UN ANGELO TRA NOI - UN RICORDO DI GIUSEPPE GIACOBBE

UN ANGELO TRA NOI - UN RICORDO DI GIUSEPPE GIACOBBE

- di Fernando Acitelli -

 



                    «L’ultima mia parola prima di morire sarà»:
                                      “Gliu beglie Peppe mi’

                                            Maria, la madre


Giuseppe Giacobbe è stato un uomo buono ma voglio usare anche la parola “distinto” per meglio qualificarlo. La distinzione non è una qualità che si copia dagli altri, che si acquisisce, la si possiede dall’inizio. È come la signorilità, non ci sono corsi di “buone maniere”, tutto nasce spontaneamente, frutto dei propri genitori, dono della Natura di cui ci si accorge subito e quasi ci si stupisce che gli altri non posseggano simili qualità.

Quando s’era in compagnia di Peppe, s’ammirava la compostezza, il suo tono di voce sempre pacato, a volte volutamente basso nell’argomentare, come se il suo scopo non fosse quello di convincere chi lo stava ascoltando ma soltanto definire compiutamente il suo affresco interiore, cioè il “suo cuore messo a nudo”, in bella vista. Il suo dono era quello dell’ascolto, e a volte egli “non si vedeva e non si sentiva” anche quando stava ad un metro da noi. Anche il silenzio (i giusti silenzi) li valutavo come un valore. Dentro il silenzio v’è un universo di storie e significati che s’incrociano e rimandano e spesso creano speranze o conflitti su cui riflettere. I suoi silenzi mi stanno dentro: rivedo Peppe d’estate nella casa da me tanto amata perché non raggiungibile da macchine, un’oasi impenetrabile, e lui seduto in poltrona, in quello spazio prezioso prima della cucina e delle scale. Se ne stava lì, quello era il suo “trono”, e da quel luogo raccontava ai suoi di casa di come si procedeva nella vita, dei fatti di Roma – la sua casa in via di Conca d’Oro – delle preziosità di Giocondina, di come il loro figlio Francesco procedeva negli studi. Erano momenti che si stentava a credere fossero così belli, tranquilli, sotto certi aspetti inattaccabili, la serenità che era discesa su quella famiglia, in quel ritaglio di mondo che era quella casa.

Peppe era la riservatezza trasferitasi in una persona, la compostezza dei gesti come se vi fosse sin dall’origine una disciplina nei movimenti, un fare geometrico che non lasciava indifferenti coloro che partecipavano a quella conversazione ma che dovevano essere però dotati della qualità non comune di penetrare l’animo umano e dunque valutare la giusta dose di equilibrio che Peppe soleva mettere nell’argomentare.

Del padre Arcangelo possedeva sicuramente la qualità di rispondere quando era necessario farlo e poi un “filosofeggiare” più lieve rispetto al modo istintivo, puro, del padre: un procedere analitico quello di Peppe, senza fantasie in libera uscita. Ma tutto questo mi pare poco per definirlo compiutamente e si dovrebbero possedere dei filmati per restituire dal vero chi è stato Peppe. Della madre possedeva il senso pratico, l’operazione con riscontro se non immediato a tempo breve, e in quei momenti mi veniva da valutare le due diverse anime che confluivano in lui, e se era gentile con tutti proprio per disposizione genetica, con me lo era in modo speciale. C’era di mezzo anche la comune origine del cognome, vale a dire Giacobbe, lo stesso di mia nonna materna e dunque la parentela, e se si valutava tutto questo ecco che si sollevava la figura di Peppe, un concentrato di buone maniere, di stile, di parola distillata.

Resta il ricordo dei tanti momenti lieti trascorsi insieme in quella atmosfera di quiete dove il sole entrava con discrezione nella veranda custodita e sembrava che anche il sole si rendesse conto di quale serenità era adorno quell’ambiente e non volesse disturbare.

Arrivederci carissimo Peppe, hai provato tante gioie nella vita, anche quella di vedere tuo padre Arcangelo centenario, un senso di Assoluto attraversare quell’esperienza ed ero felicissimo per tutti voi. A volte penso d’essere stato fortunato ad incontrare persone come te.

FERNANDO ACITELLI

 



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