L’IRROMPERE AD ASSERGI DELL’ALLUMINIO ANODIZZATO - di Fernando Acitelli

L’IRROMPERE AD ASSERGI

DELL’ALLUMINIO ANODIZZATO

- di Fernando Acitelli -

 

                               «Ogni bambino che nasce è in qualche misura un genio,

                              così come un genio resta in qualche modo un bambino»


                              Arthur Schopenhauer

                              «La maturità d’una persona consiste nell’aver trovato

                              di nuovo la serietà che aveva da bambino, quando giocava»


                              Friedrich Nietzsche

 

Doveva trattarsi d’una innovazione, qualcosa che stupiva i passanti che sfilavano davanti a quelle porte. Erano delle porte “dorate” ma non c’era brillio ma emergeva qualcosa d’opaco, e s’incominciava a sentire tutt’intorno quel suono anche un po’ inquietante “alluminio anodizzato”.

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Quelle porte fecero la loro comparsa verso la fine degli anni ’70, Assergi non era preparato per quell’innovazione e soprattutto i vecchi scossero la testa, rassegnati.

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D’accordo, erano ricamate bene quelle porte, composti quasi degli arabeschi, ma non c’era più l’odore del legno e né si vedevano quelle fessurazioni verticali che erano uno spettacolo accanto alla chiave, grossa come quella del pagliaio.

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La bellezza di chiavi di pagliaio sulla porta di casa, chiavi grandi, da prigione borbonica a picco sul mare, bellissime anche quando s’appendevano, vale a dire davano sicurezza come il medico condotto.

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Porte di legno ad apertura morbida che mai rilasciava rumore, porte da uscio contadino, proprie d’un tempo che stava lentamente dissolvendosi come il sorriso dei vecchi, curvi di fronte al focolare.

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Sfilarono davanti a quelle porte prima Daniele Massimi, il quale, non rinunciando alla consueta giovialità, motteggiò con stile all’indirizzo dell’aria visto che in strada non si vedevano persone, quindi disse:«Ah, mo’ ci che se va ‘nnanze!». E subito dopo di lui comparve Ercolino di Spillone che s’impostò davanti alle due porte mutate e parve chiedersi dove fossero finite quelle che c’erano fino a qualche giorno prima. Da ultimo compose uno sguardo che esponeva un chiarissimo disappunto.

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Tennero conversazione i vecchi di Assergi su quel fatto nuovo dell’alluminio anodizzato ma in vero si trattò d’un brusio con le rispettive mogli, una scena fortemente contadina da rimandare al Tolstoj del libro “Infanzia”.

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In verità quei vecchi si strinsero nelle loro tremolanti certezze avvertendo il fatto nuovo dell’alluminio anodizzato come una nuova malattia, inguaribile perché accompagnata dall’aggettivo “efficiente”. 

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Quell’improvvisa paura fece sì che i vecchi rivalutassero fino all’inverosimile il gilet un poco logoro nella parte posteriore, lucente come di raso, e poi anche la camicia di flanella, abilitata a proteggere anche d’estate.

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Pure, non contenti di verificare la bontà e la sicurezza di gilet e camicia di flanella, salirono “in cima”, nella camera sicura, e aprirono il vis à vis e lì dentro controllarono la presenza di indumenti sicuri, di lana vera perché l’inverno della vita era giunto anche per loro.

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Che viaggio nella loro stanza! Si sentirono rassicurati passando in rassegna vecchie giacche (anche con rammendi), poi la serie di camicie di flanella a quadretti e quindi saggiarono la consistenza (ancora) della mutata.

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All’occhiello di alcune di quelle giacche erano ancora infilati qua una medaglietta di santo e là un trifoglio ormai sbrindellato ai petali ma con l’esile ramo che resisteva: era già passato tanto tempo ma la medaglietta con il santo sembrava proteggere ancora quella casa.

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Era d’estate quando ci si accorse di quell’innovazione delle porte d’alluminio anodizzato e se fosse capitato d’inverno i vecchi avrebbero avuto meno occasioni d’imbattersi in quel nuovo dettaglio di realtà e questo perché le uscite verso il pagliaio a governare le bestie sarebbero state in numero minore.

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Era d’estate, per l’appunto, ma i vecchi avvertirono il gelo prima in cuore e poi nelle ossa, e se il cielo era limpido sia verso l’Acqua di San Franco che verso Montecristo, l’irrompere dell’alluminio anodizzato promuoveva l’angoscia: si trattava d’un male mica tanto oscuro e che, in definitiva, poteva riassumersi nel dolore dell’esistenza.

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Sarebbe stato necessario chiamare il medico condotto, il dottor Attilio Cerone da Paganica qualora l’angoscia avesse dilagato, avesse rotto gli argini, ed il dottor Cerone era d’intuito profondo alla diagnosi e poi un vero signore a dirla tutta, sia nell’arte medica che nella vita, fenomeno autentico nel pronto intervento, nella diagnosi e nella cura.

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Il dottor Attilio Cerone veniva considerato un santo e la sua foto campeggiava sulla colonnetta d’ognuno, nella stanza “in cima”, di lato ad alcuni santini, ad un ditale e a delle sbriciolature di sigaro il cui odore impregnava favorevolmente le mura.

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A diversi vecchi l’idea d’un consulto con il dottor Cerone venne a mente e tra di loro si ripeterono che quel medico poteva trattare anche i mali dell’anima, capire il perché di quell’angoscia improvvisa a causa dell’irrompere dell’alluminio anodizzato.

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Era estate e a molti vecchi venne in mente di non ripetere sempre lo stesso tragitto verso il pagliaio ma scegliere strade alternative per non passare davanti a quelle porte “dorate”, a quei finti arabeschi e quello era un modo per scansare il dolore di quella novità.

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L’idea del raggiungere il pagliaio e l’orto transitando per strade alternative li conquistò e a qualcuno spuntò se non il sorriso almeno un accenno di esso e comunque speravano che, da un giorno ad un altro, l’autore di quell’innovazione tornasse, per quella casa, alle porte di legno.

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Grande illusione, indietro non si tornava, e smuoveva tenerezza il pensiero di alcuni vecchi che proposero di parlare con il proprietario di quella casa, convincerlo a togliere quelle porte d’alluminio e pagare essi per il ripristino delle porte originali.

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Il pensiero dei vecchi era spirituale, quelle porte che l’uomo aveva sostituito risalivano ad un tempo remotissimo e rimuoverle per essi aveva significato che ormai non c’era più spazio per la pietà e la memoria.

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Era come se i propri morti fossero morti un’altra volta, e s’era sul confine delle lacrime se si pensava alle lapidi inclinate e, in alcuni casi, spezzate, e poi alle piccole foto in ovale che s’erano sbiadite, al pari dei nomi.

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Ecco, i vecchi vedevano in quell’irruzione dell’alluminio anodizzato la banalizzazione del tutto, un inutile elogio dell’efficienza, il gusto di “voler fare bella figura” con i vicini di casa, ma il nuovo non s’occupava più delle esistenze, mortificava facciate e muri e quello sarebbe stato soltanto l’inizio.

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Insomma, i vecchi ormai giunti all’ultimo segmento della loro vita avrebbero voluto soltanto dedicarsi ai propri pensieri intimi, tentare di sentirsi meno fragili, commuoversi al tramonto per un nonnulla, mollare lentamente la presa sulla vita.

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Prese piede, lentamente, l’ipotesi di recarsi a casa di quel signore ed esporgli il loro malessere, oh sì, costui non sarebbe stato insensibile e forse avrebbe acconsentito a fare un passo indietro, doveva certamente avere dei valori morali, impossibile che anch’egli non fosse braccato dal dolore dell’esistenza.

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Si trattava di bei pensieri, non c’era dubbio, ma finché rimanevano “pensieri” non cambiava nulla ed essi si sarebbero dovuti tradurre in pratica e dunque ciò che si registrava era un trastullarsi in un ozio improduttivo da parte dei vecchi, e la verità era dunque che non avevano il coraggio d’affrontare quella situazione.

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Se giungeva un parente, magari da Camarda o da Aragno, ecco che costui veniva subito messo al corrente della novità e siccome costui non ne sapeva nulla di quel materiale, lo si accompagnava fino al luogo indiziato dove erano state allestite quelle porte senza anima.

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Quindi si compiva il viaggio insieme fino ad arrivare a quella casa che era stata baciata dalla modernità ma poco prima, giunti i due nei pressi, ecco che il vecchio di Assergi consigliava il parente di fischiettare componendo poi sul viso quell’aria indifferente che quasi sempre non aiuta e che può altresì svelare un comportamento non vero.

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A dire la verità, quando il vecchio giungeva sul luogo cruciale ecco che sollevava la testa e prendeva a guardare le nuvole, beninteso dopo aver indicato al parente dove si trovavano quelle porte di alluminio anodizzato, e se guardava il cielo era perché lui con quella diavoleria innovativa non voleva entrarci, altri pensieri aveva, doveva fantasticare sul paradiso.

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Il vecchio, dunque, guardava le nuvole proprio come Socrate nella commedia di Aristofane intitolata, appunto, Le nuvole, ecco si finiva con lo sguardo in cielo congetturando sulle divinità. Forse anche il vecchio di Assergi riteneva che un aiuto potesse giungere soltanto dal cielo.

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Il vecchio che non poteva contare più su un passo sicuro, doveva prestare attenzione nel procedere con lo sguardo rivolto al cielo perché poteva avere buone possibilità d’inciampare e di finire così  lungo per terra maledicendo, a quel punto ancora di più, l’irruzione della modernità.

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Il vecchio non volle fermarsi a spiegare al parente quale fosse la sua opinione su quelle porte, ormai erano diversi giorni che sapeva di quel fatto nuovo e preferiva starsene alla larga, imprecare in silenzio, mandare dei sospiri lirici ai santi affinché essi s’occupassero, un poco, anche della Terra.

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La relazione che il parente stilò poco dopo non fu lusinghiera e anzi corse in soccorso del suo caro vecchio e anche lui parlò di un’opera metallica che alterava quel tratto di Assergi, certo, si trattava soltanto d’una decina di metri ma lo spaesamento in quel punto era grande.

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Proseguirono fino al pagliaio, dandosi coraggio, ed entrambi componevano frasi che provenivano direttamente dagli anni ’40, eh, erano stati brutti tempi quelli ma non si poteva mai essere un po’ sereni che subito ci si doveva mettere sulla difensiva.

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«Cosa c’entra l’alluminio anodizzato sotto quell’apertura ad arco con chiave di volta?», disse il parente che proveniva da Aragno. «E quello che dico anch’io…di male in peggio, ma non se ne accorgono…», gli rispose il vecchio. Se ne stavano seduti sui gradini che conducevano al fienile e sembravano sereni, malgrado tutto. Dopo un lungo silenzio il parente sospirò: «Eppure, non dobbiamo disperare…».

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Dopo un po’ i due entrarono nella stalla e si posero dietro all’asino e se il parente si congratulava per come quel luogo era tenuto, il vecchio annuiva ma ad un certo punto - con l’emozione che era al sommo – abbracciò il suo fedele e silenzioso asino e in quel gesto del vecchio c’era descritto tutto il tempo che sfilava inesorabile e la mutazione che non avrebbe risparmiato nessuno.

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Ad un certo punto sfilò davanti a quel pagliaio Arcangelo, il quale non sapeva nulla di quell’innovazione ma ne fu messo subito al corrente e i due gli suggerirono di passare davanti a quella casa così anche lui avrebbe potuto esprimere un parere “sul brutto” che stava dilagando incontrastato.

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Passò del tempo e si giunse al tramonto e quell’idea di volersi ritirare nel fienile e rompere con tutto il paese dilagò nell’animo del vecchio e fu approvata da quel suo parente che era giunto da Aragno e aveva visto cosa era successo a proposito delle due porte.

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Quando il gelo della sera iniziava a sentirsi dal tardo pomeriggio essi si risolsero ad alzarsi da quei gradini che conducevano al fienile e s’avviarono verso casa, e accadde dunque che alla Porta del Colle incontrarono Checco Scarcia, uno dei figli di Bebè, e superato l’arco della Buscia mostrarono a costui cosa era accaduto ma su quella sostituzione era giunto pure lui che commentò quel fatto con un sorriso senza esporsi con un giudizio. Disse in particolare Checco: «Sulle cose de gli atri se dà stà sitti…», e mosse per rincasare lasciando i due senza che le loro preoccupazioni potessero guadagnare un animo in più alla loro causa.

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La disperazione del vecchio montò, assieme ai suoi coetanei s’era confrontato già diverse volte per argomentare sul fatto nuovo dell’alluminio anodizzato ma in quelle riunioni tutti avevano continuato a scuotere la testa e a sentirsi minacciati dal nuovo in arrivo e non bastava loro il conforto delle rispettive mogli che con parole dolcissime e anche velate di buonsenso sembravano accarezzare le pareti di casa.

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E comunque sembrava che l’immagine del dottor Cerone volteggiasse nell’aria, che rappresentasse in quella stanza una sorta di protezione sulla vita, una cinta muraria contro ogni malattia.

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Alcuni di quei vecchi  erano pure tentati d’esporre al dottor Cerone l’ultima loro inquietudine, ovvero il sopraggiungere ad Assergi dell’alluminio anodizzato con il quale alcuni uomini avevano sostituito vecchie porte risalenti “agli begli tempi de prima”.

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Erano tentati dal recarsi presso lo studio del dottor Cerone ma, nello stesso tempo, si mostravano titubanti nel dover raggiungere Paganica e poi esporre al medico quel fatto nuovo, e ritennero che fosse meglio disturbare quel medico solamente per fatti gravi inerenti il corpo. Oh bella! Ma i mali dell’animo non erano forse delle offese sul corpo?

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Si prese a considerare Paganica un luogo sacro a motivo che lì viveva e visitava quel sant’uomo del dottor Cerone, ma i vecchi non sapevano dove fosse la casa di costui, lo avevano sempre visto accorrere ad Assergi, una chiamata al telefono da parte d’un famigliare ed eccolo sopraggiungere.

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E comunque l’angoscia non diminuiva e l’avvistare le porte realizzate con quel materiale provocava smottamenti negli animi sensibili di Assergi e allora per costoro recarsi al pagliaio oppure a Licenna e ancora alle Vigne dei Colli non era più lo stesso, s’avvertiva di continuo una sensazione di pericolo.

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Accadde così che iniziarono a stringersi ai propri cari, a zufolare preghiere, a rimanere in un silenzio buono nella stalla, quasi a confidarsi con l’asino e a ricamare parole con le galline, a rivedere il proprio pensiero sul maiale, finanche ad accarezzarlo lungamente.

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Le lanterne in un angolo della stalla, il basto, le capezze di riserva puntate su un chiodo nel muro, una grossa mantella per la notte, un ombrellaccio, le covelle, la piccola mangiatoia per il vitellino, la sarecchia, gliu brient, la falce (la favecia), i caioni, c’era da impazzire per tutta quella bellezza in mostra…ma ad Assergi era giunto l’alluminio anodizzato!...

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Oh, quello che sentivano i vecchi! Da star male ma in un modo mai sperimentato, e col passare dei giorni tentarono di non pensare a quel fatto nuovo e osarono altri percorsi, strade alternative per non passare davanti a quelle porte, a quell’obbrobrio.

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Impossibile non pensarci, sotto la tracenna nel fienile o al gallinaio tornavano in mente quelle immagini e così il il saluto di quei vecchi ad un amico non poteva avere che questa andatura: «Bona sera combà…». Ma tale saluto avveniva stentato, con un filo di voce, con un battito accelerato, con una vertigine.

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In certi momenti alcuni di quei vecchi pensarono addirittura di dormire nel fienile per non essere più sulla strada di casa, per esentarsi dal dolore, per commuoversi in silenzio, con l’animo lacerato per quanto avevano visto.

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E ancora: alcuni di essi pensarono d’iniziare dei colloqui con il proprietario di quella casa dove le due porte, adesso, erano di alluminio anodizzato, e arrivarono addirittura a pensare di pagare essi stessi la sostituzione di quelle porte. Lo avevano già pensata una simile azione ma ogni giorno la rinnovavano.

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Non poteva essere di loro aiuto né la Puciara e nemmeno Lucia de Cechine, le quali, in possesso di poteri magici, avevano la capacità “de rescongià ‘u mmalocchie”, oh, ma si trattava d’un’altra faccenda, adesso, ben più grave, l’agguato della modernità.

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Pensarono anche di recarsi da don Demetrio e una sera, riuniti a cena a casa d’uno di essi, elaborarono una strategia, ovvero una visita al parroco e, tra un bicchiere e un altro, si ripeterono che quella poteva essere una decisione giusta.

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Il contrasto che si componeva tra le porte realizzate in alluminio anodizzato e quelle che stavano di fronte e accanto era un altro aspetto della mancanza di sensibilità oppure, anche, d’un aggravamento del brutto che minacciava gli uomini, e inoltre proprio l’irrompere di quelle nuove porte autorizzava a pensare che non c’erano limiti al peggio e che era, dunque, la modernità a prevalere.

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I giorni sfilarono senza turbarsi minimamente, Assergi era diviso su quel fatto e si contarono anche persone favorevoli al nuovo, all’efficienza, ed era come un ripararsi meglio, scegliere la tecnologia per rimandare ogni pensiero sulla morte. Ma la Bellezza vinceva da sola e non era per tutti.

 

 



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