Galileo era un rompiballe - l'Espresso

(Di Marco Paolini) - Ironico, presuntuoso, controcorrente, sempre lì a costringerci a usare il cervello invece di accettare quello che ci viene detto dagli altri... Marco Paolini presenta il suo nuovo spettacolo, un omaggio contemporaneo al grande fisico del Seicento (23 aprile 2012). Al liceo sono stato rimandato a settembre in matematica per due volte. Non ero bravo, ma credo che se avessi avuto un prof come Galileo Galilei avrei capito la fisica. Non per quella sua barba innata - che sembra esserci da sempre, in ogni immagine, come se ce l'avesse fin da bambino. Non perché ha cambiato la storia, ha introdotto un metodo nella ricerca scientifica, ha inventato una realpolitik per essere eretico e sopravvivere alla Santa Inquisizione, ma nemmeno perché è stato nominato professore senza essersi mai laureato. Avrei capito forse la fisica perché quando Galileo ne scrive, le sue parole parlano per immagini, esempi e spiegazioni sempre brillanti, un po' come faceva Einstein. Non avevo letto Galileo prima, l'ho fatto preparando questo spettacolo che è cresciuto un po' alla volta. E incontrandolo sera dopo sera a teatro, mi sono reso conto che mi stava sempre più simpatico. Perché Galileo non è un secchione dal piglio scolastico e la verità come ancella. E' piuttosto un rompiballe anche un po' presuntuoso, a tratti opportunista e quasi sempre controcorrente, che per campare vendeva oroscopi costruiti sulle indicazioni pubblicate (postume) da Copernico, e gli venivano benissimo! E quando ha dovuto scegliere tra il rogo e l'abiura, li ha fatti contenti e vivaddio questo ci ha consentito di avere un vecchio scienziato intento a scrivere e a studiare anziché un altro utopista bruciato come Giordano Bruno. A Bruno, per la verità, il nostro è debitore di quell'"eppur si muove" che segna il confine tra il dogma e il dubbio. E' su quella linea che si gioca la battaglia del pensiero. Perché per me la lezione di Galileo non è solo scientifica, è la lezione di un uomo che non rinuncia a usare il cervello. Infatti non vorrei deludere qualche aureo passatista, ma sì, il "pensiero unico" è sempre andato di moda. Ai tempi di Galileo la verità teoretico-cosmologica era in disponibilità della Scuola e, potendo contare sul braccio armato dell'Inquisizione, chiaro che era più difficile scalfirlo. "Dubito ergo sum" poteva essere il pilastro che ha introdotto nelle sue ricerche, ma alla fine Galileo è un uomo vicino al nostro tempo perché apre il discorso sulla tecnica: non più solo teoria, ma prassi e anche opportunismo. Perché il confronto con la sua figura ci ha portati a riflettere sulla capacità di cambiare idea che sta alla base della ricerca scientifica. Il Seicento è il secolo nel quale si sono gettate le basi della modernità. E' vero, c'era l'Inquisizione a controllare l'ortodossia di un'Europa popolata di regnanti assoluti, nobili sfaccendati e popoli affamati. Eppure c'era il pensiero. Galileo ha vissuto la difficoltà di essere geniale in circostanze difficili, perché mica è facile cambiare idea quando quella di prima ha secoli e sacre scritture (alla lettera) ad accreditarla. Eppure ha avuto la forza di guardare oltre il sistema di codici interpretativi che reggeva il suo mondo. Con Copernico e Keplero apre strade che fanno invecchiare il sistema dominante, che diventa in un giorno "scaduto". Galileo è stato per noi simbolo di un pensiero che fa "resistenza" all'omologazione. Non è una cosa da poco, non è una cosa scontata anche se noi ce la sentiamo raccontare da quando eravamo bambini. Perché, se ci pensi, è facile irridere le teorie del passato, tutte quelle storie sulle stelle fisse e sulle sfere di Tolomeo. E' più difficile metterle in discussione mentre ci si vive dentro. Ecco, Galileo è stato un maestro di ironia e in questo senso cerchiamo le sue tracce nel contemporaneo. Perché Galileo ha "penato" per far accettare l'evidenza, ma ogni giorno, nei laboratori del Gran Sasso e nelle università di questo Paese, ci sono donne e uomini impegnati a scoprire una chiave diversa per leggere il mondo. E' vero che le mie parole in scena sono cambiate, questo personaggio ha preso forma, corpo e voce poco per volta. E' la mia idea di Galileo, il mio ritratto e questo contiene elementi connessi alla fisicità del personaggio che all'inizio non potevo immaginare, come la voce che pian piano è emersa, elementi che hanno reso questo racconto molto più musicale. Oggi per me Galileo è più una questione di teatro che di storia. Anche per questo mi accorgo che sorrido di lui assieme al pubblico e per questo gli metto in bocca la mia lingua madre - il veneto - costruendo momenti vicini alla commedia dell'arte.


 


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