ASSERGI: QUEL CHE RESTA DEL FERRAGOSTO

ASSERGI: QUEL CHE RESTA DEL FERRAGOSTO

 

- di Fernando Acitelli -

 

Ma perché s'è alterato il rituale del Ferragosto il cui clima già s'avvertiva attorno alla fine di luglio? Che cosa non ha funzionato tra coloro che di solito, in qualità di procuratori, provvedevano ad ogni aspetto per quanto riguardava lo svolgimento della festa? Mi è mancato tutto quest'anno, anche il rivedere quei volti dei procuratori che dedicarono gran tempo per far sì che la festa decollasse, s'elevasse. Li ricordo tutti ma non basta, e il fatto nuovo, grave quest'anno per Assergi, è che il rituale consolidato non s'è mantenuto e così si può concludere che la tradizione s'è lesionata. Certamente c'era stato il covid ma almeno per quei tre anni si poteva addurre una causa e contemporaneamente confidare in un tempo nuovo che avrebbe ripristinato tutto.

Assergi non è più lo stesso paese: lo si vede dalla poca gente che lo vive e non inganni la grande presenza di persone durante le festività o nei weekend con alberghi e bed & breakfast stracolmi. Ho girato a lungo nel centro del paese e non ho incontrato che poche anime, neppure del luogo. Certo, il centro storico è ancora in buona parte da ricostruire e dunque è logico che non vi transiti nessuno ma vi è un odore nuovo ad ogni angolo, ad ogni piazzetta, davanti ad ogni cantina munita di gattaiola. E' un odore di mancanza, di case vendute, passate ad altre identità. Sento d'improvviso l'odore dei codici fiscali e degli atti di compravendita non più tra notai con indosso odore di sigaro ma con professionisti che vanno di fretta, troppo agili e scattanti per essere persone autentiche. Cosa ne sanno costoro di esistenze che in quella casa o in quell'altra vissero anche novant'anni? Sono persone di cui nessuno più parla perché chi sopravvive ha sempre ragione e chi soccombe è dimenticato: ciò che vale è soltanto il tempo presente. In tali case ci si è liberati anche di quelle fotografie in ovale che testimoniavano una famiglia e dunque delle presenze.

Vivo come esperienza nuova il fatto che quest'anno non vi sia il rituale classico del Ferragosto con banda, cinema nella Piazza e poi il gruppo di cantanti. Quanto alle funzioni religiose, come ho sperimentato, si tratta ormai di orari flessibili come se oggi anche il Vangelo fosse "a tempo".

I cantanti in Piazza: Ogni artista smuoveva tenerezza e tale sentire accadeva per quel desiderio di stupire e ribadire - al chiaro di luna oltreché alla platea - che s'era stati talenti canori ma non s'aveva avuta fortuna. Le sere dei cantanti erano commoventi (oh, lo dico per me!) e m'avvicinavo alla loro quieta disperazione con la speranza che potessero vivere bene malgrado nessuno di loro era finito al Festival di Sanremo.

La bellezza del palco, le colonnine leggermente scheggiate, il microfono che stentava tanto da dare al presentatore e poi al cantante l'opportunità di provarlo con un suono strano di voce che di solito si risolveva in un: "Sa, prova! Sa, prova!". Inoltre avevo l'occhio per la gonna d'una cantante, indumento di lusso per la sua performance: a lei, in silenzio, donavo tutto il mio bene. Mi fissavo su questi dettagli del cuore ed ero felice. E con me, credo, tutta la comunità di Assergi.

Il cinema poi. Il western che scaldava il cuore e che faceva pensare - vedendo la belloccia nel saloon accanto allo strimpellatore al pianoforte - alla nostra ragazzetta che avremmo visto alla fine del film in una Piazza che andava svuotandosi. Il vecchietto nella cittadella del West - professione becchino o anche aiutante dello sceriffo - era il nostro nonno che a quell'ora era già bello che sdraiato nel letto solenne, alto, intriso di frosce. Il bacio alla ragazzetta sotto agli arboretti con la possibilità, anche, di procedere verso il freddo amoroso della valle. Tutto questo non più! Non più! Ma a parte le questioni anagrafiche che non si debbono mai dimenticare, la felicità la si sarebbe potuta ammirare negli altri ragazzi e saremmo stati contenti lo stesso. Non più! Non più!

Ho così gironzolato per il paese, perdendomi nelle vecchie costruzioni, nelle stalle, nei fienili dalla porta sbalestrata, negli usci superstiti, bellissimi. Ho avuto un'attenzione speciale (un'attrazione!) per quelle porte che mostrano ancora le "annadicchie" e ho pensato a chi fosse stata l'ultima persona a spostarle. Le ho accarezzate come avrei fatto con una persona sentita vicina nel bel tempo lieto: un vecchio naturalmente, cioè una persona da abbracciare.

Accanto alle "annadicchie" ho ammirato quegli anelli che consentivano di attaccare in quel punto del muro l'asino o il cavallo. Ho sfiorato quegli anelli, li ho accarezzati ma avevo paura di rovinarli, di "far ad essi del male". Ne ho fotografati due tipi: quelli di marmo e gli anelli di ferro: ora sono in salvo nelle mie pellicole segrete, come i vecchi muri, le tracenne, le porte di pagliai, stalle e fienili.

Felice per questo mio tour tra le rovine: sono le rovine che salvano, luoghi cadenti verso i quali l'occhio umano più non guarda, così preso dai miti della bellezza e dell'efficienza.

Che vacanze! Se lo potessero sapere i miei nonni, m'abbraccerebbero riservandomi le più belle parole del Creato.

Il divenire ha alterato Assergi perché è nell'ordine delle cose il mutamento di uomini oggetti e fatti. I sentimenti - unico valore - non possono fare niente e ogni sistema difensivo contro il Tempo è destinato a soccombere. Gli antichi greci elaborarono la filosofia come arma contro il dolore e la morte. Essa si sarebbe dovuta occupare della Verità, dell'Aletheia. 

Nella ricostruzione del paese in seguito all'evento sismico le diverse ditte e gli ingegneri avrebbero dovuto essere affiancati da un gruppo di filologi, filosofi, storici e poeti; soltanto in questo modo la "ricostruzione" poteva essere esemplare, cioè rispettosa del tempo andato, delle persone che vedemmo e con cui parlammo. In certi punti il paese appare trasfigurato e, ad esempio nelle facciate, al posto delle pietre vi è l'intonaco. Una mancanza di estetica, di teoria della sensibilità.

Che il nichilismo sia oramai parte di noi è un fatto e che esso invada ogni ritaglio del nostro vivere è altrettanto vero. Ogni esistenza s'è adeguata al tempo nuovo e sembra che sia vero soltanto il presente. L'idea di futuro s'è liquefatta e l'importante nella società opulenta, "libera", è che si goda il più possibile che, tanto, di doman non c'è certezza, verso della poesia "Trionfo  di Bacco e Arianna" di Lorenzo dei Medici. L'Occidente ha rimosso l'idea della morte e nelle strade lo scenario dipinge soltanto mondi virtuali. Non si vedono che banche e centri estetici, ovvero la moneta, il prestito, il debito e dall'altra parte la "bellezza", trattata così tanto da far perdere autenticità e l'identità agli individui che affollano quelle sale.

Ma con me, l'Assergi antico resisterà ancora a lungo.

 



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