AGAPITO MI CHIAMAVA ANCHE DI NOTTE - di Fernando Acitelli

AGAPITO MI CHIAMAVA ANCHE DI NOTTE

 

           Molta parte dell’anima nostra è dialetto

         Benedetto Croce

 

Era giusto che così facesse, Agapito mi chiamava anche di notte. Lì da lui, a Windsor, nell’Ontario, il giorno stava precipitando con eleganza nella sera. È già nel titolo una sua grandezza: voleva sentirmi perché sapeva bene che ero sulle sue stesse coordinate emotive e che trovava in me un sostegno vero. Si presentava con un tono quieto sempre chiedendomi se non ero impegnato in qualche faccenda. Quasi scusandosi. «No, Agapito, stavo soltanto dormendo, ma è sempre un piacere sentirti anche nel cuore della mia notte romana…». Questo gli rispondevo riprendendo possesso del mio luogo, dell’ora in cui ero e di tutto il resto. Quella chiamata notturna mi faceva pensare ad alcuni film degli anni ’50, con la luna splendente, il cielo nitido, e poi tutto quanto mi riportava ad atmosfere popolari: cortili, ballatoi, voci famigliari, degli affreschi popolari e quel sapore tutto romano di poter “sbarcare il lunario” in quei film e fare in fondo “marameo” alla vita. Insomma quella telefonata di Agapito a me serviva come reagente per farmi pensare a tante cose: una sequenza inaudita di immagini ma era soprattutto la sua voce ad interessarmi, quel suono sospeso sull’oceano Atlantico che per me era ancora un mistero su che cosa si appoggiasse. S’appoggiava in aria, sul niente, qualcosa di metafisico, insomma. Agapito sapeva che anche di notte gli avrei risposto perché la sua voce ed il suo animo erano troppo preziosi per i miei tentativi di “ricostruire” i nostri frammenti nel grande affresco che era stato Assergi. E poi gli volevo bene perché egli, lo sentivo, era una persona pura, mi parlava a cuore aperto, non aveva malizia ma conservava una chiara riservatezza che a me piaceva molto. Certamente m’illuminava su tante cose del passato, stagioni che io, per motivi anagrafici, non potevo conoscere ma che avevo pure sentito e respirato in famiglia. Il suo parlare italiano prevedeva anche delle sublimi incursioni nel dialetto ed erano quest’ultime, soprattutto, a stupirmi favorevolmente, a farmi sorridere. Era un ritornare bambino, tra i miei nonni che non lesinavano bellissimi riccioli in dialetto, nel parlato spontaneo di Assergi.

In questi anni Agapito mi ha donato tanto, ha ricostruito tutta la storia della sua famiglia, mi ha chiarito i suoi luoghi e quelli dei suoi famigliari. Quando mi parlava di sua madre Angela, morta a 48 anni con lui bimbo di 8, ecco che la sua voce si scheggiava, si sentiva dall’Ontario, dunque, un tremore nella voce, un suo pianto interiore che, per quanto fosse controllato, si coglieva nitidamente. La sorella della madre, Domenica, moglie di Luigi Napoleone, morì a trent’anni lasciando una bimba Pierina. Agapito e questa bimba, coetanei, giocavano sulle scale di casa, in quel vicolo sublime che sta dopo la Piazzetta del Forno e prima della casa di Franco Corrieri e di sua moglie Giuseppina Napoleone – per noi tutti Ciu Ciu - la madre di Francesco, di Antonietta, di Lellina e di Pietro, marito di Pierina la sorella di Elia di Stirina: Pietro, morto giovane in America. Praticamente è un vicolo che sta dietro la casa dei miei nonni e che si può vedere dalle camere “in cima”. Dopo la morte della zia Domenica, Luigi Napoleone si risposò con Domenica Vitocco (degli Scardella) ed emigrarono in Argentina, stabilendosi a Berisso, nella provincia di Buenos Aires. Luigi Napoleone, che aveva già un fratello in Argentina, e fu uno dei primi assergesi ad espatriare nel dopoguerra.

Quel vicolo è noto anche perché, all’epoca, ci viveva  una donna di cui conosco soltanto il soprannome, e cioè “Sabbettone”. Non posso citare le sue generalità ma è giusto allora che citi, almeno, il soprannome.

Si potrebbe dire a questo punto che il narrarmi da parte di Agapito di tutte queste storie ha dilatato la mia coscienza e, in fondo, ha reso un servizio di prim’ordine alla storia di Assergi e alla comunità tutta. In un certo senso siamo un po’ tutti più uniti, con coloro che calarono sulla Terra, in questo ritaglio di mondo chiamato Assergi.

Il padre di Agapito, Berardino Mosca, prima di sposarsi nel 1924 era andato in giro per l’Europa in cerca di lavoro. Alla fine approdò in America, a Philadelphia e dopo due anni lì tornò ad Assergi. Si trattò comunque di unaa pausa breve nel paese d’origine e quindi s’imbarcò nuovamente per l’America andando a lavorare nelle miniere di carbone per circa otto anni. Parlava bene l’inglese, il francese ed il tedesco e «sapeva esprimersi anche con la maggior parte dei Balcanici» mi ha detto Agapito. Durante la convalescenza per la gamba rotta, giù, in miniera, in molti si recavano da lui per poter scrivere delle lettere ai propri cari in patria.  Tornò ad Assergi nei primi anni del 20° secolo con una “discreta somma di denaro”, sottolineava Agapito.

Berardino e Angela ebbero tre figli: Letizia nata nel 1924, Clara nel 1926 e Agapito nel 1929. La moglie di Berardino Mosca era figlia di Lucia Acitelli detta “Lucia la Cotta”. I figli di quest’ultima furono Giovanni che partì per l’America e lavorò nelle miniere di carbone, e Franco che sposò Elisabetta Lalli ed ebbero due figli: Guido e Gino. Franco, impiegato come usciere al banco di Napoli ad Avezzano morì durante il devastante terremoto mentre i due bambini si salvarono rimanendo nel letto ma sospesi a precipizio sulle travi. In quell’occasione il Banco di Napoli fu di sostegno per la famiglia, e Gino s’impiegò proprio lì, diventando per la sua serietà e dedizione, alla fine, direttore. Gino Giannangeli sposò Mimina Lalli, maestra, ed ebbero due figli: Gianni e Fiorella. Il fratello di Gino, Guido, morì abbastanza giovane per un brutto male.

Agapito era molto affezionato alla sorella della madre, Marietta, la moglie di Enrico De Leonardis – valente ebanista e viveur - e siccome a casa di Berardino c’era sempre abbondanza, ovvero c’era quella che si dice “la grascia”, Marietta andava spesso lì e diceva al padre di Agapito:«Brardì, la robba se piglia addo sta, e se mett addo ne sta, e se vive onestamente…». Con questa frase, la cara Marietta che ancora ricordo – la madre di Delia (bellissima e morta giovane), Giovanni, Giuseppe e del geniale Mario – credo possa essere ancora di più ricordata.

Il nonno di Agapito era Giuseppe Mosca, soprannominato “U Frate”, vissuto tra il 1845 e, all’incirca, attorno 1930. Costui ebbe per moglie Letizia Giacobbe ed ebbero sei figli, il secondo dei quali, Berardino, sarebbe stato il futuro padre di Agapito. Berardino nacque il 25 dicembre del 1878 e morì il 12 dicembre 1953. Ora m’accorgo che ci sarebbero ancora tante cose da narrare ma, credo, che abbia qui riportato il giusto, quello che anche Agapito avrebbe ritenuto come “l’essenziale”.

Voglio concludere affermando che Agapito è stato un uomo buono, discreto, rispettoso degli altri, grande lavoratore – per 36 anni lavorò alla Chrysler – attentissimo alle parole e amico sincero. Lo ringrazio per quanto mi ha raccontato e per quanto mi ha donato.

Una volta mi disse: «Se in caso ti ho annoiato, ti chiedo perdono e per me, leggendo i tuoi scritti, mi rendo conto che forse quello che ti sto dicendo ti sarà certamente noioso ma nello stesso tempo credo che il tuo enorme talento potrà interpretare qualcosa di ciò che ho tentato di dirti. Ma se in caso pensi che io possa aiutarti in qualche caso specifico, puoi essere libero di telefonarmi e cercherò di fare il mio meglio per esserti di aiuto nei limiti di ciò che so».

Hai fatto proprio questo, caro Agapito, e quando mi chiedesti scusa (ma scusa per che cosa?), ripensai a tutti i nostri cari che avevano visto sorgere il sole ad Assergi, a Lia Lampa, e che adesso m’illudo siano ancora tra noi.

 



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