CARAVAGGIO A PORTATA DI MANO - di Fernando Acitelli

CARAVAGGIO

A PORTATA DI MANO

- di Fernando Acitelli -

 

 

Nel rione Campo Marzio c’è un vicolo che riguarda Caravaggio. Nel mezzo, dopo la chiesetta di San Biagio provenendo da Fontanella Borghese, al civico 19 di VICOLO DEL DIVINO AMORE, ci si può impostare per rimanere un poco in riflessione: lì ebbe dimora Caravaggio. Si potrebbe anche dire che in quel luogo ebbe “casa e bottega” visto che non frequentava più la bottega del già famoso pittore Giuseppe Cesari, in arte “Cavalier d’Arpino”. Una lapide ricorda come in questo luogo il Caravaggio dimorò tra il 1604 e il 1605.

Caravaggio doveva stare da solo per poter creare, uno come lui, anche rissoso, non era proprio fatto per le convivenze, per dipendere da chi teneva una bottega d’arte. Essere richiesto da committenti andava bene, e sia il marchese Giustiniani che il cardinal Del Monte gli mostrarono amicizia.

Tale VICOLO DEL DIVINO AMORE mi è di strada, ci passo ogni mattina, da decenni è così. Per me è come una persona cara tale vicolo, ci riconosciamo già dal mio primo passo per imboccarlo. Lo si può prendere sia da via dei Prefetti che da Fontanella Borghese. È un duetto che compongo con la serenità e in quel punto di Roma mi riesce bene. In quei momenti mi sembra che io e la quiete ci abbracciamo.

Dal civico 19 di Vicolo del Divino Amore si procede e si giunge in via dei Prefetti. Avendo svoltato a destra dopo il vicolo, s’incontra un palazzotto del ‘500, sede, al tempo del Caravaggio, del diplomatico cardinal Del Monte, ambasciatore a Roma per il granduca di Toscana. Oggi questo palazzotto dona luce non soltanto a via dei Prefetti ma anche a piazza Firenze che gli sta di fronte. Tale edificio è la sede centrale dell’Istituto “Dante Alighieri” e ha conservato il suo aspetto rinascimentale con le facciate impeccabili ed il cortile adorno di porticato. Una volta arrivati all’angolo di tale edificio, ecco che si giunge in via di Pallacorda, nome derivante dall’antico gioco dell’epoca, una sorta di tennis barocco in cui anche il Caravaggio si divertiva. E proprio in tale gioco e a seguito d’un diverbio sull’assegnazione d’un punto – ma c’era nel profondo un dissidio tra i due per una donna, una modella del Caravaggio, tale Fillide Melandroni - s’accese una lite tra il Caravaggio e il suo rivale Ranuccio Tomassoni, un tipo losco, attaccabrighe. Vennero alle mani per l’assegnazione d’un punto. La lite degenerò, il Caravaggio fu ferito ma poi il pittore uccise il Tomassoni: era il 28 maggio 1606. Fu condannato alla decapitazione.

Per il Caravaggio s’aprì a quel punto la via della fuga, tra protezioni di nobili e soggiorni nelle loro dimore tra le quali quelle di Marino, Palestrina, Zagarolo e Paliano del principe Filippo I Colonna. E allora addio al palazzotto del cardinal Dal Monte e all’amicizia e al sostegno del marchese Giustiniani, banchiere genovese, il cui palazzo è nei pressi del Pantheon. E addio anche a quelle poche persone che gli furono legate in amore. E addio anche alle carceri di Tor di Nona, a Roma, dove fu diverse volte ospite. Le sue successive traiettorie si conoscono: un erranza tra prigioni e fughe in navi: Napoli, Malta, Siracusa, di nuovo Napoli fino alla morte a Porto Ercole nel 1609, a soli trentotto anni.

Ma quello che più m’interessa è avere tutti i giorni il Caravaggio a portata di mano, per così dire. e così un giorno mi sono messo a contare i passi tra il Vicolo del Divino Amore a via di Pallacorda, da questa strada alla chiesa di Sant’Agostino e da questa all’altra chiesa, quella di San Luigi dei Francesi. Nel primo segmento – da Vicolo del Divino Amore a via di Pallacorda - la distanza è di 92 passi. Per giungere poi alla chiesa di Sant’Agostino, dove c’è un suo famoso dipinto, la Madonna dei pellegrini, i passi da via di Pallacorda a Sant’Agostino sono 417. E proseguendo, dalla Chiesa di Sant’Agostino fino a San Luigi dei Francesi sono 190 passi. È, a ben vedere un itinerario del cuore, cioè la possibilità di rimanere dinanzi ai dipinti di Michelangelo Merisi da Caravaggio, suo luogo d’origine, avendo a disposizione delle chiese e non un museo, vale a dire niente fila e poi anche la possibilità del raccoglimento. È sufficiente mettere una moneta nell’apposito raccoglitore e subito si fa luce su quei dipinti.

Nella chiesa di San Luigi dei Francesi i dipinti sono tre: è il ciclo detto di San Matteo voluto dal cardinale Mathieu Cointrel (identità poi italianizzata in Matteo Contarelli), rispettivamente la Vocazione di San Matteo, il Martirio di San Matteo e San Matteo e l’Angelo. Nella Cappella Cottarelli, l’ultima nella navata di sinistra, vediamo come il primo dipinto citato è sulla sinistra, il secondo, quello del martirio di San Matteo è sulla destra mentre San Matteo e l’Angelo è in posizione centrale. La luce, come detto, è “sollecitata” nella cappella dalla moneta inserita nell’apposita feritoia ed è un favoloso splendere perché la luce elettrica rischiara oltremodo la luce che è già nei dipinti del Caravaggio.

A Sant’Agostino la Madonna dei pellegrini è nella prima navata che s’incontra a sinistra e anche qui l’astuzia della moneta è determinante per finire catapultati nella poetica di Michelangelo Merisi. In questa chiesa c’è più quiete, le persone davanti al Caravaggio sono sempre molte ma non c’è quell’affollamento che si registra in San Luigi dei Francesi, ma lì oltre agli entusiasti per il pittore c’è anche una grande affluenza dei turisti francesi. Davanti alla Cappella Cottarelli è sempre difficile porsi in prima fila.

Ho parlato di chiese e non di musei e a Santa Maria del Popolo nella Cappella Cerasi – a suo tempo tesoriere generale della Camera Apostolica – vi sono due dipinti del Caravaggio, la Crocifissione di San Pietro sulla parete di sinistra e Conversione di San Paolo su quella di destra, mentre al centro c’è il dipinto di Annibale Carracci  Assunzione della Vergine.

Devo dire che il percorso da Vicolo del Divino Amore fino alle due chiese di Sant’Agostino e San Luigi dei Francesi, m’è famigliare. È un procedere per il rione Campo Marzio e le distanze sono brevi. Altro affare è raggiungere la chiesa di Santa Maria del Popolo, appunto a piazza del Popolo. La si può raggiungere dal famoso tridente, cioè via del Babuino, via del Corso e via di Ripetta. Il problema è che giunto alla fine di una di queste tre strade e prima di finire in piazza del Popolo, a me capita di non sentirmi più protetto come se l’attraversamento della piazza fino alla chiesa che ospita due dipinti del Caravaggio fosse un’impresa, una vera fatica per l’animo. Forse agorafobia? È probabile. La chiesa da raggiungere è verso la fine della piazza, poco prima di Porta Flaminia, e non come le due che stanno all’inizio, vale a dire Santa Maria in Montesanto e Santa Maria dei Miracoli. È un po’ – in un volo forse troppo poetico – come i gatti della Buscia, ad Assergi, che non oltrepassano mai quell’arco con la madonnina come se oltre esso vi fosse l’ignoto, territori sconosciuti e visti soltanto occhieggiando da “entro le mura” e mai avventurandosi in luoghi oltre le “Colonne d’Ercole” dell’Antichità, ovvero lo stretto di Gibilterra.

Gli altri Caravaggio a Roma li ho visti tutti, dalla Galleria Borghese a Palazzo Barberini, dalla Galleria Doria-Pamphilj alla Pinacoteca Capitolina, e poi a Villa Ludovisi, a Palazzo Borghese, alla Galleria Nazionale d’Arte Antica.

Quello che resiste in me è la passeggiata in piano, spensierata, tra VICOLO DEL DIVINO AMORE, Sant’Agostino, San Luigi dei Francesi e, sebbene a fatica per via dell’attraversamento della piazza, Santa Maria del Popolo. E non mi pare poco per avere sempre un Caravaggio “a portata di mano”.

 



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