IL MONDO È TUTTO UN TATUAGGIO - di Fernando Acitelli

IL MONDO È TUTTO UN TATUAGGIO

- di Fernando Acitelli -

 

 

 

               La tristezza è causata dall’intelligenza. Più comprendi
               certe cose, e più vorresti non comprenderle.


                              ***


               Un intellettuale è uno che dice una cosa semplice
               in modo difficile: un artista è uno che dice una cosa
               difficile in modo semplice.

               Charles Bukowski.

Durante le ultime vacanze ad Assergi con puntate anche a L’Aquila e naturalmente ad Assergi e dunque nell’area sacra dei ricordi, ho prestato molta attenzione a chi mi compariva davanti. Mancavo da tanto tempo in quei luoghi e così la mia concentrazione su persone e cose doveva essere alta. S’è trattato d’una ricognizione non scientifica ma lirica, bonaria, dettata più dal cuore che dalla mente. E l’attenzione s’è rivolta al linguaggio e al corpo: un giro d’orizzonte che comprendeva anche la moda e l’eventuale aggressività che spesso compare nello sguardo delle persone. Quest’ultimo aspetto poteva riferirsi per lo più a Roma, le cui notti, spesso, non sono tranquille e ci si può imbattere in zuffe anche soltanto per un malinteso di sguardi. Ma a L’Aquila è tutt’altra atmosfera ed ogni fotogramma è in apparenza più quieto. Dal canto suo Assergi vive una serena convalescenza tra il post sisma e le riflessioni sulla pandemia. Anche per la pandemia si può parlare di sisma (interiore) e le lesioni che essa ha provocato sono state severe e le crepe si vedono per lo più nell’animo delle persone avendo esse osservato nitidamente (e compreso) come ormai il male è un nostro vicino di casa e ci si deve convivere. Ma a proposito del Male sul pianeta Terra, se ne parla sin dall’antichità e non sono serviti a niente tutti gli studi, i consigli che uomini sia di filosofia che di fede hanno elaborato. Tommaso d’Aquino con il suo saggio sul Male (Quaestio disputata de malo) elaborò, sotto il sole del XIII secolo, riflessioni importanti.

Sul pianeta l’arte del tatuaggio dilaga ma si respira già un ripensamento circa l’opportunità di dipingere sul proprio corpo tutte quelle storie in bianco e nero e a colori che hanno finito con l’oscurare la vera identità delle persone. Il problema che si pone è infatti quello sull’identità: c’è il prima e il dopo del tatuaggio. Si è sempre gli stessi? Pochi giorni dopo quell’operazione si è ancora convinti che era un atto importante da compiere, una giusta violazione di sé? Per il post intervento si viene addirittura fasciati con della plastica sottile e trasparente nei punti del corpo trattati. Io credo che il tatuaggio (i tatuaggi) cambino tutto l’essere delle persone: ci si sente al centro del mondo per quella rappresentazione che ha riguardano un braccio, magari la schiena e una coscia. Il corpo è divenuto ormai un involucro e si può “sacrificare” ad ogni messaggio che proviene da quel mondo che ha per progetto nessun progetto se non il piacere ad oltranza e il sublime controsenso di far credere agli individui che il tatuaggio rappresenti una diversità per chi lo esegue sul proprio corpo quando invece è la forma più estrema di conformismo. Ma la vera distinzione, il vero amore di sé non è stare alla larga da tutto questo?

 Mi domandavo se anche in una città come L’Aquila avesse dilagato il tatuaggio con tutte le sue estasi a rimorchio, se non fosse, insomma, una replicazione in piccolo di quanto accadeva a Roma. La risposta è stata chiara, sì, il tatuaggio era avanzato con scioltezza anche a L’Aquila ma ormai non è più motivo di stupore. Niente oggi è più causa di stupore, tutto stufa, va a noia all’istante e poi anche il tatuaggio muta, basta aspettare un poco e lo si vedrà screpolarsi in superficie e poi, lentamente, assottigliarsi come forma e colore. Dunque, anche in simili composizioni il divenire esegue un ottimo lavoro. Ma ormai il tatuaggio è una moda che non stupisce più nessuno e che (secondo me) rovina corpi meravigliosi, taluni veramente con ambizioni da statue di Fidia, di Policleto e dei marmi di Canova (Paolina Borghese).

 Ho constatato la presenza del tatuaggio a L’Aquila passeggiando per il Corso e gettando l’occhio su giovani e meno giovani, attempati con disinvoltura. Del resto se i pub crescono a dismisura al pari dei social e d’un narcisismo senza freni e se è ormai un’esigenza “stare sulla scena del mondo” nella società dello spettacolo, anche in una realtà più piccola (estiva per me) come può essere L’Aquila, il corpo dipinto in più punti è una esigenza cui non si può rinunciare. Si ripete quel discorso da me già affrontato in altre narrazioni sull’omologazione di cui parlava Pasolini cinquant’anni fa.

Irrompe anche un’altra domanda, vale a dire se non si avverte il sentimento d’amore per il proprio corpo originario apprestandosi ad un tatuaggio. E l’io bambino, remoto, non fa sentire la sua voce? Se si vuole custodire il corpo, farlo giungere in discrete condizioni nel porto finale dell’esistenza, ebbene, i tatuaggi non ledono anche questa prospettiva? Ma il tatuaggio, come sento dire da più parti, non è una miscela di metalli pesanti che penetrano nell’epidermide e si disperdono nel torrente circolatorio? Sarà anche così ma oggi non si ha tempo che per il tempo immediato, quello davanti da consumare, e su eventuali disastri di là da venire s’interverrà al momento del loro annunciarsi.

Ad Assergi tutto è in quiete. Tra i miei amici d’infanzia non soltanto non ho avvistato tatuaggi sulla braccia e sul corpo ma un simile argomento non è stato mai affrontato. Notti spensierate, antiche, e piene di narrazioni, a tentare di ridare voce con i racconti a persone che non sono più tra noi.

Con i miei amici abbiamo parlato della Street Art e dei murales urbani che ricamano le periferie e molti personaggi scomparsi li sentiamo vicini proprio grazie a questa storia dell’arte immediata che ce ne restituisce il volto e ci immette nuovamente in scenari lontani, dissolti. Abbiamo parlato di Jean Michel Basquiat e Keith Haring, le punte più alte della “Street Art” e poi della loro forte presenza nella storia dell’arte contemporanea. Abbiamo inoltre parlato del murales per Sergio Leone nel quartiere Centocelle, quello di Pier Paolo Pasolini al Pigneto e di Frida Khalo al Trullo, tutti a Roma. Chissà che prima o poi si vedano simili immagini anche a L’Aquila… I nostri tatuaggi per la periferia sono questi.

 



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