Nel giorno della Perdonanza del 1943 Mussolini fu portato alla "Villetta" di Fonte Cerreto

Reclusa oggi è solo la targa appena l’ingresso dell’albergo che ricorda di essere stato prigione di Mussolini nel settembre del 1943. Prigioniera di quei lavori di ammodernamento consegnati a settembre scorso e che stentano a decollare mentre un altra estate è passata senza essersi mostrati agli occhi dei turisti saliti fin qui anche per vedere i luoghi della Storia.
Ottant’anni fa, invece, è stato l’hotel ad essere carcere per un solo detenuto ma eccellente. Benito Mussolini vi fu obbligato a “soggiornare” dal 2 al 12 settembre del 1943. , come lui stesso ebbe a definirla che, ironia della sorte, dieci anni prima lo aveva fatto costruire per lo sviluppo turistico della Grande Aquila.
Era il 28 agosto del 1943 quando il Gran Sasso entrò nella storia mondiale contribuendo a condizionarne gli esiti finali della guerra in corso. Quel giorno vi fu trasferito il Duce, ormai ex dalla riunione del 25 luglio del Gran Consiglio. Un mese prima, poche ore dopo la sua destituzione, era stato privato della libertà. Condotto dapprima a Ponza, che in realtà doveva essere Ventotene, poi il 7 agosto a La Maddalena, un’altra isola. Luoghi non affatto isolati: per cui venne deciso, in 24 ore, il trasferimento nella montagna del capoluogo abruzzese. Era il giorno della Perdonanza. Si era in guerra, la celebrazione non certo ripeteva quella fastosa del 1932 documentata dall’Istituto Luce, ma per la città quella data segnava le 24 ore di riconciliazione, di pace. La Maddalena e il capoluogo abruzzese, o meglio il suo monte, la storia destinata a ripetersi 66 anni dopo in occasione del G8 dirottato a L’Aquila per sensibilizzare la scena internazionale alla riparazione dei danni del sisma del 6 aprile 2009. Mussolini non fu portato subito a 2112 metri di altitudine, quota dell’albergo. Forse per acclimatarlo o per preparare meglio la struttura in alto, venne sistemato a La Villetta oggi , come descrive Bruno Vespa nel suo penultimo libro “La grande tempesta”, allora si . Trascorreva il tempo ascoltando la radio, fornitagli dal tecnico della funivia Remo Lalli, e giocando a carte con i suoi custodi. Logico che la sua presenza non rimanesse inosservata a lungo. Di lì a cinque giorni, fu fatto salire a Campo Imperatore. Badoglio, il suo successore al Governo, non voleva che fosse liberato e men che meno dai tedeschi, gli ormai ex alleati, come altrettanto vero che lo preferisse vivo anziché morto. Si, perché nella struttura alberghiera a oltre 2000 metri, l’ex Duce provò a tagliarsi le vene con il rasoio. Successe quando nella notte tra l’11 e il 12 settembre apprese dell’armistizio da una trasmissione tedesca: preferiva la morte alla consegna ai nuovi alleati. Le sue condizioni psicofisiche erano ridotte: guardato a vista dall’ispettore di Polizia Giuseppe Gueli, dal tenente dei Carabinieri Alberto Faiola e dal maresciallo dei Carabinieri Osvaldo Antichi, oltre a un’ottantina di uomini dei due corpi e unità cinofile. Il personale dell’hotel era ridotto all’osso tra cui Lisetta Moscardi, la guardarobiera che il duce chiamava Bambina per via dell’aspetto fanciullesco. Lisetta, che gli portava pranzi frugali per via della sua ulcera, era l’unica con cui scambiava un sorriso. Per il resto passeggiata pomeridiana, partite a carte e l’ascolto della radio dell’albergo che fu la “responsabile” del tentativo di suicidio in quella che, poi, si rivelò l’ultima notte trascorsa in Abruzzo. Il sequestro delle lame e la rassicurazione di Faiola, che aveva sperimentato la prigionia inglese sulla sua pelle, di avvertirlo un’ora prima dell’arrivo degli alleati per consentirgli la fuga attraverso i monti, indusse Mussolini a prendere sonno. L’indomani rimase Gueli l’unico a conoscenza dell’operazione “Quercia” che alle 14,30 portò all’atterraggio di nove alianti per depositare un centinaio di paracadutisti e un generale italiano come scudo per qualsiasi reazione di difesa. Mussolini reagì con , quando, con misurata perizia, si posò davanti all’albergo un aereo cicogna dove fu fatto salire: destinazione intermedia Pratica di Mare e finale Monaco di Baviera. Al successo sul Gran Sasso contribuirono i reparti di terra a valle e proprio ad Assergi si registrarono gli unici due casi di sangue versato. Per un malinteso rimasero uccisi il carabiniere Giovanni Natale e la guardia forestale Pasquale Vitocco. Il primo attuò un’azione di difesa senza accorgersi che i suoi compagni si erano arresi; il secondo tentò di fuggire, un gesto che fu mal interpretato dalle truppe ex alleate.

Federica Farda



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