LA BONTÀ DI MARIA PIA GIUSTI - di Fernando Acitelli

LA BONTÀ DI MARIA PIA GIUSTI

 

- di Fernando Acitelli -

 

 

È sempre difficile parlare dei propri affetti, lo so, ma, nello stesso tempo, non è possibile evitare una seppur lieve biografia o narrazione lirica per mia cugina Maria Pia, sarebbe come dire che la vicinanza, appunto, dell’affetto, della parentela stretta possano rendere superflua la parola scritta, la narrazione, ma non è così, almeno per me, dunque sguardo panoramico all’indietro e tutta una raffica d’immagini che s’impossessano di me e mi rimandano a luoghi favorevoli, primo fra tutti il luogo principe che riguardò tutta la mia famiglia partendo, ovviamente, da mio nonno Lorenzo e mia nonna Maria, parlo naturalmente della casa alla Piazzetta del Forno, va bene, e rivedo una piccola Maria Pia bionda e con gli occhi celesti di luce e che gironzola per la cucina come una bambina che deve cercare in quello spettacolo che le è davanti qualcosa di ancor più bello, uno stupore nuovo, una parola magica e adesso dico che è stata una fortuna per lei vivere accanto ai nonni, in un piccolo universo protetto che sapeva orientare anche i bambini e spandere quiete tutt’intorno, ovviamente i miei ricordi su di lei sono per lo più legati ai mesi estivi quando tornavo ad Assergi per vacanze lunghissime e spensierate e lei, più bambina di me, sortiva dalla sala o scendendo le scale e l’immagine intensa erano le sue guanciotte belle rosse che erano un sublime contrasto con i capelli biondi e gli occhi celesti, una meraviglia inoltre anche quella sua aria di spaesamento davanti a me, a mia sorella Antonella e i miei genitori, ma era stata istruita per tempo, oh naturalmente, erano gli zii di Roma e relativi figli, ovvero i suoi cugini carnali e mia madre era la sorella di suo padre dunque lei poteva stare tranquilla, anzi, incuriosita da quella novità, e sarebbe stata un’abitudine vederci, doveva essere bello ai suoi occhi e al suo animo avere quelle presenze, si sarebbe sentita ancor più tranquilla perché questo era ciò che chiedeva il suo sguardo, un po’ timoroso ma al tempo stesso gioioso alla prima parola di cuore che noi quattro le donavamo, al mio primo esuberante farla sorridere, alle mie esultanze anche un po’ arricciolate, “barocche” ma nel senso d’una bontà che doveva esprimersi con forza, con ghirigori simpatici e con parole in un linguaggio che già allora faceva sorridere Maria Pia, un linguaggio amabile tra l’italiano ed il dialetto romano, tutto un affare spontaneo che le giungeva nuovo, e allora lo stupore era quello d’una bambina davanti allo spettacolo delle giostre, proprio questo, inoltre Maria Pia era una bimba riservata e sempre attenta a non superare i confini della piazzetta, e il balconcino d’entrata dopo le scale esterne della casa era per lei una postazione privilegiata da dove era possibile vedere tutto, chi transitava per la piazzetta, delle persone che aveva imparato a conoscere in famiglia e poi tutte quelle presenze che intenerivano anche lei, presenze a ben intendere di vecchierelle con mantellina sopra le spalle, figure da abbracciare per il loro proseguire il cammino della vita, instancabili in su e in giù per la piazzetta, transitanti lì ad ogni ora, figure spesso ricurve ma proprio per questo d’amare, ecco, davanti a simili persone (naturalmente anche nella versione maschile, vale a dire vecchi uomini massacrati dalla fatica del fare sin da quando erano ragazzi), Maria Pia esponeva la propria bontà che s’osservava anche soltanto con il mutare dello sguardo che da uno stupore buono si spostava verso la tenerezza, quella comprensione verso gli altri che in quella sua primissima stagione della vita non poteva dichiararsi con le parole ma con il mutamento, appunto, dello sguardo, e fu poi la vicinanza con nonna Maria e la vita con tutta la famiglia insieme, a far sì che s’intenerisse in diretta, in continuazione perché i nonni stavano avanzando verso la quarta età e lei coglieva quel loro passaggio e ne sollecitava spesso il sorriso con la sua presenza, ed era anche la più coccolata in famiglia, era il fiorellino che mancava e tra zio Antonio e zia Letizia era tutto un sorriso perché avevano accanto un vero bambolotto, tutto questo mi ricordo, ma v’è dell’altro perché Maria Pia fu per lungo tempo il supporto morale di nonna Maria e in certi inverni che a me era venuta la voglia di sciare e questo accadde alla metà degli anni ’70, mi resi conto della grandezza morale di Maria Pia perché nonno Lorenzo era morto e allora tutta la famiglia faceva “corpo unico” su nonna e in questo Maria Pia eccelleva per bontà e l’accarezzava con gesti e parole, esattamente questo, un gioiello in quella casa, ma torno di volo alla mia questione riguardante lo sci, esatto, m’era venuto il desiderio di sciare ma un simile progetto non ebbe un futuro in me e infatti non accadde la cosiddetta scintilla, e mi resi conto che quello che cercavo (e amavo) era il paesaggio innevato, i camini che andavano favolosi, che spippacchiavano disinvolti, e ancora il senso di pericolo che l’inverno reca sempre con sé, e quelle che erano state le cosiddette “provviste per l’inverno” erano adesso le protagoniste ed io mi scaldavo proprio pensando a questo, il recarsi alla cantina da parte delle persone a prendere degli alimenti, a vedere come si organizzava il pranzo e la cena d’inverno, come “se raccapea u lett”, come “se mettea u prete agliu lett pe scallagliu”, come se ne stavano riparati accanto al focolare i cari vecchi, ecco, scoprii che era tutto questo ad interessarmi quanto alla bellezza dello sciare, nulla, l’infatuazione svanì subito e, sebbene il mio caro e indimenticabile amico Emidio De Simone mi ripetesse che in quegli inverni m’ero presentato a Campo Imperatore con dei completi alla Ingemar Stenmark, non combinai nulla anche per una mia non adattabilità a quello sport sublime che è lo sci, ma non metto scuse, non ero portato, non m’appassionava, volevo penetrare con gli occhi e l’animo gli scenari incantevoli, una porta che s’apriva da una casa che avevo idealizzato ed un odore d’un ottimo cucinato che mi rapiva a tal punto che sognavo di autoinvitarmi in quella abitazione ed immergermi così nelle persone, negli odori, nei clamori, in conversazioni che non avrei più dimenticato, va bene, ma il racconto deve essere su Maria Pia e dunque da lei riparto, e il tempo passava ma d’estate per lei era una festa perché veniva sempre con me, mia sorella e mio padre a L’Aquila, era subito pronta e via in macchina, una felicità la sua da non saper rappresentare compiutamente con le parole, lei non mancava una sola mattina e fremeva attendendo che noi finissimo la colazione e poi partenza ma non soltanto con direzione L’Aquila, no, ogni luogo le andava bene, e così “La Villetta”, la “Coccia”, Monte Cristo, Campo Imperatore, Campotosto, i luoghi attorno alla Fossa di Paganica, la Piana di Sant’Egidio, ecco, precisamente questo, e un altro suo divertimento era il mettersi in posa davanti all’obiettivo, ma spontaneamente e la nostra macchina fotografica fissò immagini indimenticabili e che oggi, a guardare e custodire simili scatti, mi pare un miracolo, va bene, e dunque Maria Pia era diventata una presenza assidua con noi, una sorta di portafortuna a bordo, un cuoricino cui non poter più fare a meno, e quando io scherzando le dicevo che “Oggi non puoi venire con noi” inventando chissà quale nostra fantastica destinazione a lei proibita per la distanza, ecco che subito il suo sguardo mutava e poi il viso le si riempiva piano piano di lacrime e a quel punto dovevo intervenire d’urgenza, come si dice, chiarendole subito che stavo scherzando e che sarebbe stata ancora una volta in macchina assieme a noi, eh, ma ci sarebbe voluto del tempo prima che le comparisse di nuovo il sorriso, e una volta fummo nello studio fotografico del cavalier Ludovico Carli per ritirare delle fotografie e quel giorno ad occuparsi di noi fu un giovane bello e aitante che mia sorella Antonella inquadrò subito come un giovane attore americano e disse anche il nome di costui, Rock Hudson, la somiglianza per lei era forte, e in seguito sapemmo fosse costui un nipote di Ludovico Carli e cugino di Vera, e il bel giovanotto ci scattò delle foto lì dentro, nei pressi della camera oscura, e ci fece poi assistere al miracolo di come quegli scatti si tramutavano magicamente in esistenze e ci condusse dunque nella “camera oscura” e quelle foto riguardanti Maria Pia le conservo e le allego in questo racconto e non importa se non c’è un fondale riconoscibile, magari uno scorcio de L’Aquila, magari un luogo dalle parti di Montecristo, non fa nulla, e nella foto che la riguarda Maria Pia è molto bella, con un sorriso vero, spontaneo e gentile ma ancora non s’è inserita nell’adolescenza perché quelle foto fanno riferimento al 1971, ecco, narrato anche questo, e l’anno successivo a Maria Pia venne il desiderio di trascorrere un po’ di tempo a Roma, a casa nostra, va bene, anzi va benissimo e così nel luglio del 1972 inizia la sua “vacanza romana” ma lì giunta comprese subito come Roma non era un luogo per lei, per la sua sensibilità, non si trovò felice pure se contornata dagli zii e da Antonella (io ero ad Assergi in quel luglio e dovevo essere impegnatissimo per scoprire persone e angoli che m’erano sfuggiti e poi giocare a pallone ad Assergi era fantastico per me, un prolungamento nel verde di quanto facevo a Roma), a Maria Pia dunque mancavano troppo i suoi affetti ed i suoi luoghi e così, dopo soltanto una settimana, i miei la condussero di nuovo ad Assergi riguadagnando lei subito il  sorriso e con i suoi occhi celesti che brillarono nuovamente, dunque si può dire che quel luogo della Piazzetta del Forno era per lei il centro del mondo, il piccolo universo interiore ricco di mille significati e dal quale non intendeva più allontanarsi, e la mia famiglia gioì per la riacquistata felicità/serenità di Maria Pia e mio padre le promise che nell’agosto che era alle porte avrebbero effettuato tante gite a L’ Aquila e anche tra le montagne attorno ad Assergi, e si può dire che il carattere fu sempre lo stesso in Maria Pia, buona, affettuosa, contenta con poco, altruista, generosa, e con un occhio sempre proteso verso la sua famiglia, proprio questo mi sento di dire, e sono passati tanti decenni ma per me, vederla, è come tornare bambino assieme a lei in una Piazzetta del Forno indimenticabile, una sorta di Paradiso in terra.

 



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