ASSERGI PATRIMONIO DELL'UMANITA'

ASSERGI PATRIMONIO DELL'UMANITA'

- di Fernando Acitelli -

 

 

 

                    Più facciamo progressi interiori,
                    più diminuisce il numero di coloro
                    con cui possiamo realmente comunicare
                                                                                                        
                     Emil Cioran

 

Entro le mura il paese s’è spento ed è un lusso passeggiarvi col silenzio tutt’intorno, in questo modo non sfugge nulla e si ha un pensiero anche per i dettagli e ad ogni finestra, ad ogni uscio malandato dal tempo e dall’abbandono ci si illude d’ascoltare le voci che udimmo, e davanti ad ogni porta rintracciamo esistenze e il bello è che le stesse ci appaiono con i loro ultimi indumenti (comprati dove?), ma quelle esistenze non sanno che io le sto pensando.

***

L’arteria addominale di Assergi è la Strada Ritta e ora, nel silenzio, essa ci appare ancora più nitida e le immagini lì sona raffica ed è un lungo filmato senza sonoro in un cineclub per patiti dei primi film del ‘900 e del “montaggio delle attrazioni”, e dei gatti che la facevano da padroni dalla casa della Pasticcia fino a quella di Mario De Leonardis non si sa più nulla, i discendenti se la sono data a gambe dopo il sisma, sono espatriati, hanno deciso di vivere altrove, di “mettere su famiglia” e così, superate le antiche mura, hanno trovato residenza nelle nuove dimore ricamate da piccoli giardini con un verde pettinato.

***

Nel silenzio della Strada Ritta s’eleva ancora per me un’esistenza che fu geniale e che fece della solitudine un valore e che si divise tra la sua casa e il laboratorio, Mario De Leonardis, oh, si sarebbe potuto scrivere tanto su di lui se tutti i suoi quaderni d’appunti non fossero andati perduti, va bene, sottolineato questo è da ribadire il sublime rettilineo della Strada Ritta che congiunge due rioni di Assergi, quello dell’Orologio e quello della Piazza, forse le due contrade con il più alto valore spirituale se la prima dà conto, con i rintocchi, del Tempo e la seconda, con la chiesa, conforta e tiene viva la fiammella della fede.

***

Nella Piazza il rosone della chiesa dona la vertigine, da intendersi non soltanto come solenne prova d’arte ma come “occhio di Dio”, punto di confluenza dei fedeli, ed è proprio esso che chiama, che attira anche gli scettici verso i sacri misteri, è come un sole con dei raggi medievali e se con gli occhi si finisce nel centro del rosone non si può far altro che varcare il portale, e lì, una volta entrati, più che volgersi, a sinistra, verso l’antica fune per le campane si deve guadagnare il luogo dell’acquasantiera e da lì è ad appena un passo la strumentazione campanaria con tutti quei pulsanti.

***

Le fontane di Assergi donavano ristoro non soltanto alle persone ma anche al paesaggio, erano delle carezze scenografiche che ingentilivano molti luoghi, dalla fontana nella Piazza al quella alla Porta del Colle passando per la successiva di Sant'Antonio che, situata sotto l’ara dei Giusti e dei fratelli Pace – cognomi sublimi, evangelici - consentiva agli asini di rasserenarsi con la bevuta visto che s’era nel cuore dei pagliai, bene, ma oltre a questo, proprio sul confine tra i pagliai e l’inizio della campagna, s’incontrava la fontana dell’Acona, un’altra fonte di gioia per gli asini che rientravano dalle terre in cui s’erano distinti ma che mostravano nello sguardo tutta la loro fatica, da sottolineare questo, e parlando di acqua ecco che c’era da affrontare il discorso legato a quale di tutte queste fosse la più fredda, cioè la più rinfrescante, e allora la fontana ai Frati vinceva con facilità e si trattava d’una vittoria larga su tutte le altre, ma oltre a tutto questo c’è da mettere in luce una piccola fontana, dimenticata, sotto il muro della Piazza, più che altro uno scolo di quella più grande ma che, ad osservarla da distanza ravvicinata, donava piccoli splendori come il muschio che era depositato nelle piccole vasche, muschio che in certi punti fluttuava staccandosi dalle pareti, ebbene, a questa piccola fontana non andavo per bere ma per estasiarmi alla vista di quel muschio vellutato, ondeggiante che, grazie all’acqua, era più lucente.

***

Avventurarsi oggi per i pagliai significa constatare il tempo dissolto, tutti i decenni che attraversarono i nostri nonni ed i nostri genitori, e inoltre c’è da valutare la mano solenne di quegli artigiani/artisti che si distinsero nell’allestire porte di pagliai e fienili e sono proprio questi reperti che ci pongono in visione diretta con il Passato, e in certi casi tali usci sono usciti “sani e salvi” dall’aggressione del tempo e si mostrano ancora in discreta salute, e si tratta d’usci di pioppo, così belli da osservare, da dedicargli intere mattinate, certamente, sostare dinanzi ad essi e sognare colui che per l’ultima volta ripose la scala all’interno e poi chiuse quella porta, compose nel modo corretto l’annadicchia, e tutto questo mentre le lacrime gli rigavano il viso, oh già il tempo, s’era comportato al solito da aggressore e non c’era nulla da opporre ad esso.

***

I muri cadenti, al pari delle porte di cui s’è detto, mostrano un sublime che soltanto le foto possono restituire, dunque muri di case che erano nati con tutte le buone intenzioni sono adesso cadenti, in rianimazione, ma non distanti, comunque, dalla Bellezza, e se si getta l’occhio su alcuni di essi ecco che ritagli di senso sono alla vista e infatti in alcuni casi è rimasta soltanto la facciata che si sostiene da sola perché ha intenzioni ancora di vivere e svegliarsi con il sole e con la neve.

***

Pagliai con i tetti che hanno in parte ceduto e che rendono bellissime le foto perché la costruzione è adesso decorata di verde, un ricamo spontaneo della natura che allevia quelle ferite di crepe, lesioni, dissesti, e oltre una porta o da una finestra spunta sempre la natura che è il medicamento principe per vecchie case e ruderi, vero, niente come la natura si prende cura dell’infermità dei muri.

***

Anche le scale per l’accesso ai pagliai sono state colonizzate dal verde e dal muschio e così quei gradini calcarei sembrano più umani, pare ci possano raccontare le storie di coloro che li salirono, le gioventù dissolte degli anni ’20 e degli anni ’30 fino a che non le vedemmo, davanti, invecchiate.

***

Molti pagliai ci conducono verso le lacrime non soltanto perché vivono soli da gran tempo mostrando alcuni di essi lesioni severe sui muri ma anche perché su alcuni di quegli edifici campeggia la scritta VENDESI con sotto il numero del telefono, esattamente questo, e così il fatto commotivo è che dal giorno in cui fu fissato quel cartello nessuno compose quel numero telefonico ma non sapremo mai se qualcuno chiamò o se la cifra richiesta fu ritenuta eccessiva, ecco, ma il fatto sublime è che restando senza acquirente noi ci potremo gustare quel pagliaio (e con esso anche altri) ancora per molto tempo, naturalmente con tutte le sue lesioni e le storie che, osservandolo, saremo in grado di comporre.

***

I pagliai abbandonati con l’uscio affrescato di verde e muschio mi paiono come un fascio di lettere ritrovate in un cassetto d’uno stipo in cui il mittente – emigrato nelle solite nazione conosciute – scrisse ai suoi genitori e quest’ultimi naturalmente risposero, dunque un dolore infinito, e così, quando oso ricognizione per fienili e pagliai, non faccio altro che vedere in essi tante calligrafie tremolanti ma piene di sentimento.

 

 

 



Condividi

    



Commenta L'Articolo