Il Prof. Emidio Massimi, Camillo Berardi e Bruno Chiarelli in escursione nella Grotta

Il Prof. Emidio Massimi, Camillo Berardi e Bruno Chiarelli in escursione nella Grotta di Val De’ Varri nel 1973. Incidente nella cavità.


- Di Camillo Berardi -




La mia passione per le avventure in montagna e per tante altre attività sportive, non ha escluso escursioni nei fiabeschi ambienti sotterranei, sorprendenti e maestosi nella loro selvaggia bellezza, meravigliose attrazioni nascoste che meritano di essere conosciute nel loro stato naturale. Nel 1973, il Prof. Emidio Massimi, Bruno Chiarelli, membro del Gruppo Speleologico Aquilano e futuro Presidente del sodalizio ed io, decidemmo di fare un’escursione nella Grotta di Val de’ Varri ubicata nel territorio del comune di Pescorocchiano in provincia di Rieti ai confini con l’Abruzzo.

In quel tempo non esisteva una strada che avvicinasse all’ingresso della cavità carsica: lasciammo la vettura molto lontano dall’accesso alla grotta, scavalcammo a piedi un’altura e dopo una lunga camminata raggiungemmo l’imboccatura della grotta. L’ingresso era molto stretto e strettissimo era il cunicolo iniziale lungo diversi metri, pressoché verticale, nel quale scendemmo uno alla volta, letteralmente incastrati alla roccia che ci tratteneva per attrito. Sul casco avevamo lampade frontali a carburo per inoltrarci nella voragine carica di fascino e immersa nel buio. Superata la strettoia iniziale, tra cascate e ruscelli apparivano gallerie, sale, cunicoli e ambienti incantevoli, adorni di stalattiti, stalagmiti, colonne, colate e speleotemi di ogni forma e dimensione, che si sono formati in migliaia o in milioni di anni, insieme alla cavità. Le attività speleologiche sono meno estreme di quelle alpinistiche, ma gli ambienti ricchi di acqua e l’aria satura di umidità, rendono scivolose tutte le superfici, e quella volta, furono causa di un mio infortunio.

Infatti, dopo essere arrivati nel punto più basso deciso per l’escursione, nel fare il primo passo per la risalita, un mio piede scivolò sull’appoggio bagnato e, per non precipitare nel vuoto sottostante, istintivamente mi agganciai con il braccio destro alla vicina stalagmite, rimanendo in posizione eretta nella stessa postura in cui mi trovavo. Sistematomi poi in maniera più stabile sul medesimo appoggio dei piedi, mi staccai dalla stalagmite, rimanendo in piedi, nello stesso punto in cui subii la minima scivolata, ma la spalla con cui mi ero aggrappato, per lo sforzo, avvertì un dolore acuto, tipico di uno strappo muscolare. Lo comunicai ai compagni dell’escursione ipogea che mi erano vicinissimi e che non si erano accorti di nulla, poiché ero rimasto in piedi nel punto dove mi trovavo. Ci fermammo un po’, sperando che la dolenza si attenuasse, ma dopo pochi istanti, al dolore della spalla si aggiunse il formicolio del braccio che s’irradiò fino alle dita della mano. Il Prof. Emidio Massimi che era un insegnante di educazione fisica, m’infilò la mano sotto la tuta e toccandomi la spalla, mi disse che era avvenuto un netto cedimento nell’articolazione scapolare e che, in assenza di un urto, lo sforzo torsionale per sostenermi, quasi sicuramente aveva fatto uscire la testa dell’omero dalla cavità glenoidea, sua sede naturale, generando una lussazione completa. La diagnosi fu perfetta, come riscontrarono gli esami radiografici che feci molte ore più tardi in quello stesso giorno.

Non ci perdemmo d’animo per l’infortunio, peraltro, non avevamo alcuna possibilità di chiamare il Soccorso Speleologico che nel 1968 era entrato a far parte del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino (CSA) che nel 1990 assunse l’attuale denominazione (CNSAS) Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico, il cui intervento, peraltro, avrebbe impiegato moltissimo tempo per arrivare nel punto nel quale ci trovavamo, con l’impossibilità di introdurre nella strettoia iniziale della grotta le attrezzature necessarie per il soccorso. Le mie gambe fortunatamente funzionavano, e i miei “soccorritori” furono Emidio e Bruno che nella risalita mi aiutarono a superare i passaggi nei quali non potevo usare le braccia, giacché una era impedita dall’infortunio e l’altra era utilizzata per tenere alzato l’arto dolorante, per attenuarne il dolore.

Peraltro, Emidio Massimi fu il Preparatore atletico dei primi quattro scudetti dell’Aquila Rugby, Professore e Preside dell’Istituto Superiore di Educazione Fisica, vero sportivo, sciatore e amante della montagna, e Bruno Chiarelli era un appassionato speleologo che dagli anni 70’ effettuò molti studi, rilievi, esplorazioni e ricerche nelle cavità naturali del nostro territorio e, successivamente, divenne Presidente del Gruppo Speleologico Aquilano fino al 2016. Per la risalita non c’erano grandissimi problemi tecnici e l’unica difficoltà che impensierì, riguardava l’uscita dalla grotta attraverso l’ultimo cunicolo verticale con lume strettissimo, in prossimità dell’ingresso nella cavità, nel quale sarebbe stato impossibile “darmi una mano”.  Ci avviammo in salita e il problema nel tratto critico della strettoia fu risolto in questo modo: il Prof. Massimi s’introdusse per primo nel cunicolo, sperando di darmi un impossibile aiuto dall’alto, poi entrai io e dopo s’infilò Bruno Chiarelli che, incastrandosi nella strettoia, con brevi tratti progressivi in salita, mi dava la possibilità di appoggiare i miei piedi sulle sue spalle, consentendomi di spingermi con le mie gambe verso l’alto un po’ alla volta e questo sistema funzionò.  Quando arrivai con le spalle all’esterno della grotta, Il Prof. Massimi mi afferrò e mi tirò fuori dalla cavità ipogea. Sono sempre stato riconoscente a questi cari amici, entrambi scomparsi, dei quali conservo la memoria con affetto. Sorvolo sulla lunga marcia di ritorno per raggiungere la macchina, nella quale ogni mio passo era una pugnalata alla spalla, sulla riduzione della lussazione completa che fu effettuata in anestesia totale e che in maniera definitiva fu sistemata soltanto due anni dopo da un luminare del Policlinico A.Gemelli di Roma, consentendomi di riprendere in assoluta sicurezza tutte le mie attività sportive, comprese quelle “speleo cavernicole” che sono state per me sempre attraenti.

L’escursione in grotta e l’incidente sono documentati in tre foto che fece Bruno Chiarelli: la prima ritrae me e il Prof. Massimi, la seconda riprende me nei pressi di una cascata sotterranea e la terza mi ritrae subito dopo l’infortunio.

Negli anni successivi la Grotta di Val de’ Varri ha subito interventi di valorizzazione turistica che hanno generato legittime opposizioni di speleologi laziali, con lavori di turisticizzazione che hanno subìto anche sospensioni e rallentamenti, ma nel 2003 la cavità ipogea è stata inaugurata e aperta pubblico.

Non ho avuto interesse nel seguire i lavori di adeguamento turistico, che sono sempre impattanti con gli equilibri naturali realizzati in migliaia e/o in milioni di anni, alterando l’integrità originale dei luoghi e in seguito ho sempre continuato le mie emozionanti escursioni in luoghi vergini e permeati di magia, modellati dall’arte fantastica della natura.

 



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