L’ACQUA CRISTALLINA E IL MONDO DI IERI - di Fernando Acitelli

L’ACQUA CRISTALLINA
E
IL MONDO DI IERI

- di Fernando Acitelli -

 

                    Chi crede che una crescita esponenziale
                    possa continuare all’infinito in un mondo finito
                    è un folle, oppure un economista.
                    Kenneth Boulding

 

L’irrompere anche ad Assergi dei sali per acqua “Cristallina” decretò un tempo nuovo. La sensazione fu dell’ennesima possibilità d’immergersi in qualcosa di inconsueto, addirittura di magico. Quella piccola scatola “Cristallina” l’adocchiò mio padre dietro una vetrinetta in un negozio di alimentari ad Aquila e così, dopo la sua spiegazione “magica”, ovvero di come sarebbe divenuta l’acqua con quelle bustine, quella piccola scatola entrò nella nostra famiglia. Era estate, sorvolava il mondo l’anno 1970, eravamo ad Assergi, eravamo immersi in una felicità “a tempo”.

La piccola confezione di “Acqua Cristallina” con bustine la si trovava nei negozi “Pane e Pasta” più forniti, quelli che si potevano considerare la premessa degli odierni supermercati, ma se quelle gloriose botteghe ne erano sprovviste, s’andava a colpo sicuro raggiungendo la torrefazione “Centofanti” sotto i portici, ad una ventina di metri dal bar “Commercio” e poco prima di via delle Tre Marie. A quel tempo, in assenza delle pareti d’acqua minerale nei supermercati, l’unica possibilità che s’aveva per sorseggiare acqua frizzante era il bar. Si giungeva al bancone del bar Eden o del Nurzia e lì era una gioia già la visione del barista che faceva calare nel nostro bicchiere quell’acqua “innaturale” proprio perché frizzante. Ma sgorgava davvero frizzante sin dalla sorgente? Rimanevo un po’ perplesso dinanzi a simile domanda che mi ponevo ma mi accontentavo di quanto m’era davanti, di quell’evento dell’acqua frizzante: rimanevo ad occhi chiusi, sognante, ispirato. In quelle occasioni finivo col voler bene anche al barista che aveva allestito sul bancone quel miracolo d’acqua. Non volevo finirla, intendevo sorseggiarla rimanendo lì a guardare chi mi stava accanto oltre a mio padre e a mia sorella. Il discorso era per me più misterioso di quanto potesse apparire vedendo il barista aprire uno sportelletto sotto il bancone, un’apertura metallica a chiusura ermetica e con un piacevolissimo rumore morbido, quasi sordo: era proprio da quello spazio che egli tirava fuori le piccole bottiglie in vetro di acqua minerale ed osservare le sue azioni era per me come stare al lunapark in giornate interminabili, tutto preso dal gioco e da una sana sospensione dalla vita. Potrà sembrare strano ma osservando le azioni del barista e pregustando l’euforia dell’acqua frizzante, io mi distaccavo da tutti ed entravo in  “un mondo tutto mio” dove il sogno era l’architrave dell’esistenza.

Quel che accade oggi, lo conosciamo bene. Entrando nei supermercati con tutto quel “ben di Dio” in mostra, geometricamente in mostra, sopraggiunge in me un’ immagine nitida quanto tenebrosa: è come se mi dovessi preparare ad un mutamento di scenari, ad un agguato planetario, quasi una premessa alla fine del mondo e così vedo tutti correre lungo le corsie per accaparrarsi degli alimenti, per sopravvivere agli eventi che si preannunciano da catastrofe. Zuffe vere e proprie per contendersi la pasta, per avere la meglio sullo scatolame - tonno e fagioli in testa - per il pane in cassetta, per i biscotti, per il latte a lunga conservazione, per quello senza lattosio, per quell’altro parzialmente scremato, etichetta verde. E poi regolamento di conti in prossimità delle casse con energumeni in grande spolvero, tutti sudati alla fronte per evidente sbalzo pressorio e poi dei mister bodybuilding con i tricipiti in tiro per regolare una questione di confini tra gli scaffali delle marmellate e dei biscotti senza glutine. «C’ero prima io!» – uno ad urlare. E l’altro ad ergersi col suo petto fuori misura:«La vedremo, fatti avanti idiota!». Donne che si tolgono una scarpa e che puntano il tacco acuminato della stessa verso un’avversaria che le aveva poco prima sottratto un bel pezzo di parmigiano a stagionatura lunga, l’unico rimasto. Borse Vuitton false ma utili per colpire una donna in pieno volto, una donna che si sentiva una “gran dama” ma che s’era rivelata, alla fine, una signora di scarso spessore morale, incominciando ella ad allestire una raffica di male parole e questo perché nella contesa dei grissini su uno scaffale una contendente le aveva dato una spinta facendola ruzzolare in terra. E quest’ultima poi aveva aumentato la dose accusando l’altra di finzione. «Ah, finalmente! Eccola la signora! Ma come? Non ti esprimevi in un italiano forbito, in dizione? Adesso hai cambiato registro? A poveraccia!» – le urlava un’altra donna che, nel frattempo, doveva divincolarsi da una fatalona tutta ingioiellata, profumata, aerata d’essenze esclusive. Carrelli rovesciati, inservienti che intervenivano per sedare le risse, il direttore del supermercato che s’aggiustava la cravatta nel mentre osservava il contenuto dei carrelli sul pavimento. Scatole di pachino in terra che, mischiandosi con contenitori in vetro di marmellate frantumatisi al suolo formavano un tappeto colorato di natura. Le donne lì transitanti erano brave a muoversi sull’orlo di quell’impiastricciata ma non avevano scampo visto che si litigava per un nonnulla. «È la fine del mondo!» – urlavano i più ma, nello stesso tempo, continuavano a riempire il carrello d’ogni ben di Dio. Nella confusione comparivano anche delle figure mistiche che guardavano il cielo – in verità i controsoffitti – mandando a dire: «Preghiamo, fratelli, è la fine! C’erano dei segnali ma noi non abbiamo badati ad essi!... Preghiamo, fratelli!». E tali frasi sembravano uscite dal film “Il nome della rosa”. Dalla sua postazione rialzata e protetta il direttore del supermercato mandava a dire: «Calma signori, manteniamo la calma…!» - ma costui veniva subito fatto oggetto di scherno da un mister bodybuilding che si muoveva con agilità malgrado indossasse un abito gessato attillatissimo che incominciava a scucirsi dietro la verticale posteriore della giacca e anche nella zona dei tricipiti. Durante la lite, al mister bodybuilding si gonfiava anche il collo come in certi piccoli sauri sopravvissuti. Chi piangeva, chi si rialzava da terra aggiustandosi la chioma, chi constatava un tacco spezzato e chi, come la fatalona, che viveva in una fiction e mandava a dire: «Ma dove sono capitata?» - e s’aggiustava la chioma bombata ad arte, alla Kadonett anni ’60 e poi, dopo essersi sistemata il vestito, modello twin set, riprendeva a sculettare lungo gli scaffali, profumatissima, ancheggiante, schivando abilmente donne in terra ed energumeni a gambe all’aria e poi contabili striminziti in giacchettella erosa al collo. Ed era come se per la fatalona non fosse successo niente, come se le notizie ascoltate dai vari telegiornali e in tutti gli speciali possibili e le inchieste fossero in realtà parte di quella fiction planetaria con sceneggiatura del partito fantasma. Ed è in simili momenti che mi torna in mente Nietzsche: «Si vive di illusione per non morire di realtà».

Se i supermercati fossero poveri di tutto, con scaffali glabri, senza speranza, la situazione psicologica sarebbe totalmente diversa, cioè si sarebbe messo in preventivo tutto e dunque quell’illusione di accaparrare degli alimenti sarebbe cessata sul nascere. Basta, stop, fine. Sono le iperproduzioni che angosciano perché lo sviluppo non può essere illimitato ma l’uomo non l’ha capito (o lo ha capito ma non può ammetterlo) ed è un brutto meccanismo (per giunta senza uscita) perché se non si produce “adeguatamente” chiudono le fabbriche e le persone stanno a casa, sedute e in pantofole e nemmeno con il giornale in mano ritenendolo una spesa inutile. E gli antidepressivi sono boccette ben disposte su una piccola mensola tra il primo e secondo ingresso. Non si esce da un simile, irreversibile ingranaggio, e così la tristezza (e anche l’angoscia) di vivere nasce anche da questo. Ovviamente sono discorsi questi per spiriti liberi, sensibili, e non per ciarlatani con tanto di slogan, residui scaduti degli anni ’70.

Tornando all’acqua nei supermercati assistiamo ad intere pareti occupate da una ventina di marche d’acqua, ognuna a promettere un miglioramento fisico, ma anche per essere belli dentro, dunque quasi un elisir di lunga vita. Acqua, dunque, per tutti i più bizzarri desideri ed una marca addirittura con la dicitura l’acqua che elimina l’acqua. Naturalmente acque povere di sodio, con residuo fisso vicino allo zero, salute per i reni, altre con qualità alte per favorire la digestione, ed è tutto questo la vera stravaganza del postmoderno. A dirla in breve si tratta d’una società ormai priva d’ogni fondamento e per giungere a questo un riferimento va fatto ai vari Gilles Deleuze, Jean François Lyotard e Gianni Vattimo e alla loro coscienza infelice. In particolare la visione di Gianni Vattimo a proposito del suo pensiero debole era il preannuncio ma anche la preveggenza del mondo di oggi, vale a dire, in sintesi, “tutti hanno ragione perché la Ragione s’è annacquata, è evaporata, se n’è persa ogni traccia”. Bene, e allora se stanno cercando la Ragione e l’hanno avvistata da qualche parte ma poi essa è riuscita ancora a darsela a gambe, come non accogliere (ahinoi) quello slogan “l’acqua che elimina l’acqua”? Pensiamo un momento a questa frase. Non ci gira forse la testa? A cosa farà bene quest’acqua? Forse la preferiranno le fotomodelle con i loro corpi più che affusolati, così esenti da inestetismi che non ci pare possano far parte di questo mondo. “L’acqua che elimina l’acqua”, non è forse un arzigogolo intelligente?

Ricordiamolo: i filosofi sopra citati sono – chi più chi meno - i nipotini d’un già lontanissimo ma sempre presente tra noi Nietzsche, colui che ha diagnosticato la fine dei valori in “Così parlò Zaratustra” e dunque la nascita d’un mondo liquido dove, ad emergere, è individualismo, volgarità e ignoranza. Tutto il resto sono chiacchiere e la verità è che ci si può confidare soltanto con se stessi, avendo lo stesso Nietzsche, a suo tempo, annunciato “la morte di Dio”.

Dunque a quel tempo, in assenza dell’immenso affare delle acque minerali, c’era l’Acqua Cristallina, ovvero bustine che donavano meraviglia se, calato il contenuto in un recipiente d’acqua semplice, ecco che d’improvviso proprio quell’acqua fatta discendere dal rubinetto di casa fin nella brocca diveniva frizzante e la sensazione immediata che s’aveva era quella dell’ennesimo desiderio agguantato, soddisfatto, d’una vita che non ci sarebbe mai sfuggita e che, in verità, sarebbe stata sempre in nostro possesso. Dunque, l’essere frizzante dell’acqua disponeva all’euforia e in casa succedeva la stessa situazione che si verificava al bancone d’un bar dopo che ci avevano versato l’Acqua minerale San Pellegrino, vale a dire un felice spaesamento, una vertigine che recava con sé una gioia, l’idea silente ma profonda che non avremmo mai perduto i nostri affetti. Io sentivo proprio questo.

Con quella minima “ubriacatura” eravamo felici e in quegli attimi guardavamo i nostri cari considerandoli come eterni. Si parlava comunque di acqua mica di vino o misture magiche, un’acqua alterata lievemente e in meglio da una polverina che donava il carattere frizzante al contenuto nella brocca. Non era un’ebbrezza dionisiaca ma una spontanea, inoffensiva, lirica e a portata di mano. La felicità, dunque, delle piccole cose. L’illusione che quell’incanto favorisse tutto il nostro procedere nella vita. Guardavo mia nonna Maria e non le accreditavo gli anni che aveva, le toglievo un paio di decenni, e lo stesso facevo con mio nonno Lorenzo. Volevo che bevessero quell’acqua nuova, miracolosa, ma essi mai l’assaggiarono preferendo, al solito, l’acqua del rubinetto o della fontanella nella nostra Piazzetta del Forno. Si trattava, dunque, d’un’euforia tutta sognata, dell’acqua del rubinetto di casa migliorata dai sali della “Cristallina”, marca Ferrero ricordiamolo, la stessa della fantastica Nutella.

Lo so, è sempre la stessa storia per me, e il Passato mi serve non soltanto per narrare l’insopportabile presente ma per ricordarmi d’un tempo lieto, spensierato con tutti i miei cari accanto: mio padre, mia madre, mia nonna Maria, mio nonno Lorenzo, zio Antonio, zia Letizia, zia Brigida, zio Giggetto, mia sorella Antonella, i miei cugini Renzo, Maria Pia, Lorena, Angelo. Tutti alla Piazzetta del Forno, con l’Acqua Cristallina o senza.

 



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