81esimo anniversario dal blizt per liberare Mussolini da Campo Imperatore

Il 12 settembre 1943 la località di Assergi è stata teatro di un avvenimento storico: la liberazione di Mussolini.

 

 

Come è noto, Benito Mussolini era stato imprigionato (confinato) presso l’albergo di Campo Imperatore, in attesa del giudizio: i suoi collaboratori decisero pertanto un’operazione difficilissima e delicatissima per liberarlo, blizt passato poi alla storia con il nome di “OPERAZIONE QUERCIA”. L’operazione, di alta strategia militare, è stata condotta congiuntamente via cielo e via terra, con un sincronismo ed un’organizzazione veramente incredibili per la tecnologia di allora.
Ripercorriamo quei momenti insieme.

Il convoglio aereo dell'operazione Eiche giunge nel cielo di Campo Imperatore. I velivoli sorvolano l'obiettivo per distribuirsi le zone di atterraggio. Allo stesso tempo, la colonna degli autocarri con i paracadutisti tedeschi avanza, nella valle del Raiale, passando per Paganica e Camarda, in direzione della stazione di base della funivia.
Arrivati ad Assergi, in prossimità dei pagliai presenti all’epoca, al chilometro 18, apre il fuoco contro una guardia forestale di Assergi, Pasqualino Vitocco. L'uomo è immediatamente soccorso dalla moglie e da Costanzo Alloggia (Nandino); le sue ferite sono molto gravi e la Guardia Forestale purtroppo morirà il giorno dopo presso l'ospedale civile dell'Aquila. La pattuglia riesce a raggiungere la stazione di base della funivia in Località Fonte Cerreto: la pattuglia dei tedeschi, comandata dal Tenente Weber riesce ad occupare la stazione dopo un breve ma intenso conflitto a fuoco.
Giovanni Natale, un carabiniere che si trova esposto al fuoco tedesco muore nei pressi della stazione della funivia; altri due badogliani sono feriti dalle bombe a mano lanciate dagli assalitori nelle finestre della palazzina, adiacente allo sbarramento stradale. Gli italiani, che, attenendosi agli ordini, non hanno sparato un colpo, sono disarmati ed i tedeschi ne spezzano i moschetti. Portata a compimento l’occupazione della stazione base e disarmati i badogliani superstiti, utilizzando la funivia, i paracadutisti salgono a piccoli gruppi all'albergo di Campo Imperatore.

Nel cielo, frattanto, i rimorchiatori, nascosti dalla vetta, sganciano gli alianti. Questi, superato lo sperone della montagna, calano all'improvviso da ogni parte sul pianoro di Campo Imperatore, con una “dolce” picchiata.
Gli alianti prendono terra fra le rocce tutto intorno all'albergo. Il primo a raggiungere l'obiettivo è il velivolo di Meyer - Wehner, con Skorzeny e Soleti.

Ma cerchiamo di rivivere, dalla voce dei protagonisti dell’epoca, l’intera vicenda, come una specie di “flash-back” 81 anni di distanza: ascoltiamo la testimonianza di Sante Vitocco (figlio di Pasquale Vitocco), intervistato in Australia dove vive.

E’ stato ritrovato il fascicolo con la storia delle due vittime del blitz tedesco nascosto per 70 anni in un armadietto del tribunale dell'Aquila. Dopo il terremoto del 2009 alcuni faldoni fino ad allora conservati nell'archivio del tribunale sono stati conferiti all'Archivio di Stato, fra quei fascicoli c'è anche quello relativo al reato di "omicidio volontario" in persona di Pasquale Vitocco e Giovanni Natale a opera di "ignoti soldati tedeschi".
Le due vittime dell’Operazione Quercia dimenticate dalla Storia hanno ritrovato la dignità del ricordo, il 12 settembre del 2017 attraverso l’intitolazione, delle stazioni di Monte e di Valle della Funivia del Gran Sasso, con due targhe che sono state scoperte dai parenti delle vittime e benedette dal parroco don Giovanni Gatto, con gli onori dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo Forestale dello Stato.
RIVEDIAMO UN FRAMMENTO DELLA CERIMONIA

In quella occasione lo storico Walter Cavalieri nel suo intervento ha sottolineato che con si trattò di una liberazione, ma di uno scambio:

"Chi come me si è interessato all'Operazione Quercia non si è mai rassegnato al fatto che le uniche due vittime fossero dimenticate o considerate tra gli "effetti collaterali". E figuriamoci cosa possano aver vissuto i familiari...!

Come è potuto succedere? Credo che oggi vada data una risposta coraggiosa e definitiva. Quella che non fu data nel 1993 alla presenza di Harald Mors, quando in un Convegno su quegli eventi si preferì discorrere dei rapporti tra Lisetta Moscardi e il Duce, pressati dalla curiosità giornalistica di un nostro concittadino, Bruno Vespa. 

Oggi tutti coloro che hanno studiato l'Operazione Quercia e il suo contesto - Antonio Muzi, Vincenzo Di Michele, Amedeo Esposito, io stesso - non possono non convenire sulla tesi di Marco Patricelli, che poi era quella formulata per la prima volta da Ruggero Zangrandi in L'Italia tradita, Mursia, Milano, 1971. E cioè che si sia pattuito, tra Badoglio e i tedeschi, la fuga del Re in cambio della consegna di Mussolini.

Non ci sono prove documentali al riguardo - tipo il testo di un accordo -, queste cose è chiaro che non si scrivono, ma…
1) è innegabile che il re e Badoglio erano terrorizzati dall'idea di cadere prigionieri dei tedeschi;
2) è innegabile che i tedeschi avessero bisogno di Mussolini per istituire un governo fantoccio che contribuisse a sostenere spese e carichi dell'occupazione.

Dunque Mussolini merce di scambio, tenuto sempre più a portata di mano, con il suo trasferimento dalla Maddalena al Gran Sasso. Non a caso Mussolini non viene consegnato agli Alleati, com'era nelle condizioni dell'Armistizio, anche perché un processo a suo carico avrebbe fatto riemergere i crimini di guerra compiuti da Badoglio in Etiopia.

Come si spiega, se non alla luce di un accordo segreto, che il 9 settembre, delle 18 vie consolari che partono da Roma, il corteo reale - una settantina di auto - imboccò indisturbato la Tiburtina? E che tutto filasse liscio durante l’imbarco sulla corvetta “Baionetta” quando il porto di Ortona era già discretamente presidiato dai tedeschi?

Si dirà: ma allora perché tutta la messa in scena di una grande operazione militare con le due modalità aerea e terrestre? Queste potrebbero essere le risposte: esigenze propagandistiche; eventuale presenza in zona di reparti badogliani privi di collegamenti (la colonna terrestre da Pratica di Mare evita L'Aquila, passando per Avezzano, Popoli e la Valle subequana); possibili tentativi di prelievo da parte degli Alleati; eventuali voltafaccia italiani…

E così il 10 settembre il Capo della Polizia Senise comunica al prefetto dell'Aquila Biancorosso: "Raccomandate ispettore reale Gueli massima prudenza".

Massima prudenza equivale a un invito alla resa: vengono infatti tolte le mitragliatrici dal tetto dell'albergo e 150 fra carabinieri e poliziotti escono tutti coi fucili in spalla… Non si spara un solo colpo, non ci sono altri feriti se non i pochi parà tedeschi infortunatisi nell'atterraggio di alcuni alianti nei dintorni dell’albergo di Campo Imperatore, dove Mussolini era detenuto.

Il comandante dell'Operazione Eiche (Quercia), Harald Mors, scriverà nel 1950: "Gli intrighi dietro le quinte erano sconosciuti a noi soldati esecutivi. Ma oggi è sicuro che il governo ha manipolato le truppe per scopi politici falsando la realtà. [E poi, con evidente riferimento a Skorzeny] Sul Gran Sasso non ci furono singoli eroi, soprattutto sul Gran Sasso non ci furono eroi.”

"La liberazione di Mussolini era un'operazione politica più che militare, finalizzata alla nascita della Repubblica sociale", scrive Marco Patricelli.

Fin qui la cosiddetta "Grande Storia"…

Ma in tutto questo clima da intrigo qualcuno dimenticò di avvertire il posto di blocco dei carabinieri sulla strada che da Assergi porta alla base della funivia. Né venne avvertito alcun altro membro dei corpi dello Stato, cosa normale in quei giorni in cui si lasciò allo sbando più di un milione di soldati italiani.

E' in queste concitate e confuse circostanze che restano uccisi il carabiniere Giovanni Natale e la guardia forestale Pasquale Vitocco. Giovanni Natale, di Nicola e D'Agostini Maria, nato a Caserta il 19 aprile 1902. Pasquale Vitocco, di Antonio e Faccia Vincenzina, nato ad Assergi il 9 aprile 1904,     padre di 5 figli: il più grande di 15, la più piccola di tre. Ma voglio ricordare anche i due carabinieri feriti: Pasquale Delita e Onesto Occhiuzzi.

Sono chiare le circostanze dell'uccisione di Natale. L’ex paracadutista Siegfried Bohl racconta: "Aveva aperto il fuoco, consapevole del proprio dovere di soldato a guardia della struttura, vedendo arrivare il nostro gruppo in avanscoperta, che rispose colpendolo”. Anche per Vitocco i tedeschi credettero che un uomo in divisa stesse facendo il suo dovere.

"Di Tocco (sic) e Natale furono gli unici ad avere cognizione del proprio dovere di soldati, in un giorno in cui nessuno a Campo Imperatore fece il proprio dovere né obbedì agli ordini, se non a quelli di non fare nulla. I nomi del carabiniere e della guardia forestale sono rimasti per anni solo sui verbali. Dimenticati nel nulla." (Marco Patricelli)

Quel giorno ci fu solo un vincitore: la ragion di Stato!

Questo spiega perché l'Arma dei Carabinieri che onora e ricorda suoi uomini come Salvo D'Acquisto o Genserico Fontana, morto alle Fosse Ardeatine, fa calare il silenzio su Giovanni Natale. Al punto che nell'archivio della Prefettura dell'Aquila ho dovuto direttamente constatare, durante le mie ricerche, che tra tutti gli altri manca solo il faldone del settembre '43…

Ma ora sono trascorsi 73 anni! E' ora che tutte le Istituzioni facciano un piccolo sforzo per riparare ai propri silenzi…

Scrive Antonio Muzi: "E' inutile cercare negli archivi un riconoscimento, un encomio rivolto ai caduti per il loro attaccamento al dovere, per il loro sacrificio. E' inutile cercare ad Assergi un cippo, una targa, in memoria di Giovanni Natal e di Pasquale Vitocco. Le due vittime del blitz tedesco furono presto dimenticate".  

 

Dopo Cavalieri, l'intervento di Goffredo Palmerini:

"Farò un intervento breve, dopo l’ampia relazione sul contesto storico di quei giorni che con la sua competenza ha fatto il prof. Cavalieri. Cercherò, per quanto mi riguarda, dai fatti che ricordiamo di trarre un giudizio e un ammonimento - da modesto uomo delle istituzioni fino a qualche anno fa - che valgano per allora, per l’oggi e sopra tutto per il futuro. Mi sono interessato a queste vicende leggendo pubblicazioni che l’hanno analizzate – i libri di Marco Patricelli, Walter Cavalieri, Aldo Rasero, Vincenzo Di Michele – ma ancor più ultimamente scrivendo la Presentazione a un bel libro di Antonio Muzi, “L’ala tedesca sul Gran Sasso”. Antonio Muzi, studioso di storia per pura passione, ha scritto un volume di forte interesse e di grande utilità specie per le giovani generazioni, per far conoscere meglio uno dei periodi più bui e penosi della nostra storia nazionale. E quello del quale qui e ora stiamo parlando resta un buco nero della nostra storia nazionale, con la quale ancora non facciamo del tutto i conti. Parliamo degli avvenimenti che interessarono l’Italia dal 25 luglio 1943, con il voto del Gran Consiglio e la conseguente caduta del regime fascista, fino alla “liberazione” di Mussolini dalla “prigione” di Campo Imperatore, il 12 settembre, che poi portò alla nascita della Repubblica di Salò e alle drammatiche conseguenze che ne seguirono.

Fu un mese e mezzo, o poco più, denso di avvenimenti che cambiarono il corso della nostra storia, tra miserie morali e fughe dalle responsabilità, culminate in quell’8 settembre 1943, quando l’Italia andò allo sbando per l’inqualificabile comportamento del Re, del capo del Governo generale Badoglio e del capo di Stato Maggiore generale Roatta, fuggiti dalla capitale ad Ortona, da qui imbarcatisi per Brindisi, senza aver lasciato ordini chiari e precisi alle nostre Forze Armate, rimaste in balia della reazione tedesca in Italia e nei diversi fronti di guerra. La pagina più nera della nostra storia patria, dalla quale tuttavia sarebbe nata la Resistenza e la lotta di Liberazione, con il riscatto della dignità del Paese, prodromo alla riconquista delle libertà democratiche e alla nascita della Repubblica.
Torniamo, per un momento, a quei giorni, quando dall’isola della Maddalena il prigioniero Mussolini il 28 agosto fu tradotto sul Gran Sasso, dapprima alla “Villetta” di Fonte Cerreto e qualche giorno dopo all’albergo di Campo Imperatore. Accanto e intorno al Duce, nel corso della sua prigionia e fino alla sua “liberazione”, avvenuta il 12 settembre di 73 anni fa, con la proditoria “Operazione Quercia” dei Tedeschi, concertata dal generale Student con il maggiore Mors, si aggira una fioritura di varia umanità, personaggi che sembrano più adatti al teatro delle maschere, tanto sono capaci di recitare a soggetto. Funzionari dello Stato ciascuno dei quali, rispetto ai propri doveri e alle proprie responsabilità, opera a suo piacimento, omettendo o modificando le disposizioni ricevute, a seconda delle personali convenienze o convinzioni. Oppure adottando comportamenti non del tutto compatibili o appropriati a quelli che la propria funzione dovrebbe osservare. Eccone un campionario: Polito, Meoli, Senise, Gueli, Faiola, ma anche altri.

Sicché la catena di comando risulta svilita, praticamente aleatoria, come dimostrano i fatti susseguitisi dal 25 luglio al 12 settembre ’43. E l’ordine di Badoglio di non far cadere vivo il prigioniero in mani tedesche, dunque all’occorrenza di sopprimerlo – ma Badoglio sapeva pure che Mussolini, in base al patto d’armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre dal generale Castellano, avrebbe dovuto essere consegnato vivo agli Alleati! – non ha praticamente alcun séguito. Come non ha praticamente séguito per tentennamenti nell’esecuzione l’ordine superiore, ribadito dal prefetto dell’Aquila all’ispettore Gueli, di trasferire Mussolini da Campo Imperatore a Fano Adriano, nel versante teramano, in vista d’un possibile imminente attacco tedesco. O come Gueli interpreta a suo modo la raccomandazione del capo della Polizia Senise di regolarsi “con prudenza” in caso d’attacco tedesco, tradotto praticamente nell’ordine “non sparate” quando il capitano delle SS Otto Skorzeny, sceso dal primo degli alianti tedeschi atterrati a Campo Imperatore e precipitatosi verso l’albergo, va a “liberare” Mussolini.

Il “fortilizio inespugnabile”, così definito dal medesimo Gueli per rassicurare Badoglio, non produce difesa o reazione alcuna in chi è a sua difesa, diventa una casa aperta ai militari del commando tedesco venuto dal cielo che in pochi minuti “liberano” Mussolini, fanno persino foto di gruppo con i militari italiani, caricano Mussolini su un monomotore biposto Fieseler Storch – sul quale pretende di salire e sale anche Skorzeny, l’avventato capitano delle SS fatto poi passare per eroe, mettendo a serio rischio il decollo – lo portano a Pratica di Mare e da quell’aeroporto un aereo trasferisce il Duce e Skorzeny al cospetto di Hitler.

Da questo quadro viene fuori - per quel periodo e per quegli avvenimenti - un’Italia che non vorremmo mai più vedere, uno Stato liquefatto, le sue istituzioni sfarinate, dove imperano sotterfugi e menzogne, furbizie e fughe dalle responsabilità, mancanze di lealtà o insufficienze verso i propri doveri. Un cercare di arrangiarsi, di adattarsi agli eventi secondo convenienza, dove il rigore del dovere è perso, il senso del rispetto verso la nazione e il suo destino, in una congiuntura così drammatica, viene declinato secondo la personale utilità. Il segno d’una decadenza etica, nel corpo stesso dello Stato, terrificante. Solo alcuni giorni dopo quel 12 settembre inizierà la riscossa dell’Italia, il recupero della dignità nazionale.

Questa decadenza etica del senso dello Stato e dei propri doveri trova qui a Campo Imperatore il suo apice. E di fronte alla vergogna d’una simile condizione il comportamento del carabiniere Giovanni Natale e della guardia forestale Pasquale Vitocco, due umili persone in divisa che erano al posto di blocco nei pressi di Assergi o nelle immediate vicinanze a fare il loro dovere, furono le sole a lasciarci la vita, sotto i colpi della mitragliatrice sparati dalla colonna motorizzata tedesca al comando del Maggiore Harald Mors che procedeva verso Fonte Cerreto. Due persone, due uomini dello Stato, due padri di famiglia che stavano facendo il proprio dovere, morti nell’esercizio del proprio dovere. Il loro comportamento, nel contesto di tradimento dei valori di lealtà verso lo Stato e delle responsabilità, li fa assurgere a semplici eroi. A loro va il nostro rispetto, la nostra gratitudine e l’onore che a loro compete per la dignità del loro comportamento. L’onore che oggi, seppure tardivamente, gli tributiamo, facendone memoria con l’apposizione di queste due targhe, nelle stazioni di partenza e arrivo della Funivia del Gran Sasso.

Quel loro comportamento ci riscatta in parte dalla vergogna di quei giorni. Un riscatto che sarebbe poi cresciuto proprio dall’Aquila, con i partigiani che s’erano organizzati sulle nostre montagne, cui s’aggiunsero alcuni giovani. Nove di essi furono catturati dai tedeschi e fucilati, dopo essere stati costretti a scavarsi la fossa. Accadde il 23 settembre. Sono anche loro i nostri eroi, i 9 Martiri Aquilani. Il loro sacrificio nello stesso giorno dell’eccidio di Cefalonia. Per questo andiamo orgogliosi e come Abruzzesi ancor più per il contributo rilevante reso dall’Abruzzo alla lotta di Liberazione dal nazifascismo, con la nascita della Brigata Maiella, nel dicembre ’43: il primo reparto partigiano militarmente inquadrato, l’unico insignito di Medaglia d’Oro al valor militare, la formazione combattente con il più lungo e ampio ciclo operativo, dall’Abruzzo alle Marche, all’Emilia Romagna e al Veneto, fino alla completa liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Se dunque c’è un ammonimento da trarsi per l’oggi e per il futuro dal sacrificio di Giovanni Natale e Pasquale Vitocco, esso risiede nel richiamare in ciascuno di noi il senso dello Stato, nel rispetto dei propri doveri, ciascuno nell’ambito delle proprie responsabilità piccole o grandi. In ogni condizione o circostanza, ordinaria o eccezionale. L’unico modo, qusto, per dare dignità alla nostra vita e un futuro migliore alla nostra comunità e alla nostra Italia".

Con un pizzico di orgoglio e con tanta commozione, Giocondina Giusti, nipote di Pasquale Vitocco, ha voluto ringraziare gli organizzatori della cerimonia, anche a nome della mamma (figlia di Pasquale Vitocco recentemente scomparsa), degli zii e cugini residenti in Australia ed in America:

"ringrazio l’amministrazione del Centro Turistico, le Autorità militari, civili e religiose che hanno voluto onorare la memoria di nonno Pasquale, uomo onesto e ligio al dovere che esercitò la sua professione di guardia forestale ai piedi di queste nostre bellissime montagne.
L’occasione mi suggerisce l’augurio che le generazioni future non possano mai più conoscere le sofferenze della guerra e che questo nostro bellissimo Gran Sasso sia fonte di benessere per le popolazioni che vivono nei suoi dintorni.
Grazie Ancora".

 

 

 



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