Saranno accolti nella casa romana dello zio Silvio Spaventa (1822–1893), cugino del padre, che con nobilissimo gesto passerà sopra i dissapori che lo avevano diviso dai genitori di Benedetto e provvederà alla formazione dei due giovani. Benedetto attraversò un periodo di depressione, di uno “stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte”, come scrive nel Contributo alla critica di me stesso, che è del 1915.

Quel “senso dei doveri verso la vita” di cui scriverà, il filosofo di Pescasseroli lo aveva imparato dalla vita stessa quella terribile notte del 28 luglio 1883, che gli aveva portato via in pochi secondi i suoi affetti più cari. Di quella notte porterà il segno indelebile tutta la sua vita. La radice della sua filosofia, come egli annota nel Contributo, sta nel ricordo angoscioso, che non l’abbandonerà mai, della tragedia di Casamicciola, e nel conseguente bisogno di rifarsi “in forma razionale una fede sulla vita e i suoi fini e doveri”. Dirà che per molto tempo non potette dormire sotto le lenzuola senza che l’angoscia di quella tremenda esperienza non prendesse il sopravvento.

Scriverà nell’ultima pagina del citato Contributo la seguente densa confessione:

 

E anche ora le tenebre mi raddensano di volta in volta sull’intelletto; ma l’angoscia acuta, della quale ho tanto sofferto in gioventù, è ormai un’angoscia cronica, e da selvatica e fiera si è fatta domestica e mite, perché […] ora ne conosco i sintomi, il rimedio, il decorso”.

 

Tra l’angoscia “selvatica e fiera” di quel 28 luglio 1883 e quella “domestica e mite” del 1915 c’è quasi tutta la sua opera filosofica, che si può leggere come il frutto di un pensiero che cercò di sfuggire, nella quiete operosa di un ritrovato equilibrio, alla morsa paralizzante di un ricordo dolorosissimo.

Il terremoto, tra tutte le disgrazie collettive, è la più carica di significato esistenziale. La terra che ti manca sotto i piedi, la casa che rischia di crollare, il mondo che sembra uscito dai suoi gangheri: è l’esperienza più vicina alla fine del mondo. Se anche la terra ti manca sotto i piedi e le mura di casa si sgretolano sotto i tuoi occhi, tutto diventa precario, e tutto diventa assurdo. Il mostro è l’assurdo che si materializza, e che sembra scegliere le sue vittime con precisione chirurgica, mentre Dio si nasconde.

«Sono almeno quattro secoli che ci ripetono che l’universo si regge sulla forza – scriveva negli anni trenta del secolo scorso Simone Weil (1909–1944) – e poi ci meravigliamo che qualcuno la usi?».

La natura è opaca, e la forza è il suo fondamento ; così come la storia è ambigua, e la violenza è la sua nota dominante.

Non facciamoci illusioni: è l’universo interiore che dobbiamo puntellare, come la terribile ed eloquente vicenda di Benedetto Croce ci insegna e come la notte del 6 aprile 2009 ha ricordato a noi aquilani.

Un’altra lezione si può trarre dalla vicenda crociana e aquilana, insieme alla precarietà della vita umana, di cui facciamo esperienza tutti i giorni: alla sicurezza delle case dovranno pensare gl’ingegneri, alla salvaguardia delle anime dovranno invece provvedere i filosofi e i maestri dello spirito. La posta in gioco è troppo alta per lasciarla alle sole cure dei tecnici.

 



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